lunedì 25 luglio 2016

Cosa c'è che non va nella proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis

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Immagine via Gianpaolo Grassi
Gianpaolo Grassi lavora come primo ricercatore al CREA-CIN, azienda sperimentale per le Colture Industriali di Rovigo. L'ho intervistato qualche tempo fa perché si occupa in prima persona della coltivazione delle talee di cannabis terapeutica che vengono poi fatte crescere all'Istituto Chimico Farmaceutico di Firenze—nell'ambito del progetto sperimentale che al momento alimenta la speranza di tutti i malati italiani che hanno bisogno della sostanza.
Durante la lunga intervista avevamo toccato gli argomenti più disparati, che riguardavano però prevalentemente la cannabis a uso medico e tutti gli ostacoli economici e burocratici in cui bisognava imbattersi per coltivarla e farsela prescrivere.
La settimana scorsa, Gianpaolo Grassi mi ha inviato via mail un documento che ha presentato alle audizioni della Commissione Affari sociali della Camera il 20 giugno scorso in relazione alla proposta di legge che verrà discussa oggi. Mi ha riferito che, in quella sede, il suo intervento è stato tra i pochi a suscitare delle reazioni tra i promotori.
In effetti, i punti di vista di Grassi possono essere definiti in parte estremi e non del tutto progressistiMa si tratta pur sempre del parere ponderato di un ricercatore esperto, che ha dedicato parte della sua vita alla cannabis e a cui vale la pena dare un po' di credito. Qui riporto l'intervento quasi per intero, lievemente editato per motivi di lunghezza e di forma.
"La mia esperienza sulla canapa parte da bambino, quando a 6 anni ci giocavo in mezzo con gli amici. Più di 22 anni fa ho iniziato a studiarla e a occuparmene professionalmente.
Una delle condizioni prioritarie da garantire nel metter mano a questo argomento spinoso è quella di non attuare cambiamenti che possano causare maggiori danni di quelli che si sono avuti con la situazione di proibizionismo attuale.
Per limitare eventuali problemi, si devono avere ben presenti gli aspetti derivanti da una maggiore e più facile reperibilità delle sostanze derivate dalla Cannabis. Si deve partire dalla piena consapevolezza del danno che può arrecare la sostanza al consumatore stesso e a chi, pur non consumandola, può causare danni in forma indiretta (vedi Figura 1), apparsa sulla prestigiosa rivista Lancet il 1 novembre 2015, con di seguito i valori numerici desunti dalle osservazioni.

Sia l’alcool che il tabacco causano danni diretti superiori a quelli causati dalla Cannabis e questo è già un punto di partenza che pone a favore della legalizzazione di questa sostanza. Anche per quanto riguarda i danni indiretti, il rapporto è lo stesso. Non considerando ora i problemi per la salute, vanno analizzati nel dettaglio quali possono essere i problemi indiretti derivanti dal consumo della Cannabis.
Per esperienza vissuta personalmente, il danno più grave che può arrecare l’uso di questa sostanza è quello che coinvolge le fasce di età più giovani che sono le più esposte. Nel caso di ragazzi al di sotto dei 18 anni, l’uso della Cannabis comporta quasi sempre l’avvicinamento a persone dedite allo spaccio, che certamente hanno uno stile di vita e principi morali che non possono e non devono essere un esempio o modello.
In un caso seguito personalmente, lo spacciatore era in cittadino italiano quarantenne, con precedenti di droga, musicista e parassita della sua stessa famiglia. Nonostante il soggetto avesse queste caratteristiche, era capace di apparire ai suoi clienti, di età compresa tra i 15 e 17 anni, come una persona carismatica, libera, divertente e degna di fiducia.
Immaginiamo ora la condizione in cui in un nucleo famigliare in cui sono presenti dei minori, si dia la possibilità al capo di famiglia di coltivare un orticello di cinque piante di Cannabis per uso personale. Quale potrà essere l’esito di un tale esperimento? Certamente il minore non riuscirà a capire che differenza c’è tra ciò che fa il genitore e che potrebbe fare lui. Lo spirito di emulazione lo spingerebbe quanto meno a provare e consumare la sostanza e sicuramente a considerare la Cannabis sicura, innocua e disponibile anche per lui. Inoltre il ragazzo potrebbe essere portato a vantarsi con gli amici, facendo provare anche a loro l’effetto della sostanza.
