Visti i miei dubbi un amico ha deciso di scrivermi, ed io, vista la completezza , la pubblico, insieme con una mia riflessione chiaritrice conseguente alla sua risposta. Caro Alessandro, xxx mi scrive che hai dubbi su come votare ai due referendum sull'acqua e mi chiede di spiegarti quali sarebbero le ragioni per votare SI. Un compito che molto complicato in poche parole, anche se tu avessi la pazienza di leggere questo messaggio per intero; più semplice se avessi invece la pazienza di consultare bene il DVD di documentazione e video che ho preparato e che sto per inviarti per posta. Naturalmente il mio contributo è quello di uno molto nettamente schierato. Ma sono disponibili ovunque argomenti di parte avversa. Prima di tutto cosa intendiamo per privatizzazione. Da almeno due decenni nel mondo, in Europa e in Italia si è avviato e poi consolidato (con varie sfumature) l'ingresso delle imprese e dei capitali finanziari privati nella gestione dei servizi pubblici locali (es. smaltimento rifiuti, trasporti, servizi idrici civili). Questo ingresso, in sintesi schematica, è rappresentato dagli affidamenti di gestione che hanno ottenuto e continuano ad ottenere soggetti privati configurati come SpA a capitale misto pubblico-privato o a capitale totalmente pubblico (sono invece numericamente poche le SpA a capitale totalmente privato, anche se tra queste ci sono alcune delle multinazionali più potenti del settore). In Italia fino al 1990 circa le gestioni dei servizi pubblici locali sono state curate direttamente dagli enti locali in prevalenza attraverso assunzioni dirette con propri mezzi (c.d. gestioni in economia) o attraverso aziende municipalizzate, aziende speciali ed enti di diritto pubblico e consorzi di varia natura (tutte figure dotate di qualche autonomia imprenditoriale ma di nessuna autonomia gestionale, e perciò sottoposte al potere di direzione dell'ente locale). Dal 1990 questo quadro è mutato profondamente: si è prima stabilito che i servizi pubblici locali potessero essere gestiti con SpA a prevalente capitale pubblico (1990), poi con SpA senza la proprietà pubblica maggioritaria (1992); successivamente è stato introdotto il principio della remunerazione garantita del capitale privato investito nel settore (1994); negli anni 2000-2003 è stato stabilito che le aziende speciali e i consorzi comunali per la gestione dei servizi dovevano trasformarsi in SpA (fatta eccezione per i Comuni con meno di 1.000 abitanti inseriti in Comunità Montane) e che i servizi potevano in futuro essere prodotti solo mediante SpA totalmente private, SpA miste pubbliche-private, SpA totalmente pubbliche purchè gli enti proprietari esercitassero su di esse un controllo equivalente a quello sui propri uffici (il c.d. controllo analogo).
E' all'interno del quadro di regole appena descritto che in Italia le SpA dei tre tipi indicati sono entrate prepotentemente nel settore dei servizi idrici civili (parliamo d'ora in poi solo di questo servizio pubblico locale) fino ad occupare quasi tutto il mercato nazionale (con le SPA miste circa al 50% dello stesso mercato). Le norme del 2008-2009, ora sottoposte al primo dei due referendum sull'acqua, hanno consolidato questo quadro e impresso una fortissima accelerazione della privatizzazione a favore delle SPA totalmente private o a capitale misto, con contestuale sfavore verso le gestioni delle SpA a capitale totalmente pubblico: e questo hanno fatto imponendo che nelle SpA miste il socio privato debba avere almeno il 40% del capitale sociale e compiti operativi (cioè non può essere solo un socio finanziatore) e imponendo la fine delle gestioni delle SpA pubbliche che non si adeguano a questo schema (vendendo almeno il 40% del loro capitale sociale a nuovi soci privati). Ma perchè esiste tanto allarme nei movimenti per l'acqua pubblica a proposito di questi processi? C'è in primo luogo da ricordare una delle basi ideologiche del ricorso ai privati nel mercato dell'acqua. Si afferma comunemente che le gestioni pubbliche (sia quelle direttamente comunali che, soprattutto, quelle tramite SpA totalmente pubbliche) sono inefficienti, non riescono a fare gli investimenti necessari, sono carrozzoni clientelari che ripoducono il potere dei partiti dominanti. La critica è parziale perchè almeno in alcune delle gestioni di servizio idrico più brillanti d'Italia i privati nemmeno compaiono. E tuttavia possiamo accettarla come punto di partenza, dovendo comunque sempre distinguere tra le gestioni tramite SpA totalmente pubbliche e le gestioni comunali dirette in economia o le aziende speciali che ancora resistono (sono quelle residue dei piccoli Comuni citati sopra). Ma non c'è a mio parere alcuna ragione, se non ideologica, per sostenere che all'inefficienza e al clientelismo delle gestioni pubbliche si può rispondere solo con gestioni privatizzate; va invece fatto un enorme lavoro per invertire la tendenza e fare in modo che le