Napoli, foto d'epoca |
1973: epidemia di colera a Napoli.
Perché sporca? FALSO.
da il 1 LUGLIO 2011
Un’infamia terribile, un “simbolo” che ogni napoletano ancora si porta addosso, come marchiato a fuoco, come una lettera scarlatta. Un’ignominia che, ancora oggi, fa eco negli stadi di tutta Italia: «Napoli colera». A quasi quarant’anni dall’epidemia che mise in ginocchio i partenopei, scopriamo che, anche in quell’occasione, non ci fu detta tutta la verità. Naturalmente, a discapito dei cittadini di Napoli.
Si fece persino riferimento alle epidemie passate,1 volendo rafforzare l’idea dell’atavica sporcizia dei partenopei. Anche in questo caso, mentendo spudoratamente sulla storia e omettendo che, nel passato, in altre città italiane si moriva di peste, pellagra2 …e colera!3Credo che tutti ricordiamo gli untori di manzoniana memoria. Ma non continueremo, in questa sede, a lamentarci per il consueto trattamento riservatoci dagli organi didisinformazione italiani, rischiando inutilmente di essere tacciati della tanto abusata «piagnoneria». Preferiamo passare alla narrazione dell’evento in sé, in modo da dare a chiunque la possibilità di farsi un’idea precisa sui fatti.
Come abbiamo già detto, correva l’anno 1973, quando a Napoli scoppiò un’epidemia di colera. Il dottor Alfonso Zarone, incaricato dal tribunale di Napoli di procedere con le analisi per scovare il focolaio della malattia, dichiara:
«All’epoca si accettava una concentrazione di 4 colibatteri per grammo di cozza. Io dovetti constatare che nelle cozze napoletane i colibatteri per grammo di cozza erano 400mila. La cosa paradossale era che le cozze erano un tale concentrato di colibatteri, a causa dell’inquinamento del mare, da impedire di sopravvivere allo stesso vibrione del colera. Insomma, il colera c’era, ma il famigerato vibrione non fu mai trovato».
Non fu mai trovato? Ma come!
Eppure i misteri non finiscono qui: quanti furono realmente i morti? Si spararono cifre che variavano da fonte a fonte. A tutt’oggi, il numero preciso di morti è ignoto. Tuttavia, l’epidemia ci fu, ed ebbe ripercussioni gravissime soprattutto a livello sociale. Qualche tempo fa, però, è stato prodotto un documentario, a firma di Sergio Lambiase e Aldo Zappalà, dal titolo evocativo: Napoli al tempo del colera – Agosto 1973, mandato in onda da Rai Tre per «La storia siamo noi», e che mette in luce tutte le speculazioni, le falsità, i pregiudizicentenari e le mistificazioni dell’ennesima «storiaccia italiana».
La cosa che ci preme sottolineare, ancora una volta, è il “papocchio” di bugie di cui si resero protagonisti i giornalisti di tutta la stampa nazionale, di qualunque colore politico e appartenenza territoriale. La consueta gara a sbattere il “mostro Napoli” in prima pagina. Ma chissà come mai, tutto ciò non ci stupisce affatto. Furono addirittura inventate di sana pianta, senza nessun riscontro oggettivo (alla faccia del giornalismo d’inchiesta!) storie di contrabbando di mitili, di medici che facevano entrare negli ospedali napoletani partite di cozze che i pazienti consumavano rigorosamente crude e contro ogni divieto da parte delle autorità, quintali di limone consumati per “liberarsi” dal vibrione. Nemmeno la peggiore iconografia wertmulleriana avrebbe saputo partorire un tale impasto di assurdità, luoghi comuni e idiozie, tutto in una volta.
Paolo Mieli,4 che allora si interessò al caso come tutti gli altri, nel documentario mette a nudola devastazione e le ingiuste speculazioni giornalistiche, a danno di un popolo e della sua città, che comunque non viveva un periodo dei migliori. Una ricercatrice inglese, incaricata dal Times di fare un dossier sul caso, racconta di storie di isolamento, emarginazione, criminalizzazione. La stessa città fu colta dal panico. Si era testimoni di una caccia alle streghe, alimentata da stampa e TV, a cui non pareva vero poter pugnalare, ancora una volta, una città in ginocchio, sventrata, distrutta. All’allora Presidente della Repubblica italiana, Giovanni Leone, fu augurato di fare la stessa fine dei suoi colerosi concittadini, nel corso di una contestazione in Toscana.
Le stigmate di quella crociata le portiamo ancora addosso, incancellabili. Anche in questi giorni di emergenza rifiuti, l’eco del colera terrorizza tutti.5 Beffardo pensare che quell’epidemia di napoletano aveva solo le vittime, ma veniva da lontano, da una partita di cozze proveniente dalla Tunisia. Ebbene sì: cozze non allevate nel Golfo di Napoli, ma che a Napoli, al posto di fare ammalati, creò l’ennesimo caso di stigmatizzazione di un popolo che, da 150 anni, non trova più pace all’ombra del Vesuvio.
- 1 Sulle quali, anche, si è fatta tanta demagogia e si è sbizzarrita molto la fantasia dei pennivendoli di stato, che puntualmente dimenticavano di raccontare la situazione nel resto d’Italia, come — giusto un esempio fra tanti — con l’epidemia del 1835-1837, che arrivò da Londra e si sparse per tutta l’Europa.
- 2 Solo nella seconda metà del Novecento si crearono le premesse per la sconfitta della pellagra nelle aree agricole dell’Italia settentrionale, con il cambiamento delle condizioni dei lavoratori dell’agricoltura e il miglioramento del loro regime alimentare.
- 3 Sistematicamente nel 1835, 1884, etc. A quei tempi non risparmiava nessuno.
- 4 Il quale ha anche curato il libro 1973. Napoli al tempo del colera.
- 5 È da notare che il colera è un batterio alimentare, quindi poco c’entra coi rifiuti. Eppure il lavaggio del cervello operato dagli organi di disinformazione italiani è tale da mettere nel sacco anche persone di solito molto attente come Roberta Lemma, che purtroppo, data la fiducia di cui gode, ha causato la circolazione di una falsità.
FONTE : http://napule.org/
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