Se la governance droga il mercato invece di indirizzare l'economia....
Diego Barsotti
LIVORNO. A metà del 2008 il mondo ha cominciato a fare i conti con una violentissima febbre che ha colpito le economie sviluppate, quella americana in primis. Pochissimi medici (economisti) avevano previsto la gravità della malattia e anche successivamente soltanto in pochi hanno diagnosticato la vera causa che ha scatenato la crisi. La maggior parte si è limitata fino ad oggi a occuparsi di quella che a tutti gli effetti può essere paragonata a una risposta di un indebolito sistema immunitario ad aggressioni di origine batterica o virale e i governanti hanno seguito questi consigli, ingozzando l'economia di paracetamolo e simili: hanno abbassato la febbre del paziente senza curare la malattia, a secchiate di incentivi, stimoli economici e sostegni sparati a casaccio, di fatto drogando e allungando l'agonia di un sistema economico bacato dal verme della crescita a tutti i costi (ambientali e sociali prima di tutto).
Oggi che si comincia a parlare di seconda recessione, o del secondo picco del famigerato andamento a 'W' (per gli Stati Uniti, ma sappiamo bene come anche nel 2008 il virus partito dagli Usa si sia ben presto propagato in quasi tutto il mondo) è sempre più evidente la necessità di attaccare il virus alla base, di far cambiare rotta alla locomotiva e realizzare quel cambio di paradigma così necessario per garantire una sopravvivenza al pianeta e alle generazioni future.
Su Italia Oggi gli economisti Paolo Raimondi e Mario Lettieri (che è stato anche sottosegretario all'economia del governo Prodi) ricordano che «lo stimolo economico è figlio dell'idea di un'economia a breve termine, che è una delle cause della crisi. Si ritiene che gli aiuti economici quali i bonus per l'acquisto di auto e frigoriferi, possano rimettere in moto l'economia. In realtà sono positivi soltanto gli interventi che vanno a sostegno dei redditi bassi e dell'occupazione. Ma non bastano a far ripartire un motore che si è rotto».
L'auspicato New deal obamiamo non si è affatto realizzato a dimostrazione che non basta indirizzare l'economia, ma bisogna indirizzarla nel verso giusto, cioè nella direzione di una sostenibilità ambientale e sociale che garantisca il futuro: «Il new deal - continuano Lettieri e Raimondi - era invece un vasto programma a lungo termine per una vera rivoluzione industriale, tecnologica e sociale. Si basava in particolare su due istituzioni: la National recovery adnministration per guidare gli investimenti nelle infrastrutture e nelle opere pubbliche e la Recostruction finance corporation per immettere nuovi crediti mirati a investimenti ben selezionati. Purtroppo questi programmi sono mancati e sappiamo che il presidente Obama è sempre stato tenuto sotto scacco dalle lobby della finanza, ma è altresì vero che adesso non può più sottostare ai ricatti, pena il rischio di un totale fallimento».
Questo rischio è ben riconosciuto anche oltreoceano, dalle poche menti che hanno avuto la forza di guardare il malato dall'interno, senza soffermarsi solo sulla temperatura alta: «Non è ancora il segnale che siamo prossimi al "double dip" della recessione - spiega oggi a Repubblica Michael Spence, economista premio Nobel nel 2001 - ma certo il crollo delle compravendite immobiliari è una pessima notizia. Per l´economia americana e per la ripresa mondiale. Per gli americani il sentiero si è fatto ancora più stretto: devono capire tutti insieme non solo che non si può più imperniare il proprio status patrimoniale sulla casa, ma soprattutto che non possono più fare affidamento sulle sovvenzioni governative».
Secondo Spence sarebbe folle se l'America varasse un secondo pacchetto di stimoli perché «E´ tempo che l´economia si misuri con i reali valori in campo, senza il "doping" degli incentivi. Sia il rapporto deficit/Pil, che era già al 10% prima della recessione, che quello debito/Pil, che era al 60, sono schizzati a picchi che devono essere ancora calcolati ma sono insostenibili. Certo, la situazione, come provano queste ultime e le altre cattive notizie delle passate settimane, richiede ancora qualche intervento pubblico, oltre che probabilmente un rialzo delle tasse».
Il premio nobel del 2001 però avverte e indica limiti e direzione degli interventi pubblici: «bisogna concentrarsi sui sussidi alla disoccupazione, che resta il problema numero uno e anche sull´ipotesi di sovvenzionare gli imprenditori che assumono bisogna muoversi con cautela: una eventuale misura del genere dovrebbe essere permanente perché se è temporanea finisce col "drogare" il mercato e diventare controproducente».
Però gli economisti "virtuosi" non tengono conto di una variabile impazzita della democrazia occidentale: la politica marketing che porta chi governa a fare scelte di breve periodo, trascurando o ignorando volutamente quelle di lungo periodo e di riforma di sistema che non portano voti e consensi nella società dei consumi e tra l'elettorato di consumatori.
Migliaia di pesci morti alla foce del Mississippi, conseguenza della marea nera Bp?