Sottovalutare questi fondati pericoli è da sconsiderati e superficiali, unicamente con la scusante dell’interesse economico o dell’egoismo di ampliare la libertà personale. Per queste ragioni, la società civile, assieme alle famiglie ed agli educatori di ogni ordine e grado, deve prevenire certi comportamenti, evitando il lucro che sempre accompagna le sostanze stupefacenti e soprattutto facendo efficace e precoce informazione, prevenzione partendo già dalle scuole elementari. Pare banale e ovvio dirlo, ma la prevenzione è sempre l’intervento più efficace e meno costoso da adottare.
Mai e poi mai si dovrebbe consentire che venga lasciata nelle mani del singolo consumatore
Per arrivare agli interventi pratici da porre in atto per gestire in modo corretto ed efficace la distribuzione della Cannabis e i suoi derivati, ritengo non si debbano adottare provvedimenti inesplorati, speciali e completamente nuovi, ma sarebbe più prudente ripercorrere le strade già sperimentate con sostanze dello stesso genere di pericolosità, come alcool e tabacco. Le differenze sono unicamente dovute alle specifiche sostanze stupefacenti presenti: nicotina nel primo e cannabinoidi nel secondo.
Partendo dalla questione della produzione della Cannabis, mai e poi mai si dovrebbe consentire che venga lasciata nelle mani del singolo consumatore.Sarebbe esattamente come si consentisse al singolo cittadino di distillarsi il proprio alcool (ricordiamo i morti da metanolo) o di coltivare le proprie piante di tabacco. Per entrambe le due sostanze considerate, se la loro produzione venisse resa libera, la sicurezza relativa alla salubrità, qualità e costo finale del prodotto non sarebbe così garantita come lo sarebbe se gestita professionalmente da aziende autorizzate e controllate direttamente dallo Stato.
Se uno degli scopi prioritari fosse quello di garantire il consumo di Cannabis, sicura dal punto di vista dell’assenza di sostanze contaminanti e pericolose, sarebbe necessario che ogni singolo consumatore fosse a conoscenza delle tecniche agronomiche che gli permettono di prodursi personalmente la sostanza da consumare. Immaginando l’ipotesi di consentire l’autocoltivazione: ci sarebbero tre categorie di produttori:
A) quelli che sono in grado di coltivarsi e produrre adeguatamente le piante;
B) quelli che coltivano le piante, ma non essendo esperti, non riuscirebbero ad ottenere un prodotto sicuro e valido;
C) quelli che non potendo o non sapendo come fare, dovrebbero acquistarlo da altri.
Il libero mercato porterebbe a un incremento dei prezzi o di sperequazioni
In questa ultima categoria rientrerebbero più di frequente le persone ammalate o meno abbienti che non avrebbero la possibilità di auto approvvigionarsi. Persone disabili perché ammalate, inesperte o anziane. Non è auspicabile che decine di migliaia di persone possano dipendere dal volontariato di altri. Certamente chi lavora per altri dovrà ricevere un compenso e i fortunati che sanno come coltivare la cannabis, verosimilmente gli stessi che clandestinamente lo hanno fatto sino ad ora, diventerebbero detentori del potere di gestire la sostanza di cui altri avrebbero bisogno di utilizzare e pagare a prezzo non controllabile.
Il libero mercato porterebbe a un incremento dei prezzi o di sperequazioni, in base al luogo e alle condizioni economiche in cui i soggetti opereranno. Sarebbe pressoché impossibile controllare adeguatamente tutte le situazioni e condizioni che si verrebbero a creare. Non è possibile escludere a priori che le narcomafie restino escluse o disinteressate a questo affare, anzi...
Un vincolo molto importante da considerare è quello che vede il nostro Paese aderire al trattato delle Nazioni Unite che deriva dalla Convenzione Unica sugli Stupefacenti di New York del 1961, poi aggiornato nel 1972 ed ulteriori revisioni, che riguarda la regolamentazione della produzione delle sostanze stupefacenti. In questi accordi è previsto che ogni Paese aderente rendiconti annualmente le quantità di ogni sostanza stupefacente prodotta e trasmetta questi dati all’ufficio centrale dell’INCB (International Narcotic Council Boreau). 
