giovedì 2 dicembre 2010

Distrazioni di massa sul biennio stragista ’92-’93

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di Lorenzo Baldo
“Possibile che l’ex presidente del Consiglio, Carlo Azelio Ciampi, fosse stato tenuto all’oscuro di tutto, come il suo ex Guardasigilli Conso afferma? E che rapporto di causa-effetto c’è tra la lettera che alcuni boss indirizzarono nei primi mesi del ’93 al Presidente della Repubblica di allora, Scalfaro, nella quale chiedevano un provvedimento di clemenza e l’effettiva revoca del 41 bis?”. Questi inquietanti, quanto leciti, interrogativi rimbalzano con prepotenza sulle agenzie di stampa nazionali. Peccato che a porli con meri fini propagandistici sia il parlamentare del Pdl Maurizio Gasparri. Davanti ad un’opinione pubblica che a stento cerca di uscire dall’anestesia totale nella quale è stata indotta dai vari governi che si sono succeduti, si assiste ad una sorta di farsa tragicomica su questioni che imporrebbero invece il rispetto assoluto della verità.
Dopo la pubblicazione di stralci delle dichiarazioni di Giovanni Conso, Nicolò Amato e Nicola Mancino (sulle revoche delle centinaia di provvedimenti di regime di carcere duro durante il periodo stragista del ’93 in una sorta di do ut des per fermare le stragi, ndr), il centrodestra si è posto l’obiettivo di dimostrare che la “trattativa” tra Stato e mafia si sarebbe consumata a suon di revoche di 41 bis durante la “reggenza” del centro-sinistra al Parlamento e al Quirinale. Lo scaltro tentativo di spostare l’attenzione da quei contatti tra Marcello Dell’Utri e Cosa Nostra, quali trait-d’union con Berlusconi (di cui si parla ampiamente nella sentenza di I grado, in maniera “ridotta” e alquanto schizofrenica in quella di appello) è fin troppo evidente. E in questo contesto di rivisitazione storica la disinformazione galoppa spedita attraverso una vera e propria “interpretazione” dei  fatti succedutisi nel biennio ’92-’93. Le dichiarazioni dell’ex Guardasigilli, Giovanni Conso, sul mancato rinnovo del 41-bis a centinaia di mafiosi detenuti nel ’93, secondo alcune teorie ben precise, diventerebbero quindi la prova del coinvolgimento del centrosinistra di allora nella questione della “trattativa”. Una di queste teorie viene inglobata nel recente editoriale del vicedirettore delCorriere della Sera, Pier Luigi Battista, secondo il quale l’alleggerimento sul 41 bis, realizzato dai governi “di centrosinistra”, Amato e Ciampi, non poteva “far parte di un ‘complotto’ orchestrato dalla mafia e dalla nuova politica dell’utrian-berlusconiana”. Ma la stridente versione dei fatti viene di fatto smentita dalle indagini pluriennali degli inquirenti di diverse procure. Partiamo dalla fine. “Mio padre fu il tramite fra Stato e mafia fino al dicembre del ’92, quando fu arrestato; poi mi disse che, nella primavera-estate del ‘93, gli era subentrato Dell’Utri”. A parlare ai magistrati è Massimo Ciancimino, siamo agli inizi del 2010. La possibile conferma dell’esistenza di due “trattative” tra Stato e mafia prende forma attraverso le dichiarazioni del figlio dell’ex sindaco di Palermo. La prima “trattativa” (’92-’93) sarebbe stata finalizzata per fermare le stragi in corso, mentre la seconda (’93-’94) sarebbe stata utilizzata per soppiantare gli uomini della cosiddetta Prima Repubblica, ponendo nei posti chiave determinati personaggi che avrebbero perseguito alla lettera gli obiettivi già prefissati di quell’accordo tra Cosa Nostra e lo Stato. Nicola Mancino sarebbe uno di questi? Le indagini della magistratura puntano esattamente a fare luce sui lati oscuri che ruotano attorno alla sua figura, così come a quella di altri protagonisti di quella stagione come l’ex capo del Dap Nicolò Amato e l’ex capo della polizia Vincenzo Parisi (deceduto nel ’94). Gli inquirenti stanno lavorando incessantemente per dipanare quella “cortina fumogena” che sovrasta quelle “riserve” sulle proroghe dei 41 bis manifestate dallo stesso Mancino unitamente a Parisi nel ’93. Le decisioni “solitarie” sulle revoche del 41 bis di Giovanni Conso si inseriscono perfettamente all’interno di un disegno che a tutti gli effetti appare sempre di più criminale. Ma non è solo la questione del carcere duro quella attorno alla quale si gioca la partita tra lo Stato e la mafia ignobilmente accreditata a sedersi allo stesso tavolo delle istituzioni. Nel 