martedì 7 giugno 2011

La politica dello struzzo!

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Di seguito le dichiarazioni del DPA (in corsivo) sulla conferenza della Global Commission (in neretto le nostre osservazioni)

In risposta alle dichiarazioni in merito alle proposte di legalizzazione dell’uso di sostanze stupefacenti, in aperta opposizione con le attuali politiche antidroga portate avanti da tutte le Nazioni Unite, lanciate da una altisonante quando sedicente “commissione globale sulle politiche sulla droga”, composta da persone particolarmente note quali intellettuali, attori, cantanti, ex-funzionari dell’ONU ed ex-presidenti di Stato,
Ci risultano oltremodo scandalosi, il termine “sedicente” riferito ad una Commissione Internazionale, il senso denigratorio che viene attribuito in questo caso ad artisti di fama mondiale e ai ripetuti “ex” volgarmente usati per evidenziare la loro incapacità decisionale!
Vorremmo dialogare con persone meno faziose e degne del ruolo pubblico che ricoprono!
il Dipartimento così interviene:
1. Non può essere minimamente condivisa la proposta della legalizzazione del commercio e dell’uso delle droghe (a partire dalla cannabis) quale principale soluzione alla diffusione della droga nel mondo.
50 anni di proibizionismo non hanno minimamente scalfito il mercato della droga che, anzi, è aumentato secondo le stime della Commissione di svariati milioni di consumatori in tutto il mondo, quindi serve trovare una strategia diversa che realmente voglia contrastare la diffusione e il mercato criminale che ne detiene il monopolio.

2. La posizione ufficiale del nostro governo relativamente alle politiche antidroga, ben espressa nel Piano di Azione Nazionale approvato dal Consiglio dei Ministri nell’ottobre 2010, riconosce prima di tutto che la tossicodipendenza è una malattia prevenibile, curabile e guaribile. Pertanto, tutte le politiche e le strategie sono impostate a riconoscere che tale condizione costituisce, oltre un problema sociale e di sicurezza, anche un serio problema di sanità pubblica che riguarda non solo la salute delle persone dipendenti dalle droghe, ma anche terze persone che possono venire danneggiate dai loro comportamenti a rischio mediante, per esempio, la guida di autoveicoli o lo svolgimento di lavori che comportino rischi per terzi. L’assumere sostanze stupefacenti non può essere considerato come facente parte dei diritti individuali della persona, proprio per le conseguenze che questo comportamento può avere anche sui diritti degli altri.
Continuiamo ad affermare, supportati da ricercatori illustri come il prof. Gessa e il prof. Grassi, che la cannabis non crea alcun problema di tossicodipendenza.
Come difensori dei diritti civili ribadiamo che in ambito privato ognuno ha il diritto di comportarsi come vuole, senza ledere chiaramente la sicurezza e il senso etico e che coltivare e consumare cannabis in proprio dovrebbe essere lecito come lo è detenere quantità di alcool o tabacco e usarlo responsabilmente e consapevolmente.
Per quanto riguarda gli alcolisti, o dipendenti da eroina o cocaina, possiamo solo esprimere la nostra opinione che è simile a quella della Global Commission: “qualsiasi problema legato alla tossicodipendenza va trattato in ambito sanitario e non legale”.
3. Contemporaneamente, azioni illegali quali la produzione, il commercio e lo spaccio delle sostanze stupefacenti, costituiscono un rilevante problema di sicurezza pubblica a cui è necessario dare risposte concrete e permanenti in termini di prevenzione e contrasto, senza criminalizzazione delle persone tossicodipendenti per il loro uso di sostanze (così come specificatamente già previsto dalla normativa italiana in materia).
Abbiamo già presentato in precedenza un’ampia documentazione di come quanto affermato dal DPA non corrisponda alla verità.
Ogni anno vengono sottoposti a procedura penale migliaia di cittadini rei di coltivare poche piante per uso personale o piccoli consumatori costretti a servirsi del mercato illegale.