Il Canada ha già sperimentato la scelta di lasciare, limitatamente a tutti gli ammalati che necessitavano di Cannabis, la facoltà di prodursi la quantità necessaria, ma è emerso in modo evidente e irrisolvibile la questione del rispetto delle regole imposte dal trattato sulle sostanze stupefacenti. Insorgerebbe per l’Italia la stessa questione critica di rapporti con le Nazioni Unite.
Pochi altri Paesi stranieri hanno ignorato queste norme: Uruguay, alcuni Stati dell’America, però non a livello federale, ma in Europa nessun Paese ha ignorato i diversi articoli (14; 16, 20 etc.) del trattato dell’ONU, adottati e rispettati fino ad ora (allegato n° 4).
Sul contenuto del principio attivo psicotropo della Cannabis
Sono state messe in circolazione ad arte, notizie false relativamente alle ragioni per cui nella Cannabis ci sono livelli sempre più elevati di THC. Il limite descritto negli Stati Uniti, ma non verificato da noi, parla del 35% del peso secco dei fiori di sostanza stupefacente.
Va considerato che al momento non esistono prove certe che la pianta di Cannabis possa essere geneticamente trasformata. Perciò è priva di ogni fondamento l’idea che i livelli elevati di THC siano stati indotti da manipolazioni genetiche. Una pianta, che attraverso la semplice applicazione di tecniche agronomiche specifiche produce il 30 percento o più, di THC, è già naturalmente un bioreattore ad elevata efficienza e non c’è proprio motivo di modificarla. Inoltre, la maggioranza di chi è interessato alla Cannabis è fermamente contrario agli OGM, perciò non sarebbe neppure una valida operazione di marketing.
Ritenere che sia un grave pericolo avere a disposizione materia vegetale con così elevati livelli di THC non mi vede del tutto d’accordo. Credo che l’esempio che porterò dovrebbe far comprendere le miei ragioni.
Se il consumatore desidera raggiungere un determinato stato euforico attraverso l’inalazione del fumo di Cannabis deve riuscire ad assorbire circa 10 mg di THC attivo.
Se ha a disposizione uno spinello del peso complessivo di 1000 mg di Cannabis e in questa c’è l’1 percento (uguale a 10 mg per 1000 mg) di THC, significa che se la deve fumare tutta. Inalerà perciò quasi 900 mg di altre sostanze tra cui molte cancerogene.
Se nello spinello invece è presente Cannabis che contiene il 30 percento di THC, già dopo averne fumato 1/30 del peso avrebbe assunto i 10 mg e se fosse intelligente, informato e consapevole, si fermerebbe e lascerebbe agli amici finire il resto o la prossima volta ne preparerebbe uno con un quantitativo di Cannabis adeguato.
LA DISPONIBILITÀ DI CANNABIS AD ELEVATA CONCENTRAZIONE DI THC OFFRE LA POSSIBILITÀ DI UTILIZZARE LA SOSTANZA EVITANDO DI INALARE ELEVATE QUANTITÀ DI MOLECOLE CANCEROGENE E PERICOLOSE. 
E’ come se paragonassimo le bevande soft drink o birra a bassa gradazione alcoolica con 3-5° di alcool ed i super alcolici che arrivano ai 40° di alcool. Se il consumatore è misurato e consapevole, può raggiungere lo stato di appagamento e gradevolezza dovuta all’alcool con una dose ben proporzionata. Se il soggetto vuole ubriacarsi, lo può fare con entrambe le tipologie di bevande. La situazione estrema di pericolosità che si traduce con il coma etilico è certamente più rapido e facile da raggiungere con il super alcolico, ma la differenza sta nella consapevolezza e misura del soggetto che la consuma, non sulla disponibilità dell’una o altra bevanda. In ogni caso ai minori o ai soggetti più vulnerabili dovrebbe essere impedito di utilizzare sia la sostanza a bassa pericolosità che quella ad alta e per gli altri consumatori fare adeguata informazione e prevenzione.
Aspetti salutistici legati alla Cannabis
Personalmente ritengo che la regolamentazione delle sostanze stupefacenti sia una materia complessa, e per riuscire a fare chiarezza e provare a gestirla in modo pragmatico e migliore rispetto all’atteggiamento vecchio e fallimentare del proibizionismo, serva evitare l’errore costante, usato come strategia vincente dai proibizionisti, che consiste nel fare continua confusione e commistione tra Cannabis per uso ricreativo e Cannabis per uso medico. L’impiego in ambito medico della Cannabis deve e può essere regolato solo ed esclusivamente seguendo le norme che sono previste in tutto il Mondo dai Paesi che prevedono la gestione dei farmaci solo in modo professionale e controllato da agenzie pubbliche specifiche per gli aspetti attinenti alla Salute.