LIVORNO. Le autorità statunitensi stanno indagando se le migliaia di pesci apparsi sulla superficie del fiume Mississippi sono collegati con la marea nera petrolifera che ha invaso il Golfo del Messico dopo l'esplosione e il naufragio della piattaforma Deepwater Horizon il 20 aprile.
Il fenomeno si è verificato a partire dal 23 agosto alla foce del Mississippi in Louisiana e il Times-Picayune de New Orleans spiega che i pesci si stanno recuperando perché vengono portati dalla corrente verso le barriere galleggianti messe nel delta del fiume per evitare che il greggio fuoriuscito dalla Deepwater orizon arrivasse alle paludi del Mississippi.
In un comunicato, Craig Taffaro, presidente della parrocchia di St. Bernard, in Louisiana, spiega che «Secondo le nostre stime, ci sono migliaia di pesci morti, pensiamo tra 5mila e 15 mila» e ha chiesto al Fish and wildlife service della Louisiana di analizzare le acque per capire se il fenomeno sia una delle conseguenze della marea nera .
Tra le specie morte ci sono anche granchi, razze, pesci scorpione e naselli rossi ma i funzionari del Fish and wildlife service chiedono di non trarre conclusioni precipitose, perché «A volte abbiamo problemi relativi all'ossigeno nella diga Bayou La Loutre, vicina allo sbocco del Mississippi». Poco consolante, visto che si tratta di sapere se l'inquinamento venga da terra o da mare.
Che la situazione sia molto meno rosea di quel che continua a prospettare la Bp lo spiega su Tierramerica il corrispondente dell'Ips, Adrianne Appel, che definisce le operazioni post-incidente in corso come «Autopsia ambientale nel Golfo del Messico».
«Strumenti sottomarini si immergono nel Golfo del Messico con la precisione di uccelli rapaci - scrive Appel - Esploratori dall'aspetto di robot cercano gocce di petrolio nelle profondità. Sistemi informatici analizzano campioni istantaneamente. Tutto per valutare l'impatto del disastro. Questi team, che vengono impiegati per misurare la quantità di plancton o per trovare camini idrotermali sul fondo dell'oceano, ora si applicano a studiare quello che è successo ai quasi cinque milioni di barili di petrolio (circa 758 milioni di litri) che hanno cominciato a riversarsi nel Golfo il 20 aprile».
Solo la National science foundation (Nsf) sta finanziando 60 progetti di ricerca nel golfo, per un costo di 7 milioni di dollari. La Bp ha promesso di investire 500 milioni di dollari in 10 anni in studi ambientali. Nel Golfo sono presenti le navi di Greenpeace ed Oceana per controllare la situazione e raccogliere dati. Un gruppo di ricerca della Woods Hole oceanographic institution (Whoi) ha raccolto milioni di campioni da analizzare e L'oceanografo Christopher Reddy sopiega a Tierramerica: «Vogliamo sapere quanto petrolio è fuoreiuscito, quale sia la situazione nel momento attuale e come cambia mentre passa il tempo».
La Whoi ha utilizzato il Sentry, un sottomarino "olfattivo" automatico che naviga ad una profondità di 4,3 km, seguendo le tracce infinitesimali di petrolio ed è equipaggiato con uno spettrometro di massa che analizza i composti trovati. I dati raccolti in 12 giorni di immersione serviranno a determinare l''impatto del greggio della Deepwater Horizon, differente per composizione da qualsiasi altro che possa essere stato sversato nel Golfo dalle centinaia di piattaforme petrolifere che subiscono continui incidenti.
I ricercatori sottolineano che «Analizzando la sua proporzione nei campioni, abbiamo potuto determinare, per esempio, che gran parte del greggio è evaporato per il caldo delle acque del Golfo, le elevate temperature estive e il vento. Si può anche analizzare come cambi il petrolio nel tempo. Alcuni dei suoi componenti si abbattono facilmente in acqua, altri evaporano e sono resistenti e tendono a perdurare come "palle di catrame". Si tratta di scienza forenze applicata all'ambiente».
Non a caso la ricerca è partita da una palude ricoperta di petrolio nella costa sud-est della Louisiana, a 80 km dal pozzo scoppiato della Bp e si sono riscontrate tracce di una evaporazione significativa nel materiale piaggiato. Il Whoi ha effettuato anche un'altra missione insieme alla californiana Scripps institution of oceanography, utilizzando un altro mini-sottomarino autonomo: lo Spray, ma il Golfo sembra ormai pieno di robot subacquei e Rov. Lo Spray resterà in immersione per 4 mesi, raggiungendo i 500 metri di profondità ed utilizzando un "sonar" per percepire le particelle sospese nell'oceano ed inviare i dati in tempo reale, èer posta elettronica, alla Whoi ed alla Scripps, ricevendo nuove istruzioni per telefono satellitare.
La Whoi è convinta che la marea nera potrebbe alla fine rivelarsi come «L'opportunità per sviluppare un adeguato sistema di controllo nel Golfo». Intanto i dati raccolti confermano che la Loop Current, che porta le acque calde nel da e verso il Golfo, ha formato un vortice che impedirebbe al petrolio di arrivare alla costa orientale degli Usa.