Specialmente i consumatori e i coltivatori in proprio di cannabis (dai 5 ai 10 arresti al giorno) non creano di fatto alcun rilevante problema di sicurezza pubblica eppure vengono criminalizzati, perseguiti e processati nonostante quanto previsto dalla “normativa italiana in materia”
4. I tossicodipendenti, in quanto tali, non vengono e non devono essere quindi trattati come criminali ma come malati bisognosi di cure a cui lo Stato italiano e le Regioni garantiscono gratuitamente un’ampia gamma di offerte terapeutiche sia in regime di libertà che all’interno delle carceri, nel caso queste persone vi si trovino per aver commesso dei reati (tra i quali nel nostro paese non è contemplato l’uso di sostanze). La legislazione italiana prevede espressamente che i tossicodipendenti in carcere possano e debbano essere curati (su adesione volontaria) in carcere e possano anche uscire dal carcere per curarsi presso strutture socio-sanitarie esterne in alternativa alla pena.
Non esiste nessun caso, se non nei pochi di accettazione volontaria e quindi di predisposizione, in cui si possano registrare soddisfacenti risultati nei confronti della tossicodipendenza da parte di tossicodipendenti costretti a subire trattamenti terapeutici nelle carceri o nei centri di riabilitazione dove pur sussiste una condizione coatta.
La prevenzione e la cura avvengono non nella somministrazione di psicofarmaci, ma attraverso un’opera di educazione sociale sull’uso e l’abuso come è avvenuto per l’alcol nel nostro Paese.
5. Il Dipartimento ritiene inoltre che tutte le cure debbano essere fortemente orientate al recupero integrale della persona e che debbano sempre essere associate alla prevenzione delle patologie correlate quali l’infezione da HIV, le epatiti, la TBC e le overdose. Queste azioni devono essere considerate atti dovuti dai sistemi sanitari per la tutela della salute, non solo delle persone tossicodipendenti ma dell’intera comunità. La politica di “harm reduction” (riduzione del danno), se applicata da sola e al di fuori di un contesto sanitario orientato alla cura, alla riabilitazione ed al reinserimento delle persone, risulta, nel lungo termine, fallimentare e di scarso effetto preventivo, oltre al fatto che è in grado di cronicizzare lo stato di tossicodipendenza.
Le attuali cure basate sull’uso di psicofarmaci o palliativi delle droghe come il metadone, associate allo stato di detenzione o semidetenzione nelle comunità terapeutiche, sono assolutamente anacronistiche e controproducenti,
La reazione psicologica delle persone in cura contro la propria volontà e costretta ad uno stato detentivo acutizza di fatto il bisogno di evasione psichica, con il risultato di
o cronicizzare la terapia o renderla inefficace a detenzione scontata.
6. Va chiaramente evidenziato che le vere misure che si sono dimostrate realmente efficaci nel medio e lungo termine per la riduzione del rischio infettivo (HIV, Epatiti, TBC, ecc.) e delle overdose, sono le terapie per la dipendenza e quelle antiretrovirali che devono quindi essere offerte quanto più precocemente possibile anche attivando un contatto attivo e precoce con le persone che fanno uso di droghe.
Le problematiche riportate in questo punto non possono riguardare gli assuntori di cannabis, non sussistendo alcuna relazione tra l’uso partecipato ed il diffondersi di patologie gravi quali HIV, epatiti o TBC, per non parlare dell’inesistenza di casi di overdose.
7. L’uso di sostanze stupefacenti, soprattutto nei giovani e sulla base delle evidenze scientifiche sempre più numerose anche nel campo delle neuroscienze, deve essere considerato, da un punto di vista sanitario, un comportamento ad alto rischio per la salute e quindi assolutamente da evitare creando e mantenendo campagne di prevenzione, di sostegno alla famiglia e alla scuola, ma contemporaneamente anche deterrenti sociali, legali e movimenti culturali antidroga positivi, affinché si realizzi e si mantenga un alto grado di disapprovazione sociale di tale consumo. Questo importante fattore è effettivamente in grado di produrre una riduzione dei consumi, soprattutto di marijuana (spesso droga di iniziazione verso l’uso di altre droghe quali cocaina ed eroina), tra gli adolescenti, come è stato scientificamente dimostrato da studi trentennali.
