giovedì 2 dicembre 2010

Giornata mondiale della lotta all’AIDS: Africa e prevenzione sono ancora le pecore nere

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Oggi è la giornata mondiale della lotta all’AIDS e gli esperti e le organizzazioni impegnate sul fronte della lotta alla malattia parlano di “cauto ottimismo” nonostante ancora i problemi siano tantissimi, primo fra tutti la sensazione che nel corso degli anni l’attenzione sul problema sia calata.
A dimostrazione che l’attenzione sulla diffusione della malattia sia scemata vi è il pressoché totale disinteresse dei media all’importantissima giornata di oggi, anche se la concomitanza di tante altre notizie importanti ha certamente favorito “l’oscuramento”.
Ottimismo: gli ultimi dati sulla diffusione della malattia fanno esprimere agli esperti un cauto ottimismo. Dal 1999 ad oggi la diffusione dell’HIV (in termini di nuovi contagi) è calata del 19% arrivando alla seppur importante cifra di 2,6 milioni di nuovi contagi nel 2009 (dati Onusida).

Pessimismo: tuttavia, a fronte di un calo dei nuovi contagi e di una sostanziale riduzione della mortalità in occidente, la malattia non sembra rallentare in Africa e in Asia. I motivi sono sostanzialmente due:
1.       A differenza di quanto avviene in occidente, nel continente africano e in quello asiatico l’accesso alle cure retrovirali non è ancora soddisfacente. Questo provoca la morte di chi è contagiato e aumenta la percentuale di nuovi contagi trasmessi sia per via sessuale che tra madre e figlio (contagio intrauterino).
2.       La prevenzione in Africa e nel resto del mondo è ancora troppo sottovalutata. L’uso del preservativo è fortemente osteggiato dalla Chiesa Cattolica nonostante le recenti aperture del Papa. Non c’è sufficiente informazione né sull’uso del preservativo, né sulle modalità di trasmissione.
A questi due punti fondamentali va aggiunto che la ricerca di farmaci retrovirali da usare come “arma preventiva” ha subito un brusco rallentamento anche a causa di forti polemiche sui risultati, polemiche che hanno investito soprattutto il continente africano. Nell’occhio del ciclone la soluzione chiamata “PrEP” (profilassi pre-esposizione) che secondo alcuni esperti riduce il rischio di contagio del 39%, mentre secondo altri fornisce un falso senso di sicurezza che porta la persona ad abbassare la guardia sul rischio di contagio. Secondo questi ultimi la ricerca dovrebbe concentrarsi su nuovi farmaci retrovirali ancora più efficaci e, soprattutto, sul vaccino contro l’HIV e non su metodi preventivi che esulano da quello molto più sicuro dell’uso del preservativo.
Il problema più grande nei Paesi poveri rimane comunque l’accesso alle cure che, a causa dell’alto costo che comporta, non viene garantito dal sistema sanitario nazionale. In molti Paesi poveri i farmaci retrovirali possono essere acquistati solo dietro al pagamento del farmaco. Questo esclude buona parte della popolazione e, in molti casi, costringe anche chi ha iniziato il trattamento a interromperlo dopo pochi mesi per l’impossibilità di sostenere le spese della cura. Qualcosa sta cambiando e molti Paesi stanno introducendo il trattamento retrovirale almeno per le donne sieropositive in stato di gravidanza, ma anche in questo caso a essere carente è l’informazione, per cui molte donne in stato di gravidanza non sanno di essere sieropositive e, anche se lo sapessero, non sanno che avrebbero accesso gratuito ai farmaci retrovirali.
Come ribadiamo ogni anno in questa giornata, quella che secondo noi è una delle priorità della lotta contro l’HIV nei Paesi in via di sviluppo è la prevenzione che, abbinata a una giusta informazione, fa la differenza. Promuovere l’uso del preservativo anche con distribuzioni gratuite, campagne di sensibilizzazione affidate anche alle Ong, distribuzione di farmaci retrovirali almeno alle donne in stato di gravidanza, sono per noi le priorità. A queste va aggiunta una politica sanitaria che arrivi a garantire a tutti la distribuzione di farmaci retrovirali, anche con l’aiuto economico delle grandi istituzioni mondiali (World Bank e FMI). Comprendiamo che per arrivare a questo ci vorrà del tempo e che comunque passi avanti sono stati fatti, ma non si deve mollare e, soprattutto, non si deve dimenticare che l’HIV è ancora la malattia del secolo, una malattia che a livello sociale è assolutamente devastante.
Secondo Protocollo

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