Immaginiamo solo la reazione che potranno avere i medici italiani quando si vedranno autorizzare dalla Stato l’auto produzione della medicina personalizzata costituita da qualsiasi tipo o varietà di Cannabis.
Fino a qualche decennio fa la Cannabis, con i suoi derivati, era compresa nelle Farmacopea italiana ed in diverse altre europee, inclusa quella degli Stati Uniti. Sia prima, che ora, è possibile distribuire farmaci galenici, che non hanno richiesto ingenti investimenti per la loro registrazione e produzione. Con le preparazioni magistrali si offre anche un’ulteriore possibilità alla categoria dei farmacisti di impegnarsi e aumentare l’interazione tra medici e pazienti. Già ora si può percepire il positivo livello di approvazione da parte di quei farmacisti che hanno iniziato a distribuire i derivati della Cannabis. Sono in grado di preparare oleiti, estratti, capsule, supposte, alimenti che derivano dalla Cannabis con grande apprezzamento da parte dei medici e pazienti, nonostante il prezzo sia abbastanza sostenuto (circa 3 volte quello che dovrebbe ragionevolmente avere).
I cannabinoidi e in particolare il CBD, inibiscono l'attività dell'enzima citocromo P450-2C19 (Jiang et al. 2013). Enzimi del complesso citocromo P450 sono responsabili della degradazione anche degli altri medicinali. Farmaci che vengono degradati dal complesso dell'enzima 2C19, tra cui molti inibitori della pompa protonica, come Pantoprazolo e farmaci antiepilettici, come Clobazam, possono essere degradati più lentamente se somministrati insieme con il cannabidiolo CBD. Inoltre, esso inibisce l'attività del CYP2D6, che può causare interazioni con l'inibitore della pompa protonica, rallentando l’eliminazione dell’Ondansetron e il farmaco antiepilettico Risperidon. Secondo una ricerca presso l'Università di Hokuriku a Kanazawa, Giappone, diversi fitocannabinoidi (THC, CBN, CBD) riducono il metabolismo del Warfarin e di Diclofenac, aumentando il loro effetto e la durata d'azione. Warfarin è un medicinale utilizzato per ridurre la coagulazione del sangue e Diclofenac riduce il dolore e l'infiammazione.
Nel caso fosse ammessa l’auto coltivazione, sarebbe logico attendersi che il medico si rifiuti di seguire un paziente che pretende di auto approvvigionarsi, di auto diagnosticarsi la malattia e curarsi con un prodotto di cui nessuno è in grado di garantire la salubrità, la concentrazione dei principi attivi, la continua ed uniforme disponibilità e così via. Si determinerebbe l’anarchia assoluta e l’abbandono da parte dei medici della cura dei pazienti affetti anche da malattie importanti come il cancro o malattie degenerative invalidanti.
Lo Stato non può o meglio detto, non dovrebbe assumersi una simile responsabilità.
La produzione di sostanze consumate per inalazione, come il tabacco, vengono prodotte seguendo particolari regole. Sono vendute nelle tabaccherie e bar di tutto il paese. La stessa modalità di distribuzione potrebbe essere seguita per i derivati della Cannabis, aggiungendo farmacie ed erboristerie.
A mio personale parere è inammissibile che una sostanza inalata come il fumo del tabacco venga derivata da un prodotto ottenuto senza adottare quanto meno le buone norme di produzione agricola (GAPS) o le regole richieste per la produzione degli alimenti (regole HCCP). Almeno per la Cannabis si deve prevedere che la produzione della materia prima vegetale venga prodotta seguendo regole che non ammettono l’impiego di prodotti chimici come diserbanti, insetticidi o fungicidi (cosa invece ammessa per il tabacco). Nessuno forse ha mai pensato e proposto di analizzare l’inquinamento microbiologico del tabacco usato per le sigarette. Certamente non le lobby del tabacco.
Se vediamo quale può essere il carico di funghi e batteri, anche patogeni per l’uomo, in campioni di Cannabis venduti nei coffe shop olandesi, c’è da spaventarsi (tabella seguente).