Checché ne dica il DPA il consumo di droghe, compresa la cannabis che stentiamo a definire tale, è in continuo aumento e l’unico metodo da applicare affinché le giovani generazioni sappiano comprendere e discernere, è riportare la cannabis nella tabella delle “droghe leggere” e regolamentare la piccola coltivazione domestica.
In questo modo non esisterebbe più l’accostamento con il mercato criminale e verrebbe meno la possibilità di reperire allo stesso mercato anche droghe reali e letali, come è stato statisticamente dimostrato da studi cinquantennali.
8. La legalizzazione delle sostanze stupefacenti porterebbe ad un più facilitato accesso a tutte le droghe, soprattutto da parte delle giovani generazioni, accompagnato dallo sviluppo e dal mantenimento della percezione, da parte di costoro, che l’uso di tali sostanze è comunque socialmente tollerato, sia dalla popolazione, sia dallo Stato. Ciò provocherebbe, quindi, una riduzione del fattore “disapprovazione”, così importante ed in grado di condizionare l’uso di sostanze da parte dei giovani.
E’ vero esattamente il contrario: regolamentare il possesso e l’uso di cannabis, toglierebbe alle giovani generazioni l’approccio scontato con il mercato monopolizzato dalla criminalità e quindi con le droghe pericolose.
La disapprovazione, che non contempli la sfera delle qualità individuali è sinonimo di “fondamentalismo”, è come dire che in una società islamica un individuo che ama bere un buon bicchiere di Chianti è di fatto inaffidabile e detestabile.
La disapprovazione è lecita nei confronti dell’abbrutimento dell’essere umano, sia questi un alcolizzato o un eroinomane, ma non può assolutamente essere applicata nei confronti di un bevitore di vino o un fumatore di cannabis consapevoli e responsabili.
9. Non esiste alcuno studio né evidenza scientifica che dimostri che la legalizzazione sia in grado di ridurre efficacemente gli introiti delle organizzazioni criminali. Pertanto, allo stato attuale, questa resta solamente un’utopica soluzione. E’ noto infatti che tali organizzazioni criminali trafficano e commerciano in vari tipi di droghe e che, legalizzando uno solo di questi prodotti, quale ad esempio la marijuana, non si produrrebbero danni commerciali tali da mettere le organizzazioni in crisi, come dimostrato da studi statunitensi in merito.
Esiste invece uno stato di fatto e le statistiche riportate anche dai nostri media.
La cannabis viene oggi considerata”l’oro verde della mafia” proprio per l’ingente profitto che procura alla criminalità la sua proibizione e il difficile accesso alla reperibilità.
Regolamentare la coltivazione domestica, potrebbe anche non provocare grandi perdite economiche per la criminalità organizzata, ma sicuramente porrebbe le forze dell’ordine nella condizione di sferrare una vera e propria lotta al commercio di droghe letali come eroina, cocaina, ecstasy.
10. Oltre a questo, non è pensabile di rendere disponibili alla popolazione generale senza alcun controllo o regolamentazione, legalizzandole, tutte le sostanze, per le gravi conseguenze, scientificamente provate e ampiamente documentate, che esse provocano sulla salute fisica, mentale e sociale delle persone. Le sostanze stupefacenti sono sempre sostanze fortemente tossiche e questo non va mai dimenticato. L’aumento dell’uso di massa di queste sostanze porterebbe ad un forte incremento delle patologie fisiche e psichiatriche per i consumatori (come ampiamente dimostrato dalle evidenze scientifiche), ma anche ad un aumento dei danno a terzi.
A parte che nessuno e men che meno la Global Commission ha auspicato la legalizzazione di tutte le sostanze, vogliamo ricordare che anche l’alcol e il tabacco sono sostanze altrettanto tossiche e neanche questo andrebbe mai dimenticato.
