venerdì 25 febbraio 2011

Immigrazione e gelsomini

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La velocità e drammaticità degli avvenimenti nella sponda sud del mediterraneo richiederebbero una capacità di risposta tanto seria quanto immediata. E invece la mancanza di volontà del governo italiano (per gli interessi che Alfonso Gianni ha ben spiegato su questo sito) e la strutturale difficoltà dell’UE ad assumere decisioni rilevanti (tranne rispettivamente chiedere e concedere un aiutino economico) ci presentano questo silenzio desolante: sia nell’ambito della politica estera che d’immigrazione.
Se la destra tace, sentiamo ancor più il bisogno che la Sinistra dica, chiaro e forte. Non possiamo accontentarci dell’inadeguatezza dei nostri avversari. È questo il momento di sfidare noi stessi e chi ci è vicino a risvegliarci dall’accettazione troppo lunga di politiche che ci piovevano addosso come la pioggia a novembre: un fatto inevitabile. Inevitabile non essere all’altezza (siamo italiani, non siamo mai stati capaci di accogliere degnamente i rifugiati), inevitabile detenere ogni straniero (vanno identificati, non possiamo mica lasciarli entrare tutti così), inevitabile giungere a patti coi dittatori (altrimenti chi ci assicura l’energia?). Inevitabile la morte di migliaia di ragazzi in fondo al Mediterraneo.
La rivoluzione dei gelsomini è un regalo immenso che ci viene da Sud, è una lente con cui vedere in modo nuovo ciò che abbiamo permesso finora.
Dapprima il nostro ombelico, l’Italia, e il sistema dei CIE (chiamiamoli CIE, CPT, CDA o pinco pallino: sono centri di detenzione per migranti). Abbiamo un sistema di strutture detentive sparse in tutta la penisola con una capacità di alcune migliaia di posti: l’arrivo di 5000 nord africani da inizio febbraio ha saturato e mandato in crisi il sistema in appena qualche giorno. Si racconta di centri del nord che hanno spalancato le porte a chi era detenuto da un po’ di tempo per poter lasciar spazio ai nuovi arrivati dalla Sicilia (ma come, quelli che erano lì dentro non rappresentavano una grande minaccia alla sicurezza?) e ora si progetta la trasformazione a tappeto di tutte le strutture aperte per rifugiati in centri di detenzione chiusi: non sono queste le reazioni tipiche di chi si fa prendere dal panico perchè non ha uno straccio di strategia globale?
Diciamolo, una volta per tutte: il metodo della detenzione sistematica degli stranieri irregolari ha fallito. Non soltanto non è giusto (si detiene chi non ha commesso alcun reato), non soltanto non ha alcun senso (qualcuno ci spiega a che serve detenere una persona per sei mesi in questi luoghi di nessuno?), per di più non è viabile. Non tiene più di qualche giorno di fronte alle vere sfide, come quelle odierne. Invertendo completamente il progetto del governo, sarebbe allora molto meglio chiudere gli attuali CIE e creare strutture di accoglienza aperte dove si riceve assistenza vera, dando così un contributo reale contro la ghettizzazione e la criminalizzazione. Sarebbe più giusto, ne guadagnerebbe la coesione sociale e con gli stessi soldi si potrebbero assistere il doppio delle persone.
Guardiamo ora all’Europa. Il sistema comune di asilo europeo è ancora un miraggio: la sua costruzione procede più lenta della Salerno – Reggio Calabria. La Convenzione di Dublino fa si che i richiedenti asilo restino bloccati nel primo paese di arrivo. La condizione di migliaia di persone che si trovano in una zona grigia (non sono veri perseguitati politici ma non è possibile rimpatriarli per varie ragioni) resta di fatto priva di considerazione.
Qualche semplice misura sarebbe però sufficiente a decongestionare la situazione: 1. la sospensione immediata della Convenzione di Dublino per i paesi come l’Italia e la Grecia che hanno un afflusso più importante e soprattutto che non sono in grado di farvi fronte efficacemente; 2. l’approvazione di un serio programma di reinstallazione dei rifugiati riconosciuti e dei richiedenti asilo in tutto il territorio dell’Unione Europea (gli Stati Uniti ne reinstallano 50.000 ogni anno, noi davvero non possiamo gestirne 5.000?); 3. il rifiuto categorico di negoziare con gli stati terzi che non hanno neppure firmato la convenzione di Ginevra (parliamo della Libia,inter alia). 4. l’approvazione rapida della nuova legislazione europea in materia, in discussione ormai da anni. Potrebbe essere questo un inizio?
Infine una parola magica, tanto agitata in questi giorni: Frontex (agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne). Fino a ieri è stato un grande baraccone che cercava di dissuadere i migranti dall’arrivare sulle nostre coste o alle nostre frontiere terrestri, violando sistematicamente i diritti dei richiedenti asilo e delle altre persone vulnerabili. Vogliamo farla diventare un sistema di guardiacoste europeo che abbia come compito primario il salvataggio in mare? C’è una partita in corso al parlamento europeo nei prossimi due mesi che ha proprio ad oggetto la natura di quest’agenzia. Non possono esserci mezze misure: o cambia in radice o meglio mandarla in pensione. L’approccio repressivo di fronte a questi fenomeni è sbagliato, e sarebbe perfino ridicolo se non avesse talvolta come conseguenza la morte di queste giovani speranze.

Chiara Tamburini

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