gestioni pubbliche (quelle veramente tali) rispondano alla loro finalità naturale di servizo sociale di interesse generale non economico, a costi minori possibili, con l'intervento sistematico della fiscalità generale e con il controllo delle collettività degli utenti. Certo, un obiettivo assai difficile da perseguire in una situazione in cui gli enti locali sono sempre più indeboliti (dal punto di vista finanziario e della frammentazione delle competenze) e le priorità di bilancio (nazionale e locale) sono tristemente orientate verso obiettivi che poco hanno a che vedere con i bisogni delle persone. Veniamo infine alle criticità specifiche che presentano gli affidamenti dei servizi idrici alle Spa miste o totalmente pubbliche, e ad alcune differenze tra queste criticità. Dati diffusissimi e di ogni provenienza indicano che: a) in Italia gli investimenti di settore nel decennio 1986-1995 (prima delle privatizzazioni) erano di 2 miliardi di Euro equivalenti per anno e nel decennio successivo (con molte gestioni divenute SpA) sono crollati a 700 milioni per anno, e il trend è proseguito nei periodi seguenti; b) nel decennio 1998-2008 le tariffe idriche sono cresciute il doppio dell'inflazione; c) i consumi di acqua stanno aumentando molto (un altro aumento del 20% si prevede entro il 2025 circa) e le perdite di rete sono attestate intorno alla media nazionale del 35%. Si dice senza troppo ragionare che solo i privati possono portare nel settore capitali per investimenti (solo per sistemare le reti servirebbero circa 60 miliardi di Euro in 25 anni). I dati e l'esperienza segnalano il contrario: la privatizzazione del settore porta aumenti di tariffe, diminuzione di investimenti, caduta della qualità dei servizi, minore occupazione, aumento dei consumi. Ma perchè? Le SpA (private, miste o pubbliche che siano) sono soggetti di diritto privato, sottomessi alle regole del diritto commerciale, tenuti per legge a produrre profitto, cioè dividendi per i loro azionisti, oppure a fallire. Ma la produzione di profitto da un servizio idrico ne produce uno snaturamento che non mi pare sia da spiegare, specie se si considera che questo profitto le SpA (nemmeno quelle pubbliche) non sono neppure obbligate a reinvestirlo integralmente nel settore. Beninteso, le SpA di settore alcuni investimenti li devono fare: ma gli importi e i correlativi obblighi sono sepolti nei contratti di servizio che nessuno riesce a consultare perchè sono documenti segreti di soggetti privati. La costruzione e la manutenzione straordinaria delle infrastrutture idriche si fa ancora quasi totalmente con risorse di bilancio pubblico: le SpA di gestione hanno il diritto di utilizzarle in cambio di canoni d'uso irrisori, anch'essi individuati nel segreto dei contratti di servizio. La possibilità che la parte pubblica controlli decisioni e andamento delle SpA è del tutto illusoria: i) sia nelle SpA miste, in cui l'autonomia gestionale (non solo imprenditoriale) consegna il potere al consiglio di amministrazione e all'amministratore delegato (sempre nominato dai soci privati, chissà come mai) mentre i Consigli comunali degli enti locali proprietari di quote restano fuori dalle scelte che contano; ii) sia nelle SPA totalmente pubbliche, in cui il c.d. controllo analogo è solo parvenza e (cfr. decisioni innumerevoli della magistratura europea e nazionale) si infrange contro l'autonomia del consiglio di amministrazione e il fatto di non avere potere direttivo, vigilanza sugli obiettivi, diritto di veto sulle decisioni principali, controllo sui singoli atti gestionali, parità informativa. Per questi motivi non può sorprendere che le SpA (anche totalmente pubbliche) affidatarie di servizi idrici in Italia compiano incursioni finanziarie fuori settore, acquisiscano servizi idrici in altri Stati e in altri continenti, in sostanza si allontanino più o meno gradualmente dai territori e dalle collettività che inizialmente sono state chiamate a servire. E le vicende societarie approfondiscono queste contraddizioni. Aumenti di capitale, collocamenti in borsa, trasferimenti di quote azionarie, emissioni di azioni privilegiate senza diritto di voto in assemblea dei soci, ecc., contribuiscono alla finanziarizzazione del settore e all'incontrollabilità di questi soggetti. Quanti sanno che in Italia - anche prima delle norme 2008-2009 del Governo Berlusconi - non esisteva un vincolo-quadro che impedisse a SpA nate come totalmente pubbliche di aprirsi in seguito all'ingresso di capitali privati? Il secondo questito referendario sull'acqua è molto semplice da leggere. Si rivolge contro le norme statali del 1994 e del 2006 che assicurano la remunerazione del capitale privato investito nei servizi idrici (individuata nel 7%); una remunerazione praticamente automatica, che si esplicita nelle bollette degli utenti, libera da verifiche che non siano di facciata (risparmio gli aspetti tecnici complicati su questo punto).