In Italia la vendita di alcolici e tabacco è libera, seppur regolamentata dallo Stato attraverso il monopolio e la loro libera circolazione e la pubblicità più o meno occulta che viene praticata, non risulta che abbia provocato un aumento esponenziale dei consumatori o un allarme sociale o sanitario che ne possa determinare la proibizione.
11. Un’ulteriore problematica, irrisolvibile, legata alla legalizzazione di queste sostanze, risulta dal fatto che per tutte le persone che legalmente potrebbero usarle si dovrebbe prevedere, comunque, l’impossibilità di accedere a mansioni lavorative che prevedano rischi per terzi (piloti di aereo, guidatori di autobus, treni, camion, medici, ecc.) e di avere quindi la patente di guida, il porto d’armi e tutta una lunga serie di abilitazioni professionali, salvo non si voglia riconoscere anche che chi usa sostanze stupefacenti possa svolgere tale mansione e avere tranquillamente la patente di guida o il porto d’armi.
Concordiamo sul fatto che nessuna persona adibita a ruoli di responsabilità verso terzi, possa esercitare le funzioni in stato di ebbrezza o alterazione, ma non può risultare tollerabile che si possa perdere il posto di lavoro o il rispetto sociale in base ad un drug test che non prova la capacità o meno dell’individuo a svolgere le mansioni richieste, ma solamente che il soggetto fa uso di sostanze stupefacenti.
Per chiarezza ulteriore: se una persona la sera prende una sbornia, nessun alcol test la mattina successiva rileverebbe tracce di alcol nell’organismo, mentre il test relativo all’uso di cannabis risulterebbe positivo anche a distanza di giorni dall’assunzione, viene di fatto attuata una vera e propria caccia alle streghe, con il risultato di esasperare molti aspetti della convivenza sociale.
All’elenco delle professioni indicate dal DPA (piloti di aereo, guidatori di autobus, treni, camion, medici, ecc.) vorremmo aggiungere anche coloro che sono stati preposti alla guida del Paese e ci chiediamo: “come mai il drug test per i parlamentari è stato eseguito su base volontaria e anonima?”, eppure è la professione che più di ogni altra interagisce con la vita di milioni di cittadini e la condiziona e, a nostro avviso, dovrebbe essere la più controllata sia da un punto di vista etico e sia psichico!
12. Risulta chiaro pertanto che l’aumento delle persone che utilizzano sostanze a causa della legalizzazione potrebbe incrementare notevolmente i costi sanitari nel tempo con un bilancio assolutamente negativo per lo Stato sia in termini di perdite finanziarie che di risorse umane, oltre che di sofferenza per le famiglie di queste persone.
L’invito rivolto dalla Global Commission per operare verso forme di regolamentazione o legalizzazione, concerne solo l’uso di cannabis e non esiste nessuno studio scientifico degno di tale nome e nessuna statistica che preveda o abbia constatato costi sanitari o perdite di risorse umane addebitabili ai consumatori di cannabis, nè tantomeno problematiche personali o familiari se non quelle provocate dalla criminalizzazione.
13. Pertanto, la politica nei confronti dell’uso di droghe deve necessariamente prevedere un bilanciamento tra le azioni di prevenzione, cura e riabilitazione e le azioni di repressione e contrasto con un sistema generale basato soprattutto sui diritti di salute delle persone, in particolare se minorenni e vulnerabili, ad essere difese dall’offerta di sostanze stupefacenti, ad essere curate precocemente se tossicodipendenti, ma con un orientamento alla piena riabilitazione ed al reinserimento sociale. E’ quindi un dovere dello Stato fare in modo, con permanenti azioni di contrasto, che le organizzazioni criminali vengano perseguite costantemente sia nelle fasi di produzione e traffico, sia nelle fasi dello spaccio.
Assolutamente d’accordo con il DPA, vorremmo solo obiettare che lo Stato fa molto poco nel contrastare la produzione, il traffico e lo spaccio di droga, se non arrestare in modo massiccio migliaia di cittadini rei di coltivare una pianta proibita e vorremmo ancora una volta far notare di come sia proprio lo Stato attraverso la politica repressiva del DPA, a indirizzare i giovani verso il mercato dell’illegalità e verso la conoscenza di sostanze letali.
