l giovane fornaio di Matera e' deceduto nove ore dopo in ospedale, aveva cranio e setto nasale rotti "Lino ammazzato dalla polizia" La famiglia dell' uomo morto dopo la lite in questura accusa, aperta un' inchiesta DAL NOSTRO INVIATO MATERA - Entrare in questura vivi e uscirne morti. "Proprio cosi' , questo e' accaduto. Non e' stata una fatalita' . A Lino lo hanno ammazzato in questura": a parlare, tra le lacrime e la pieta' della gente che gremisce la chiesa di San Domenico per i funerali di Lino, sono i familiari di Angelo Raffaele De Palo, detto Lino, fornaio di 31 anni, sposato, papa' di una bimba di dieci anni. Secondo loro, Lino e' stato "pestato a sangue". C' e' tanto dolore nel vecchio palazzo Latronico, da dove portano via la salma di Lino. E anche tanta rabbia. Il dolore, come quello della vecchietta che piange dietro le tendine bianche di una porta - finestra, trova il suo sfogo nelle lacrime e nelle preghiere. La rabbia invece si cerca di reprimerla, ma c' e' poco da fare, vien fuori come lava da un vulcano. "Adesso bisogna piangere Lino e stare vicino ai suoi - dicono gli amici, alcuni venuti persino dall' Austria -. Ma poi bisognera' gridare che questo e' un delitto e che occorre fare giustizia. Ha fatto bene il fratello di Lino a scrivere ai ministri dell' Interno e della Giustizia". La fine di Lino De Palo e' cominciata venerdi' sera, poco dopo le 23, nel centro di Matera, una delle citta' piu' tranquille d' Italia, anche sul fronte della cosiddetta microcriminalita' .
Lino De Palo e' nei giardinetti, sotto casa sua, e sta discutendo animatamente, forse troppo, con un' altra persona. Passa una "volante" a lampeggiante spento, siamo a non piu' di 500 metri dalla questura, e si ferma. Normale controllo. Magari per capire se quello che hanno da dirsi con tanta foga i due possa degenerare. Ma De Palo, secondo la versione della polizia, non gradisce l' intervento. Oltraggia, si agita, minaccia. Pero' senza fare storie sale sull' auto degli agenti, che accende il lampeggiante e sgomma verso la questura. Ma qui, sempre secondo il racconto dei poliziotti, De Palo si arrabbia di nuovo. Al punto da avere uno scatto d' ira contro un ispettore, lanciandogli in faccia la sigaretta accesa e poi afferrandolo per il collo. Segue colluttazione tra i due e la caduta - contro un palo di cemento armato o uno spigolo, non si capisce bene - che spappola il setto nasale di Lino De Palo. Il giovane adesso e' a terra, e non da' segni di vita. E' mezzanotte. Arriva l' ambulanza, si corre all' ospedale e si ricovera Lino nel reparto di otorinolaringoiatria perche' si pensa a una rottura delle varici dell' esofago. Anche se non si fa nemmeno una radiografia per accertarlo, cosa che forse avrebbe permesso di "vedere" la frattura del cranio del povero Lino "nella regione occipitale - parietale", come dira' l' autopsia eseguita dal professor Luigi Strada dell' universita' di Bari. Cranio fracassato e conseguente emorragia cerebrale spengono Lino in nove ore. Il giorno dopo, sabato alle 9.35, il ragazzo muore. Sua moglie riesce a vederlo un attimo prima che lo portino all' obitorio, "e vede lo spettacolo terribile del marito che, in ospedale, giace a terra, in una pozza di sangue", racconta il fratello di Lino, Giuseppe. "Nessuno ci aveva avvisati - aggiunge Giuseppe -. Io stesso l' ho saputo per caso all' una di notte da un amico che lavora in ospedale e sono corso da mio fratello. L' ho trovato abbandonato su un letto in corsia e con il mio fazzoletto gli ho pulito il volto insanguinato". Il questore, Eugenio Introcaso, parla di tragica fatalita' . Ma in citta' c' e' chi non e' convinto. E il pm Eva Toscani ha aperto un' inchiesta e ha fatto sequestrare le cartelle cliniche. Anche perche' c' e' da spiegare come poteva un ragazzo minuto e malato come Lino De Palo sprigionare tanta aggressivita' con i poliziotti. "E' vero - dicono amici e familiari -, stava male perche' era sieropositivo, e allora? Con la droga aveva chiuso. Era diventato un ragazzo felice. Aveva anche un panificio tutto suo. Cosa mai puo' aver fatto per essere ammazzato?". Carlo Vulpio
LA LETTERA DEL FRATELLO "Non hanno avvisato noi ne'
il magistrato" DAL NOSTRO INVIATO MATERA -
"Signor ministro Oliviero Diliberto: perche' ? Signora ministro Rosa Russo Jervolino: perche' ? Perche' mio fratello, trasferito in questura vivo, si e' trovato morto in ospedale?". E' drammatica la lettera che Giuseppe De Palo, fratello di Angelo Raffaele, ha inviato ai ministri della Giustizia e dell' Interno per invocare trasparenza "sulla fine di un ragazzo di 31 anni, figlio di una famiglia stimata da tutti, che da cento anni a Matera produce pane e biscotti". Ma non c' e' solo dolore, nelle parole di Giuseppe De Palo, diplomato, ex studente in Legge e poi anch' egli panificatore, come i genitori e i fratelli. Giuseppe, a nome di tutta la famiglia, chiede: "Avete approvato il nuovo "pacchetto - anticrimine". Ma siete proprio convinti di delegare alle forze dell' ordine fermi e accertamenti senza informare la magistratura, anche quando non sono stati commessi reati?". E poi, la conclusione amara: "Siamo in Europa, si viaggia senza passaporto, e a Matera si ferma in pieno centro, sotto casa propria, un ragazzo. Lo si porta in questura per accertamenti, lo si ricovera per sospetta frattura del setto nasale e lo si ritrova morto, senza che i genitori, la moglie, il magistrato vengano avvisati. Ma il questore parla di fatalità". Ai funerali di Lino, nessun rappresentante istituzionale. E nessun accenno da parte del prete alla tragica fine del ragazzo. In compenso, una folla spontanea, "un corteo di protesta silenziosa che ci conforta", dicono quelli
che a Lino De Palo volevano bene.
