venerdì 25 febbraio 2011

Come liberare l’Italia da Berlusconi? Roberto Saviano in esclusiva per micromega.net

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Cittadini senza rappresentanza, elezioni in vendita, perché sul conflitto di interessi del premier l’opposizione depone le armi? perché nessuno occupa il segmento elettorale di un “partito” della legalità? Questo, e molto altro, nella risposta di Roberto Saviano al questionario di MicroMega su “Come liberare l’Italia da Berlusconi”, al quale, nel numero speciale “Berlusconismo e fascismo (2)”, in edicola da martedì 1 marzo, rispondono anche Margherita Hack, Eugenio Scalfari, Rossana Rossanda, Massimo D’Alema, Barbara Spinelli, Walter Veltroni, Marco Travaglio, Furio Colombo, Pier Luigi Bersani, Sergio Chiamparino, Antonio Padellaro, Pancho Pardi, Antonio Di Pietro, Ezio Mauro, Sergio Cofferati, Giorgio Cremaschi, Luigi De Magistris, Luciano Gallino, Nichi Vendola, Dario Fo.


Il questionario di MicroMega e la risposta di Roberto Saviano


MICROMEGA - Da tutte le parti si invoca “unità” per liberare l’Italia dal regime antidemocratico di Berlusconi. Spesso, tuttavia, le varie componenti dell’Italia che ancora si riconosce nella Costituzione repubblicana non accettano neppure di dialogare, di discutere insieme. Per contrastare questa tendenza, MicroMega si rivolge a personalità di diverso orientamento, nella speranza che almeno la premessa dell’azione comune, la comune discussione, possa avviarsi subito. L’intervento che sollecitiamo parte proprio da questa urgenza: le elezioni sono sempre più probabili, e di fatto costituiranno un referendum sulla pretesa di Berlusconi di avere tutti i poteri, facendo strame della Costituzione.


Per difendere/realizzare la Costituzione nata dalla Resistenza, quale ipotesi di alleanza elettorale ritieni la più auspicabile, nell’ambito di quelle che giudichi praticabili con un voto che avverrà con il sistema “Porcata”, che assegna al primo schieramento, anche se minoritario, il 55% dei seggi? Con quale sistema pensi dovrebbe essere scelto il candidato premier, il cui nome è obbligatorio per ciascun schieramento? Le primarie di coalizione (e con quali modalità) oppure un diverso tipo di consultazione? E quale personalità giudichi la più adatta per una coalizione repubblicana vincente?


Tutti i sondaggi rilevano che una quota tra il 40% e il 50% del corpo elettorale è talmente disgustato da tutti i partiti che prevede di non recarsi alle urne o di decidere all’ultimo minuto (turandosi il naso, si presume, e scegliendo un “meno peggio”). D’altro canto nel 2008 il Pd alla Camera otteneva circa 12 milioni di voti, alle europee dell’anno successivo 8 (e i voti del 2008 erano quelli di una sconfitta!), e la disaffezione ha continuato a crescere. Non è esagerato ipotizzare che rispetto ai consensi che garantirono due vittorie elettorali, e tenuto conto dell’incremento degli aventi diritto, manchino oggi cinque o sei milioni di voti. Sono i milioni di voti che probabilmente faranno la differenza e decideranno dell’esito elettorale, a seconda di quanti ne saranno recuperati (o di altri che saranno ulteriormente perduti).


Quale pensi sia la strada migliore per recuperarli? Sollecitare nell’alleanza la presenza di una o più liste civiche, di “società civile”, con candidati tutti non di partito (la “Porcata” ha il vantaggio che dentro un’alleanza nessun voto va disperso, se una lista non raggiunge il quorum per avere parlamentari i suoi voti si distribuiscono su quelle che ne eleggono), limitarsi ad aprire le liste di partito a qualche indipendente, o puntare unicamente su leader e candidati di partito?

ROBERTO SAVIANO - Rispondere a queste domande non è cosa semplice per una serie di ragioni. La prima è che forse bisognerebbe partire analizzando il sistema elettorale italiano e cercare di capire se davvero risponda alle nostre esigenze. Se il nostro voto, che si trasforma in seggio, rispetta le istanze di rappresentatività che l’Italia ha nel suo complesso e nelle diverse realtà territoriali. Evidentemente no. Per come sembra stiano andando le cose, gli italiani non si sentono rappresentati in maniera adeguata, non conoscono i propri politici di riferimento e di fatto non hanno scelto loro di mandarli in Parlamento.


A questo aggiungo alcune considerazioni di natura diversa. Davvero un sistema elettorale, come è il nostro, proporzionale con premio di maggioranza e sbarramento, può portare con tutti i suoi limiti alla drammatica situazione che stiamo vivendo? Io credo di no. Mi spiego meglio. Ad ogni elezione, soprattutto nelle comunali e nelle regionali, e soprattutto nelle regioni del sud Italia, la pratica della compravendita dei voti è ormai prassi diffusa. Sono anni che se ne parla. Sono anni che ne scrivo, arrivando addirittura, in occasione delle amministrative in Campania a chiedere l’intervento dell’Osce, di osservatori esterni in grado di garantire il corretto svolgimento delle elezioni. E in quell’occasione l’Osce mi rispose che dei suoi rappresentati sarebbero intervenuti a patto che fosse stata ufficialmente fatta richiesta dalle istituzioni italiane. L’invito non arrivò mai, né il Pdl, né il Pd ritennero necessario far monitorare quelle elezioni che erano fortemente a rischio.