14. Le politiche di repressione delle organizzazioni criminali, compresi i coltivatori, i corrieri e i piccoli spacciatori, in questo contesto bilanciato di azione, sono quindi un atto dovuto e non precludono ne’ impediscono affatto le misure di sanità pubblica per le tossicodipendenze e per l’infezione da HIV.
In un Paese di Diritto come dovrebbe essere il nostro, la “presunzione di reato” non dovrebbe essere ammessa, mentre da quanto affermato dal DPA, anche i coltivatori in proprio e i detentori di quantità modeste sono da considerare come membri di organizzazioni criminali, con la conseguenza che, ancor prima di accertare l’attività illecita, si procede con l’incriminazione.
Non persistendo elementi che denotino pericolosità sociale o danni a terzi, l’arresto di migliaia di persone che coltivano cannabis ad uso personale può essere visto solo in virtù di oscuri vantaggi offerti alla criminalità e all’apparato giudiziario.
15. In questi ultimi 10 anni, grazie agli sforzi congiunti di tutte le Amministrazioni centrali, regionali, locali e le organizzazioni del volontariato, che hanno fondamentalmente condiviso questa impostazione di azione bilanciata, i consumi di sostanze stupefacenti nel nostro Paese sono diminuiti, le overdose sono fortemente calate e costantemente in decremento, le nuove infezioni da HIV nei tossicodipendenti si sono fortemente ridotte e la diffusione dell’infezione da HIV nei tossicodipendenti è sicuramente sotto controllo. Si sono inoltre ridotte le incidenze di nuove infezioni di epatite B ed epatite C e nessuna persona tossicodipendente è stata arrestata semplicemente per aver usato sostanze stupefacenti, ma sempre e solo in relazione alla violazione delle leggi che puniscono il traffico, lo spaccio, la coltivazione illegale, ecc. di sostanze stupefacenti, oltre che altre violazioni delle normali leggi.
In questi ultimi 5 anni (dall’entrata in vigore della Fini-Giovanardi), sono stati più di 6.000 gli arresti ingiustificati, le forze dell’ordine sono state distratte da un reale controllo del territorio, le carceri si sono assurdamente riempite, i tribunali sono stati inspiegabilmente ingolfati, per non parlare delle decine di giovani e meno giovani che hanno subito violenze, sono stati uccisi o si sono suicidati a causa dell’azione bilanciata decantata dal DPA.
16. L’utopica e semplicistica proposta della legalizzazione nelle droghe per risolvere il problema soprattutto legato ai grandi guadagni delle organizzazioni criminali, derivanti dalla vendita delle droghe, ha illuso e ammaliato da sempre molte persone, ma la realtà complessa e articolata di questo fenomeno, merita una riflessone tutt’altro che semplicistica e di grande responsabilità da parte delle Amministrazioni centrali e regionali competenti.
Il problema della regolamentazione della coltivazione e dell’uso di cannabis prescinde dai guadagni ottenuti dalla criminalità con la vendita delle droghe, ed è un problema semplicemente culturale.
Il DPA farebbe bene a consultare le legislazioni di Paesi europei che dalla tolleranza e conseguente regolamentazione, hanno solo tratto benefici sia in termini sociali che economici.
L’Olanda, la Danimarca, il Belgio, il Portogallo, la Spagna, la Repubblica Ceca e alcune altre nazioni, già da anni praticano un regime di tolleranza verso i consumatori di cannabis e non risulta in nessuna statistica che in quei Paesi ci sia stato un aumento di atti criminali, incidenti sul lavoro, incidenti d’auto o emergenze sanitarie che potessero essere rapportate all’uso di cannabis.
La politica dello struzzo non è una politica saggia e rinnoviamo l’invito al DPA a voler tirar fuori la testa dalla sabbia e prendere atto che la realtà è molto diversa dalle convinzioni espresse nei suoi comunicati.
Giancarlo Cecconi – ASCIA
Legalizziamolacanapa.org Team

FONTE : http://www.legalizziamolacanapa.org/

1 commenti:

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