E' all'interno del quadro di regole appena descritto che in Italia le SpA dei tre tipi indicati sono entrate prepotentemente nel settore dei servizi idrici civili (parliamo d'ora in poi solo di questo servizio pubblico locale) fino ad occupare quasi tutto il mercato nazionale (con le SPA miste circa al 50% dello stesso mercato). Le norme del 2008-2009, ora sottoposte al primo dei due referendum sull'acqua, hanno consolidato questo quadro e impresso una fortissima accelerazione della privatizzazione a favore delle SPA totalmente private o a capitale misto, con contestuale sfavore verso le gestioni delle SpA a capitale totalmente pubblico: e questo hanno fatto imponendo che nelle SpA miste il socio privato debba avere almeno il 40% del capitale sociale e compiti operativi (cioè non può essere solo un socio finanziatore) e imponendo la fine delle gestioni delle SpA pubbliche che non si adeguano a questo schema (vendendo almeno il 40% del loro capitale sociale a nuovi soci privati). Ma perchè esiste tanto allarme nei movimenti per l'acqua pubblica a proposito di questi processi? C'è in primo luogo da ricordare una delle basi ideologiche del ricorso ai privati nel mercato dell'acqua. Si afferma comunemente che le gestioni pubbliche (sia quelle direttamente comunali che, soprattutto, quelle tramite SpA totalmente pubbliche) sono inefficienti, non riescono a fare gli investimenti necessari, sono carrozzoni clientelari che ripoducono il potere dei partiti dominanti. La critica è parziale perchè almeno in alcune delle gestioni di servizio idrico più brillanti d'Italia i privati nemmeno compaiono. E tuttavia possiamo accettarla come punto di partenza, dovendo comunque sempre distinguere tra le gestioni tramite SpA totalmente pubbliche e le gestioni comunali dirette in economia o le aziende speciali che ancora resistono (sono quelle residue dei piccoli Comuni citati sopra). Ma non c'è a mio parere alcuna ragione, se non ideologica, per sostenere che all'inefficienza e al clientelismo delle gestioni pubbliche si può rispondere solo con gestioni privatizzate; va invece fatto un enorme lavoro per invertire la tendenza e fare in modo che le gestioni pubbliche (quelle veramente tali) rispondano alla loro finalità naturale di servizo sociale di interesse generale non economico, a costi minori possibili, con l'intervento sistematico della fiscalità generale e con il controllo delle collettività degli utenti. Certo, un obiettivo assai difficile da perseguire in una situazione in cui gli enti locali sono sempre più indeboliti (dal punto di vista finanziario e della frammentazione delle competenze) e le priorità di bilancio (nazionale e locale) sono tristemente orientate verso obiettivi che poco hanno a che vedere con i bisogni delle persone. Veniamo infine alle criticità specifiche che presentano gli affidamenti dei servizi idrici alle Spa miste o totalmente pubbliche, e ad alcune differenze tra queste criticità. Dati diffusissimi e di ogni provenienza indicano che: a) in Italia gli investimenti di settore nel decennio 1986-1995 (prima delle privatizzazioni) erano di 2 miliardi di Euro equivalenti per anno e nel decennio successivo (con molte gestioni divenute SpA) sono crollati a 700 milioni per anno, e il trend è proseguito nei periodi seguenti; b) nel decennio 1998-2008 le tariffe idriche sono cresciute il doppio dell'inflazione; c) i consumi di acqua stanno aumentando molto (un altro aumento del 20% si prevede entro il 2025 circa) e le perdite di rete sono attestate intorno alla media nazionale del 35%. Si dice senza troppo ragionare che solo i privati possono portare nel settore capitali per investimenti (solo per sistemare le reti servirebbero circa 60 miliardi di Euro in 25 anni). I dati e l'esperienza segnalano il contrario: la privatizzazione del settore porta aumenti di tariffe, diminuzione di investimenti, caduta della