I recenti sequestri di numerose piantagioni illegali di canapa nei Monti Lattari hanno riacceso, nell’opinione pubblica, la curiosità per quella che potrebbe essere definita la pianta più famigerata, amata e discussa d’Italia. In botanica la canapa è conosciuta col nome scientifico di Cannabis sativa, la specie è poi suddivisa in due sottospecie (sativa e indica) e in numerose varietà e cultivar – che differiscono per il portamento e la quantità di principio attivo contenuto – selezionate nei secoli dai contadini in base al tipo di utilizzo.
La canapa è una pianta erbacea annuale di tipo dioica (a sessi separati) di altezza variabile tra 1,5 e 2 metri ma in talune varietà coltivate può raggiungere anche i 5 metri. Cresce bene in tutti i terreni, a quote comprese tra 0 e 800 metri di altitudine, si semina a febbraio-marzo e fiorisce a giugno-settembre. La canapa è, dunque, una pianta che si presta bene alla coltivazione ed è per questo che da millenni accompagna l’uomo – è accertato che già nel neolitico se ne facesse uso – originaria dell’Asia Centrale in tempi molto remoti è stata introdotta e coltivata in Europa per le straordinarie proprietà medicinali (la pianta è, infatti, ricca di sostanze psicoattive cannabinoidi: CBD e THC) e per l’ottima fibra tessile che si ricava dai fusti. Al pari del lino e del cotone la canapa è stata ampiamente coltivata anche in Italia, la Campania era una delle maggiori produttrici, ampiamente seminata nella fertilissima Terra di Lavoro dalle fibre di questa pianta si ricavavano tessuti, cordami, semi – ottimi per l’alimentazione animale e l’estrazione di olio. L’idilliaco rapporto tra uomo e canapa si è incrinato con l’avvento della chimica moderna e delle fibre sintetiche che hanno reso poco redditizia la canapicoltura. Sebbene la canapa promettesse numerosi altri modi di utilizzazione – può fornire materia prima per la fabbricazione della carta e di biocarburante – le terre coltivate con questa pianta sono state abbandonate e la canapa ha conservato una certa notorietà solo per le sue proprietà chimiche. Nella seconda metà del ‘900 l’uso come sostanza stupefacente spinge molti governi a vietarne l’uso e la coltivazione. Solo alla soglia del nuovo millennio è stata riconosciuta l’enorme importanza di questa specie ed è stata nuovamente concessa l’autorizzazione alla coltivazione della canapa a condizione che siano seminate varietà a basso tenore di THC (inferiore allo 0,2%) compresa nell’elenco approvato dall’Unione Europea e che sia seguita la procedura stabilita dalla Circolare del MIPAF n.1 dell’8 maggio 2002. Come ci spiega il sig. Michele Castaldo, responsabile per la Campania e la Calabria di Assocanapa (Coordinamento Nazionale per la Canapicoltura) la ripresa della coltivazione della canapa in Campania può rappresentare una vera svolta per la nostra agricoltura: «L’utilizzo delle biomasse a fini energetici rappresenta oggi una valida risposta alle pressanti questioni energetiche ed ambientali. La realizzazione di distretti bioenergetici, legati al concetto di filiera corta – cioè una filiera in cui produzione ed approvvigionamento di biomassa, e produzione ed uso finale di energia avvengono a livello locale – rappresenta un contributo positivo verso il raggiungimento dell’indipendenza energetica e lo sviluppo economico locale. Lo sfruttamento energetico delle biomasse endogene, di origine agricola, è obiettivo delle politiche energetiche europea, nazionale e regionale, ed è considerato strategico anche dalle politiche agricole e di sviluppo rurale comunitaria e regionale che prevedono specifiche misure per facilitare la conversione di alcune zone agricole verso le produzioni “no-food” e per la diversificazione dell’imprenditoria agraria. È il momento di creare una realtà locale in grado di salvaguardare l’ambiente. È il momento di promuovere una coltura che non richieda trattamenti di fitofarmaci, diserbanti e concimanti, che contribuisca al risparmio idrico in agricoltura e che contrasti in modo efficace la desertificazione e la deforestazione, che sia in grado di svolgere un ruolo di bonifica dei suoli e dell’aria e che offra 15 tonnellate di sostanza secca per ettaro in soli quattro mesi. La canapa è tutto ciò e non solo perché da essa si ottiene biomassa per la rivalutazione energetica ma anche materie prime per l’industria, come la fibra, da cui si possono produrre tessuti, biopolimeri, cellulosa, pannelli ad alta isolanza termica per la riqualificazione energetica degli edifici ed altro ancora. La canapa rappresenta una preziosa opportunità per promuovere lo sviluppo industriale sostenibile rappresentando al contempo una fonte di reddito integrativo per le aziende agricole ed un’azione diretta alla bonifica dei siti ed al recupero dei suoli dismessi».
Ferdinando Fontanella
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