Ma, come spiega Appel su Tierramerica «Però non tutti gli scienziati usano tecnologia di ultima generazione». Per esempio, Alexander Kolker, un esperto di paludi che lavora per il Louisiana universities marine consortium, studia l'impatto del greggio nella Barataria Bay, un'area di 3.000 km2 nel sud della Louisiana, dove raccoglie campioni di acqua e sedimenti con la sua piccola barca e poi li porta al suo laboratorio per analizzarli. «La palude - spiega Kolker - è un ecosistema incredibilmente produttivo, può ospitare diverse centinaia di specie. E il petrolio della Bp non ha causato più danni della costante perdita di praterie causata dall'intrusione dell'acqua salata». Quindi, ancora una volta la marea nera arriva su un ecosistema già compromesso da una cattiva gestione ambientale.
Nonostante i pesci morti e gli allarmi degli ambientalisti, la National oceanic and atmospheric administration (Noaa) vede rosa: «E' importante notare che por lo meno il 50% del petrolio che è fuoriuscito è finito nel sistema e la maggior parte si sta degradando rapidamente o è eliminato dalle spiagge», diceva già il 4 agosto la direttrice del Noaa, Jane Lubchenco.
Però gli scienziati della Whoi e di altre missioni indipendenti di ricerca nel golfo pensano che queste conclusioni siano premature: «Gli sversamenti sono complessi. Perché hanno tanta fretta? Speriamo di trovare le informazioni che sono là fuori».
Decreto sulle trivellazioni petrolifere offshore. Legambiente: salvo il Santuario dei Cetacei e Arcipelago Toscano, a rischio Canale di Sicilia e Pantelleria
LIVORNO. Domani entra in vigore il decreto del ministero dell'ambiente sulle trivellazioni offshore e secondo Legambiente «Salverà Pelagos, il santuario internazionale dei mammiferi marini, dal rischio trivellazioni per l'estrazione di gas e petrolio a sud dell'Isola d'Elba, tra Pianosa e Montecristo. La concessione di ricerca "Elba Sud" di 643 km2, rilasciata alla Puma Petroleum della multinazionale australiana Key Petroleum Ltd, ricadrebbe infatti nel pieno della zona protetta che include al suo interno le aree protette di Bergeggi, Cinque Terre, Portofino, Secche della Meloria, Asinara, i parchi nazionali dell'Arcipelago toscano e dell'Arcipelago della Maddalena e che, a tutti gli effetti ex legem, rappresenta un'area protetta per scopi di tutela ambientale, in virtù della legge nazionale istitutiva del santuario (la l. 426/98) realizzata in attuazione di accordi e convenzioni internazionali».
Il vicepresidente nazionale del Cigno Verde, Sebastiano Venneri, spiega che «Il decreto pubblicato mercoledì 11 agosto sul supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale vieta le attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale ma purtroppo non garantisce tutte le zone non vincolate come il Canale di Sicilia e il mare di Pantelleria per esempio, dove è appunto in corso una mobilitazione dei barcaioli insieme ai turisti e a molti residenti per dire no alle trivellazioni. Chiediamo quindi al ministro Stefania Prestigiacomo di pronunciarsi con chiarezza per impedire scempi e disastri ambientali anche nelle aree costiere e marine non protette ma ugualmente pregiate e preziose per un corretto sviluppo turistico-economico del Belpaese».
Sulla questione interviene anche Legambiente Arcipelago Toscano, molto attiva negli ultimi mesi nella battaglia contro il petrolio offshore e per una vera protezione del Santuario dei cetacei: «Con l'entrata in vigore del decreto del Ministero dell'Ambiente sulle trivellazioni offshore, che recita: "Ai fini di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare" crediamo che non si possano effettuare trivellazioni nel Santuario internazionale dei mammiferi marini lPelagos che è stato dichiarato dall'Ue Area specialmente protetta di interesse mediterraneo (Aspim)».
Legambiente Arcipelago Toscano invita il Ministro Stefania Prestigiacomo «A dire chiaramente che nessuna trivellazione petrolifera/gasiera potrà essere mai effettuata all'Interno del Santuario Pelagos e al largo del mare protetto del Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano, così come hanno chiesto centinaia di cittadini e turisti il 9 agosto scorso durante la manifestazione di consegna della Bandiera Nera dei pirati del mare inviata alla Puma Petroleum ed alla Key Petroleum, organizzata da Goletta Verde e dai Messaggeri del Mare a Pomonte e a Chiessi, all'Isola d'Elba, per dire no al petrolio nell'Arcipelago Toscano e così come hanno chiesto espressamente diversi Consigli Comunali dell'Isola d'Elba di diverso orientamento politico. Ora il Santuario dovrà essere dotato finalmente di tutti i suoi organi di governo per far diventare davvero un'Area Marina Protetta che per ora è segnata solo sulla carta, un elemento di vera tutela e gestione del mare».
FONTE : http://www.greenreport.it/_new/
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