I primi due campioni della lista sono Cannabis di grado farmaceutico, prodotti e gestiti dal Ministero della Salute Olandese, mentre i campioni identificati con le lettere che vanno dalla A alla K sono campioni di Cannabis acquistati dal mercato libero di strada.
Per riuscire a garantire alcuni standard di qualità e sicurezza è necessario che le aziende produttrici siano di un numero limitato (al massimo una per ogni Regione o Provincia Autonoma). Si suggerisce di affidare a ogni singola Regione, in quanto tutte hanno un organismo di ricerca che si occupa di agricoltura, la produzione diretta o la concessione ad una sola azienda privata, facendo seguire precisi protocolli produttivi e seguendo regole che lo Stato, attraverso i suoi organismi di controllo come NAS o Corpo Forestale della Stato, potrebbe far applicare in modo preciso e puntuale. Anche i quantitativi prodotti potrebbero essere adeguatamente verificati perché al massimo sarebbero 20 i siti produttivi da seguire e controllare costantemente.
In Canada ora sono operative 26 aziende private autorizzate dallo Stato a produrre Cannabis. Con l’auto coltivazione erano state concesse più di 25.000 autorizzazioni ad altrettanti pazienti-produttori. La popolazione canadese è di 30 milioni circa. Noi siamo 60 milioni, come controllare 50.000 siti produttivi o gestire altrettanti fonti di sostanze stupefacenti? Come monitorare ciò che chiedono le Nazioni Unite?
Si ribadisce che le caratteristiche di qualità e standardizzazione richieste per la Cannabis medicinale destinata a curare pazienti, impone senza ombra di dubbio, la produzione esclusivamente da parte di aziende farmaceutiche autorizzate e controllate dall’AIFA.
L’argomento Cannabis medicinale non dovrebbe essere mescolato e confuso con quello della Cannabis ludica, se si vuole tentare di licenziare un provvedimento normativo attuabile e condivisibile da tutti. Nello steso tempo però ci si deve prefiggere di tutelare e garantire nel più breve tempo possibile i diritti alla cura dei malati che richiedono questa sostanza.
Sulle sementi e la certificazione delle varietà impiegate
Per quanto riguarda l’origine della pianta da coltivare, è indispensabile bloccare e rimuovere dal mercato la circolazione delle innumerevoli qualità di semi che nella quasi totalità provengono dall’estero. L’auto produzione del seme è cosa non ammessa e non consentita neppure per tutte le altre specie e colture agricole. Non si capisce perché per la Cannabis ci dovrebbe essere una deroga.
L’unico centro autorizzato da più di 20 anni dal Ministero della Salute a coltivare e selezionare la Cannabis è l’Istituto di ricerca pubblico afferente al CREA (il CIN, Centro di ricerca per le Colture Industriali) vigilato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.
Le varietà di Cannabis devono essere stabili, sicure, si deve conoscere il loro profilo chimico, sapere che origine hanno e l’adattabilità alle diverse tecniche di coltivazione ed ambienti di produzione. Solo con l’intervento di un organismo già fornito di conoscenze e attrezzature adeguate si può avviare un serio lavoro di selezione e registrazione di varietà di cannabis. Tale lavoro, in seguito, potrà essere affiancato anche dall’attività di aziende regionali pubbliche o private, in funzione delle scelte che ogni Regione potrà fare.
Per riuscire a controllare adeguatamente il mercato delle sementi certificate devono essere ammesse a questa attività solo organismi verificabili, controllabili, e gestibili in sicurezza. Le regole derivano dal Regolamento 2002/57/CE che prevede l’obbligo della certificazione per la commercializzazione delle sementi (allegato n° 5).
Capo I bis DELLA DETENZIONE:
Pare opportuno focalizzare l’attenzione su un punto della proposta di legge. Risulta problematico far collimare la possibilità di coltivare fino a 5 piante di Cannabis e nelle steso tempo limitare la quantità detenuta di Cannabis che è indicato non dover essere superiore a 5 gr o 15 gr, o di più, in funzione di quanto prescritto dal medico curante. Le piante di Cannabis possono dare una produzione per singola pianta che va da un minimo di 10 gr, sino ad arrivare anche a più di 500 gr e complessivamente le 5 piante potranno perciò fornire anche 2.500 gr e più di fiori.