Tempo dopo ho scritto (non solo, ne ho anche parlato durante la trasmissione “Vieni via con me”) di come, in Campania e in Calabria si potessero acquistare voti e quindi seggi e quindi rappresentanza politica con pochi euro. Non nascondo che sono rimasto stupito da come le mie parole, che poi erano state le parole e le denunce di molti altri prima di me, non abbiano sconvolto l’opinione pubblica. Mi ha stupito che non sia iniziato un movimento di indignazione collettiva su come il nostro voto, la nostra partecipazione alla vita politica venga costantemente tradita. La politica poi ha assunto, per sua stessa natura, un carattere sempre più mediatico, di conseguenza le forze politiche che non sono ospitate nei talk show, che non vanno in televisione, che non vengono citate sui quotidiani, praticamente non esistono. Possono formare liste, possono proporre candidati, ma non potranno ottenere seggi se non raggiungono lo sbarramento in atto nel nostro sistema elettorale.


Le elezioni sono alle porte, si dice, e a me sembra una minaccia più che una liberazione, ma prima di votare, questa volta, mi piacerebbe che il sistema elettorale venisse modificato, dal momento che il premio di maggioranza che doveva servire per garantire la governabilità a scapito della rappresentatività è stato comunque tradito dalla mancanza di armonia e di scelte condivise all’interno delle coalizioni che sono costantemente paralizzate dal fuoco amico che non permette di fare le riforme che servono. Poi, tenere conto dei condizionamenti esterni che il voto subisce – voti acquistati per 50 euro, per la spesa di una settimana, per una ricarica al cellulare, e il conflitto di interessi che riguarda il presidente del consiglio e su cui sembra che l’opposizione abbia da tempo deposto le armi – aiuterebbe a capire in che senso dovrebbe andare la rimodulazione del sistema elettorale e la sua effettiva utilità, se tutto il contorno non viene modificato.


Fatta questa lunga premessa, un metodo in teoria valido per poter individuare il leader politico sarebbero le primarie, quando siano svolte in osservanza delle regole, quando la direzione centrale di un partito abbia la forza di imporre la linea anche in aree più problematiche. Quando ci si domanda e si danno risposte credibili, ad esempio, su come sia stato possibile che in un solo pomeriggio a Napoli abbiano aderito al Pd in seimila. Chi erano tutti quei nuovi iscritti, chi li aveva raccolti, chi li aveva mandati a fare incetta di tessere? Da chi è formata la base di un partito che a Napoli e provincia conta più di 60.000 tesserati e 10.000 in provincia di Caserta? Perché non ci si domanda se è normale che il solo Casertano abbia più iscritti dell’intera Lombardia, se non sia curioso che in alcuni comuni, alle ultime elezioni provinciali, i voti effettivamente espressi in favore del partito erano inferiori al numero delle tessere? Se non si è in grado di gestire in maniera regolare le primarie allora bisogna serenamente rendersi conto che esse rappresentano solo un rischio di infiltrazione esterna. E quindi dismetterle.


Credo infine che la politica la debbano fare i politici. Mi spiego. È importante che chi abbia il compito di rappresentare i cittadini, nella loro possibilità di sentirsi parte di un meccanismo che non gli deve essere estraneo, si sia formato nella militanza e nella pratica democratica. Agli intellettuali e ai giornalisti, il dovere di osservare, controllare e analizzare. Un’osmosi tra tali ruoli potrebbe essere rischiosa, anche se è accaduto che intellettuali come Vaclav Havel o André Malraux abbiano dimostrato che in alcune circostanze la presenza di intellettuali in politica può dare ottimi frutti.


Corrado Guzzanti in uno dei suoi esilaranti monologhi faceva ironia sul fatto che Berlusconi fosse entrato in politica a destra perché, decimato la Democrazia Cristiana da Mani Pulite era lì che c’era un segmento libero, un posto da occupare. A sinistra, invece, si sarebbe dovuto mettere in fila. Io aggiungo, senza alcuna ironia, che in Italia un segmento libero in questo momento c’è, ed è quello che abbia come punto di partenza la legalità, che dia ai cittadini non solo la sensazione, ma la consapevolezza che un partito, una coalizione, prima di puntare il dito ed essere intransigente verso il proprio avversario politico lo sia con se stesso e che proprio quella intransigenza verso se stesso lo legittima a pretendere correttezza e trasparenza dagli altri.


Gli elettori non chiedono altro che potersi fidare, non chiedono altro che assistere finalmente ad assunzioni di responsabilità. Gli elettori sarebbero pronti a perdonare e a siglare nuovi patti di fiducia a condizione però che li si tratti con onestà, che gli si chieda scusa. La sensazione è che i cittadini continuano a scendere in piazza senza che i politici prestino davvero attenzione a quello che in quelle piazze viene detto. Dietro i “dimettiti” e i “se non ora quando”, c’è l’urlo disperato di chi sa che dopo questa fase non c’è luce, non si vede speranza.


Prima degli scandali, prima ancora di dare per concluso un processo che si sta per celebrare, di argomenti con cui coinvolgere l’opinione pubblica la sinistra ne avrebbe tantissimi, ma le divisioni interne non devono distrarre da premesse e obiettivi comuni che sono la base per riacquistare la fiducia di quegli elettori che, al confronto elettorale, faranno la differenza.

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