Vulpio Carlo
fonte: http://archiviostorico.corriere.it/ (23 marzo 1999) - Corriere della Sera
AVEVA TRENTUN ANNI E UNA FIGLIA Matera, morì per le botte ricevute in questura Condannato poliziotto L' ispettore che organizzò il pestaggio dovrà scontare una pena di cinque anni
AVEVA TRENTUN ANNI E UNA FIGLIA Matera, morì per le botte ricevute in questura Condannato poliziotto L' ispettore che organizzò il pestaggio dovrà scontare una pena di cinque anni Aveva trentun anni e una figlia Matera, morì per le botte ricevute in questura Condannato poliziotto DAL NOSTRO INVIATO MATERA - Nessuno voleva ammetterlo, e nemmeno ipotizzarlo, perché nessuno credeva alle accuse dei familiari contro la polizia. Ma la breve vita di Angelo Raffaele De Palo, Lino per gli amici, 31 anni, sposato con Anna, padre di una bimba che oggi ha 12 anni, è finita proprio così: con un poliziotto che nella notte tra il 19 e il 20 marzo del 1999, nella tranquilla questura di Matera, gli ha fracassato il cranio. Il processo di primo grado si è concluso ieri sera, con la sentenza del giudice Nicola Balice, che ha condannato per omicidio preterintenzionale l' ispettore di polizia Francesco Ambrosino, 34 anni, a 5 anni e 4 mesi di reclusione, l' interdizione perpetua dai pubblici uffici e il risarcimento dei danni (per ora, una provvisionale di 250 milioni) a favore dei familiari di Lino De Palo. L' accusa (il pm Maria Cristina Gargiulo aveva chiesto 8 anni) si è avvalsa soprattutto delle perizie medico-legali, con quelle foto della testa di Lino fratturata in più parti, il setto nasale spaccato, gli incisivi saltati. Troppo, per una caduta accidentale. Abbastanza, per immaginare «i colpi violenti e ripetuti» della testa di un uomo contro un muro, una colonna, o il pavimento. Lino, la sera in cui salì a bordo della Volante che lo portò in questura, era nei giardinetti sotto casa sua. «Dava fastidio ai passanti», «Era ubriaco», racconteranno i poliziotti. Ma la perizia tossicologica ha negato lo stato di ebbrezza. «Ci ha insultati», «Ha aggredito il collega», insisteranno gli agenti. Ma Lino era piccoletto, pesava sì e no 50 chili. L' ispettore Ambrosino, al confronto, era Maciste. «Era malato, sieropositivo, non aveva nulla da perdere», sarà l' ultima, maliziosa «giustificazione» fatta circolare per spiegare l' incredibile mutazione di un oltraggio (forse) a pubblico ufficiale in omicidio. Ma anche la malattia di Lino, ex tossicodipendente ormai fuori dal giro, non è servita a trasformare la vittima in colpevole. Lino aveva cambiato vita. La famiglia, panificatori da cento anni, lo ha sostenuto anche nei momenti più difficili, fino a metter su per lui una panetteria, che Lino gestiva con entusiasmo. Nessuna fatalità, dunque, come s' era affrettato a dire il questore, Eugenio Introcaso. Al contrario, c' è ancora da capire come mai Lino sia morto per emorragia cerebrale nove ore dopo, in ospedale, senza una radiografia che forse avrebbe potuto salvargli la vita. Su questo, la Procura ha aperto due indagini. Una sull' operato dei sanitari, l' altro sul ruolo di due colleghi di Ambrosino, Antonio Matarrese e Angelo Di Lecce. Presenti al pestaggio, i due avrebbero fornito una versione dei fatti non veritiera. Eppure, va detto, su questa brutta storia ci sono stati troppi silenzi. Come il prete che celebrò i funerali di Lino. Ma Anna Provenza, la moglie di Lino, in questi due anni ha resistito anche contro questi silenzi. Ieri era in aula con la figlia, ma a un certo punto è scappata via in lacrime. Poi ha saputo della sentenza e ha detto: «Forse anche per i più deboli esiste un po' di giustizia». Carlo Vulpio
(18 aprile 2001) - Corriere della Sera
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