Come farà il coltivatore a gestire la sua produzione? Dovrebbe raccoglierne progressivamente per non più di 5 gr e il resto? Dovrebbe andare distrutta registrando la produzione complessiva? Ora, la 309/90 prevede che la produzione in eccesso venga smaltita attraverso l’incenerimento sotto il controllo della ASL e della Guardia di Finanza. Si immagina migliaia di situazioni da controllare allo stesso modo? Sarebbe ingestibile una sovra produzione del genere e causerebbe problematiche continue per la sua detenzione. La soluzione che il testo della legge propone e che il produttore non deve rispettare questo limite minimo di 5 o 15 gr. Ciò porterà ad un ovvio escamotage: cioè tutti quelli che vorranno evitare contestazioni sulla quantità detenuta coltiveranno o avranno in casa almeno una pianta, perciò sul territorio italiano avremo milioni di siti produttivi di Cannabis.
Il produttore industriale di sostanze derivate dalla Cannabis deve riuscire a gestire il magazzino e la produzione rispettando i limiti massimi di sostanze stupefacenti detenute derivate dalla Cannabis. Al produttore industriale deve essere concesso di detenere quantità importanti di derivati di Cannabis, registrandone negli appositi registri di Carico e Scarico le quantità e le concentrazioni stimate di principio attivo (THC) che il materiale potrebbe contenere. I registri dovranno essere vidimati e controllati da personale ispettivo. Quanto meno il produttore deve essere autorizzato e registrato anche perché deve operare e garantire il regime di monopolio statale. Il loro numero però non potrà eccedere quello dei siti produttivi, altrimenti i controlli saranno difficoltosi o estremamente costosi.
Titolo II bis MONOPOLIO DELLO STATO
Le varietà di Cannabis ammesse alla coltivazione sul territorio nazionale devono essere registrate nel Registro Nazionale delle Novità Varietali o protette da una Privativa Comunitaria in modo da conoscere il costitutore e chi ha la responsabilità della sua conservazione in purezza, in modo da rintracciare l’origine e le responsabilità derivanti dall’uso della varietà. Le cultivar possono essere dioiche monoiche e femminizzate (tutte femmine). Per quanto attiene alle varietà destinate a produrre le piante di Cannabis è previsto per legge:
Articolo 9 del DPR 1065/73, i prodotti sementieri di varietà di canapa iscritte nel registro nazionale o comunitario devono provenire comunque da lotti regolarmente certificati, anche nel caso di confezioni di limitate quantità.
Questo significa che non potranno essere ammesse le attuali sementi di Cannabis che circolano liberamente attraverso gli smart shops o internet. Dovrà esserci una certificazione ed una regolare tracciabilità delle sementi che possono consentire di garantire le qualità dei prodotti derivati. Non è possibile che succeda come adesso, dove chiunque si improvvisa sementiere e mette in circolazione qualsiasi tipo di semente, senza rispettare norme, pagare tasse o rispettare le regole che valgono per tutte le altre piante coltivate ed i regolari imprenditori del settore sementiero.
Qualora dal mercato delle sementi emergessero significativi introiti, questi dovrebbero obbligatoriamente essere reinvestiti nella ricerca pubblica e così si autofinanzierebbe il lavoro di miglioramento genetico che già da ora, dal CREA-CIN di Rovigo, parte con una dotazione di più di 300 diversi tipi di Cannabis (per 1/3 circa destinabili alla produzione di sostanze stupefacenti). Buona parte dei materiali vegetali raccolti sono stati caratterizzati e studiati e le linee con buone caratteristiche sono già in fase di registrazione. Da questo punto di vista l’Italia parte con una dotazione e situazione varietale che ben pochi altri Paesi europei si possono permettere.
Le tecniche di coltivazione attualmente più applicate per la coltivazione della Cannabis hanno sofferto delle norme proibizioniste esistenti nel nostro Paese. Ci sarebbe da migliorare e diffondere adeguatamente le conoscenze richieste per una coltivazione in piena aria che garantirebbero maggiori rese produttive, con costi decisamente più contenuti rispetto a quelli che sono richiesti per le colture realizzate in ambienti chiusi o protetti. Con tutto il sole che abbiamo la fortuna di poter utilizzare, pensare di coltivare la Cannabis solo sotto lampade, pare assurdo e fuori da ogni logica. Se ipotizziamo un prezzo al grammo (una singola sigaretta potrebbe pesare 1 grammo) pari a 10 euro, con il 75% di accise, si riserverebbero 2,5 euro/grammo per il costo della materia vegetale, somma che garantirebbe il rispetto di livelli di sicurezza e standardizzazione ben superiori a quelli richiesti per la produzione del tabacco da sigarette.