1992 siamo sotto il governo Amato ed è in quello stesso periodo che il Ros decide di “tastare il terreno” con Salvatore Riina per valutare le sue eventuali richieste per far cessare le stragi. Riina dal canto suo presenta allo Stato il famoso “papello”, quei 12 punti scritti su un pezzo di carta che sanciscono una vera e propria resa dello Stato. Il capo di Cosa Nostra pretende che venga eliminato il 41 bis, ma soprattutto mira a ottenere la garanzia che entro pochi anni i boss detenuti possano uscire. Riina punta alla revisione del Maxi-processo, allo svuotamento dell’istituto dei collaboratori di giustizia e introduce quella che più avanti verrà definita la “dissociazione”, un’arma potenzialmente potentissima che più volte mafiosi “irriducibili” del calibro di Pietro Aglieri cercheranno di utilizzare per “fottere” lo Stato. Le ultime inchieste sulla “trattativa” stanno portando a riscrivere la storia della stessa cattura di Salvatore Riina, possibilmente “venduto” da Bernardo Provenzano sull’altare della nuova fase di quel patto scellerato tra mafia e Stato. Ma in quel maledetto 1993 le stragi non si fermano: Roma, Firenze e Milano portano con sé morti, feriti e distruzione del patrimonio artistico. La linea stragista di Cosa Nostra viene portata avanti da boss sanguinari come Leoluca Bagarella, i fratelli Graviano, insieme a Matteo Messina Denaro. Il rischio di un vero e proprio colpo di Stato aleggia nei timori dello stesso presidente del Consiglio Ciampi. Ed è in quel preciso momento storico che Giovanni Conso, sotto il Governo Ciampi, firma quei provvedimenti di revoche del 41 bis. Dopo il fallito attentato allo Stadio Olimpico le stragi si arrestano improvvisamente. Nei mesi successivi si assiste alla vittoria elettorale di Forza Italia. Una concomitanza di eventi che alcuni editorialisti tentano ora di recludere nell’ambito delle mere “coincidenze”. Per i giudici di I grado che hanno processato il senatore Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa l’anello di congiunzione prima e dopo le stragi del ’92/’93 tra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi è proprio il suo braccio destro Marcello Dell’Utri. Ma per i loro colleghi dell’Appello il periodo viene però limitato fino al 1992. Di fronte ad una tale congettura lo stesso imputato ha sottolineato, in sua difesa, l’assurdità di un ragionamento simile che prevede un contatto interrotto prima che lo stesso aumenti di potere scendendo in politica. Resta un dato di fatto che negli anni a venire Forza Italia ha proposto norme per agevolare la revisione dei processi, non ha ostacolato minimamente le proposte di “dissociazione” e soprattutto ha sostenuto una campagna da guerra contro i collaboratori di giustizia. Il centrosinistra dal canto suo ha inferto il colpo di grazia aggiungendo il limite dei 180 giorni quale tempo limite per la collaborazione di un mafioso, per non parlare della proposta dell’abolizione dell’ergastolo o del cosiddetto “giusto processo”. Si tratta di risposte precise alle richieste di Riina contenute nel papello? Saranno gli investigatori a chiarire questi dubbi che minano la credibilità delle istituzioni. Ma lo scenario passato e presente che si offre agli occhi dell’opinione pubblica racchiude le gesta di politicanti di entrambi gli schieramenti finalizzate a spostare l’attenzione mediatica dal reale problema: quante trattative tra mafia e Stato ci sono state? Chi le ha autorizzate? E soprattutto chi le ha coperte depistando le indagini sulle stragi? Colpire i magistrati che stanno cercando di arrivare ad una verità completa su quelle che a tutti gli effetti sono stragi di Stato è indegno. Magistrati come Antonio Ingroia, Antonino Di Matteo o altri non hanno certamente bisogno di difese “di ufficio”, ma di fronte alle gravi esternazioni che gli sono state rivolte da chi ha definito la trattativa “una pagliacciata”, definendo lo stesso Ingroia come un personaggio sostenuto da una “lobby mediatica” che “ha distrutto il fronte antimafia”, non possiamo esimerci dall’esprimere il nostro totale biasimo nei confronti di simili delegittimazioni. Che, queste si, fanno il gioco di chi ha tutto l’interesse a deviare l’attenzione sui pezzi mancanti della nostra storia, impedendo così che certe verità “scomode” vengano a galla.
ANTIMAFIAduemila 

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