qualità dei servizi, minore occupazione, aumento dei consumi. Ma perchè? Le SpA (private, miste o pubbliche che siano) sono soggetti di diritto privato, sottomessi alle regole del diritto commerciale, tenuti per legge a produrre profitto, cioè dividendi per i loro azionisti, oppure a fallire. Ma la produzione di profitto da un servizio idrico ne produce uno snaturamento che non mi pare sia da spiegare, specie se si considera che questo profitto le SpA (nemmeno quelle pubbliche) non sono neppure obbligate a reinvestirlo integralmente nel settore. Beninteso, le SpA di settore alcuni investimenti li devono fare: ma gli importi e i correlativi obblighi sono sepolti nei contratti di servizio che nessuno riesce a consultare perchè sono documenti segreti di soggetti privati. La costruzione e la manutenzione straordinaria delle infrastrutture idriche si fa ancora quasi totalmente con risorse di bilancio pubblico: le SpA di gestione hanno il diritto di utilizzarle in cambio di canoni d'uso irrisori, anch'essi individuati nel segreto dei contratti di servizio. La possibilità che la parte pubblica controlli decisioni e andamento delle SpA è del tutto illusoria: i) sia nelle SpA miste, in cui l'autonomia gestionale (non solo imprenditoriale) consegna il potere al consiglio di amministrazione e all'amministratore delegato (sempre nominato dai soci privati, chissà come mai) mentre i Consigli comunali degli enti locali proprietari di quote restano fuori dalle scelte che contano; ii) sia nelle SPA totalmente pubbliche, in cui il c.d. controllo analogo è solo parvenza e (cfr. decisioni innumerevoli della magistratura europea e nazionale) si infrange contro l'autonomia del consiglio di amministrazione e il fatto di non avere potere direttivo, vigilanza sugli obiettivi, diritto di veto sulle decisioni principali, controllo sui singoli atti gestionali, parità informativa. Per questi motivi non può sorprendere che le SpA (anche totalmente pubbliche) affidatarie di servizi idrici in Italia compiano incursioni finanziarie fuori settore, acquisiscano servizi idrici in altri Stati e in altri continenti, in sostanza si allontanino più o meno gradualmente dai territori e dalle collettività che inizialmente sono state chiamate a servire. E le vicende societarie approfondiscono queste contraddizioni. Aumenti di capitale, collocamenti in borsa, trasferimenti di quote azionarie, emissioni di azioni privilegiate senza diritto di voto in assemblea dei soci, ecc., contribuiscono alla finanziarizzazione del settore e all'incontrollabilità di questi soggetti. Quanti sanno che in Italia - anche prima delle norme 2008-2009 del Governo Berlusconi - non esisteva un vincolo-quadro che impedisse a SpA nate come totalmente pubbliche di aprirsi in seguito all'ingresso di capitali privati? Il secondo questito referendario sull'acqua è molto semplice da leggere. Si rivolge contro le norme statali del 1994 e del 2006 che assicurano la remunerazione del capitale privato investito nei servizi idrici (individuata nel 7%); una remunerazione praticamente automatica, che si esplicita nelle bollette degli utenti, libera da verifiche che non siano di facciata (risparmio gli aspetti tecnici complicati su questo punto).
L'obiettivo evidente è quello di rendere poco appetibile per i privati la presenza nel settore. Ti ho dato qualche spunto, Alessandro, per una informazione completa ci vuole molto di più. Ma se non sei convinto di votare di SI ora non dovresti nemmeno essere sicuro di votare No o di non andare a votare. Consulta se hai tempo il sito del Forum dei movimenti italiani per l'acqua
http://www.acquabenecomune.org/ e quello specifico sui referendum
http://www.referendumacqua.it/
Un abbraccio xxxx
http://www.acquabenecomune.org/ e quello specifico sui referendum
http://www.referendumacqua.it/
Un abbraccio xxxx
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