L’azienda sperimentale dove opera il CREA-CIN di Rovigo ha una superficie utile coltivabile di 60 ettari (di proprietà del Demanio dello Stato). Per mandato della Regione Veneto, in questo sito si potrebbero ottenere 10 q.li di fiori per ettaro e al prezzo di 2,5 euro/grammo farebbero ricavare 25 milioni di euro all’ettaro, aggiungendo le fasi di raccolta, essiccazione, lavorazione, sterilizzazione e confezionamento. Con solo 10 ettari coltivati a cannabis di potrebbero introitare 250 milioni di euro. Dal 2000 ad oggi, dal MiPAAF o dal Ministero della Salute non abbiamo ottenuto neppure 1 euro per ricerca sulla Cannabis, neppure quella medicinale.
In effetti era stato presentato un progetto di costituzione di uno spin off basato sui prodotti della canapa industriale, immaginando anche in un futuro di poter avviare la produzione di cannabis derivata da varietà contenenti cannabinoidi “non stupefacenti” come il CBD. Il progetto presentato a diverse manifestazioni e sottoposto all’esame del Consiglio di amministrazione del CREA aveva trovato d’accordo la maggior parte dei membri. Purtroppo, per la posizione contraria del solo direttore del nostro stesso centro, il progetto non ha avuto la possibilità di essere avviato, nonostante avesse avuto la prospettiva di dare lavoro ad un discreto numero di persone, tra cui alcuni precari che da anni frequentano il centro di ricerca e sperano di acquisire una professionalità ed un ruolo che valorizzi le preziose e quasi uniche competenze maturate su questo argomento.
Falso mito della contrazione del numero dei detenuti legati allo spaccio
Il costo stimato per la gestione dei detenuti associati allo spaccio di stupefacenti arriva attorno ad un miliardo di euro e riguarda alcune decine di migliaia di detenuti. Eliminando la causa di arresto per spaccio di droghe leggere, il risparmio economico sarebbe molto relativo, se a questi detenuti non si dà la possibilità di inserirsi e provvedere al proprio sostentamento economico con attività lecite. Diversamente, succederà che lo stesso detenuto non sarà in seguito incarcerato per ragioni di spaccio, ma per furto o altra attività illegale che gli consentirà di recuperare il denaro che gli serve per vivere. In pratica avverrà unicamente la variazione della tipologia del reato che ha causato l’incarcerazione, ma il costo per la gestione della popolazione carceraria rimarrà pressoché identico, se non si investirà in sviluppo economico, educazione, progresso e miglioramento dello stato sociale in generale.
Certamente verrà trasferita l’attività legata alla gestione della droga leggera come la Cannabis, dalle mani delle narcomafie allo Stato e questo è certamente un progresso, ma il ricavato dovrà essere destinato prevalentemente al recupero delle persone che in origine erano dedite allo spaccio della Cannabis.
Problema della contaminazione delle coltivazioni di canapa industriale
La libera coltivazione di qualsiasi varietà o tipo di Cannabis, specialmente se comprende piante maschili che liberano milioni di granuli pollinici che portano l’informazione genetica dell’elevata concentrazione del THC causerebbe l’inevitabile ed incontrollabile diffusione nell’ambiente di informazione genetiche che andrebbero ad inquinare le coltivazioni lecite di canapa industriale. Queste, per godere della libertà di essere ovunque realizzate, devono essere fatte con varietà il cui contenuto di THC non superi lo 0,2 percento. Se saranno milioni e sparse in ogni dove le piante coltivate ad alto tenore di THC, il polline da esse prodotto andrà a fecondare il fiore di varietà lecite e nelle successive generazioni si avrà un significativo inquinamento e aumento del livello del THC. Si comprometterebbe l’attività degli imprenditori agricoli e sarebbe a rischio la salubrità dei prodotti alimentari derivati dalla canapa industriale.
Avendo concentrate in pochi siti le produzioni ed in questi venissero coltivate unicamente le piante clonate e femminili, il problema ed il rischio sopra descritto sarebbe azzerato."
Fonte:  http://motherboard.vice.com/it/read/legalizzazione-cannabis-parere-gianpaolo-grassi

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