venerdì 18 febbraio 2011

Fra schizofrenia, cannabis e propaganda

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Al sunto dello studio pubblicato dal Notiziario Aduc e alle dichiarazioni del dottor Serpelloni possiamo aggiungere questo commento a cura di Giorgio Bignami
Fonte: Fuoriluogo.it, del 17/02/2011
ArchivesofGeneralPsychiatry.jpgOgni nuova meta-analisi su di un determinato argomento - cioè il riesame dei risultati precedentemente pubblicati in base a specifici criteri di inclusione o scarto dei dati e a raffinati metodi statistici - talora ribalta clamorosamente quanto prima universalmente accettato come verità inconfutabile (vedi p.e. il caso dei trattamenti ormonali per i disturbi della menopausa); ma il più delle volte non aggiunge un gran che alle analisi precedenti, salvo qualche marginale ritocco (così come si fa con l'estetica delle auto di modelli già da tempo in produzione). Questo sembra il caso della nuova meta-analisi sui rapporti tra  cannabis e psicosi apparsa sugli "Archives of General Psychiatry": un lavoro subito utilizzato dai sostenitori della Tabella Unica nella Fini-Giovananardi come ulteriore robusta prova del rischio per  i consumatori di andare successivamente incontro a gravi disturbi mentali.
La nuova meta-analisi mira a verificare l'insorgenza più precoce di psicosi nei consumatori di cannabis rispetto ai non consumatori o ai consumatori di alcol, dando per scontato l'aumento di frequenza. Essa conferma tale effetto di anticipazione, vantandone l'importanza ai fini del carattere causale dell'associazione cannabis-psicosi; ma poi si pone una lunga serie di domande su problemi irrisolti "da affrontare con studi futuri" (è la giaculatoria che ricorre quasi sempre in questi lavori, come difesa preventiva dalle future smentite). Di fatto non reca alcun significativo nuovo elemento di prova rispetto a  quelli già notevolmente scontati da diverse parti scientificamente autorevoli (v. anche il commento critico sul sito di NORML).
Il rapporto della fondazione Beckley, per esempio, mette in evidenza una precedente meta-analisi che ha più attentamente considerato i fattori i quali confondendosi con il consumo di cannabis ne scontano l'apparente ruolo psicopatogeno: il rischio relativo rispetto ai non consumatori si riduce sino a 1,4, con un "limite di fiducia" verso il basso di 1,2, cioè vicinissimo all'unità che corrisponde al non-effetto.
Inoltre, malgrado il notevole aumento del consumo di cannabis in tutti i paesi, non è aumentata  la frequenza di quelle patologie dissociative francamente psicotiche per le quali è incriminata la cannabis (schizofrenia, forme "schizoaffettive", ecc.); ed è invece notevolmente aumentata la frequenza delle patologie affettive (soprattutto la depressione), la cui associazione con la cannabis varia notevolmente da uno studio all'altro.
Infine, tutti riconoscono che molto lavoro è ancora necessario per completare la lista dei possibili fattori di confondimento; e che nessuna analisi ha sinora considerato congiuntamente tutti quelli pur già noti. Pertanto non sorprenderebe una ulteriore discesa del rischio relativo per i consumatori di cannabis verso l'unità, o addirittura al di sotto di essa. E data la crescente tendenza a sovra-diagnosticare le più svariate malattie - un fenomeno ben documentato da Marco Bobbio nel suo "Il malato immaginato", Einaudi, 2010 -,  all'apparente stabilità della frequenza della schizofrenia potrebbe in realtà corrispondere  una sua reale diminuzione. Appare pertanto assai sospetto il fatto che si ignori la prassi scientifica di eseguire anche ricerche basate su ipotesi diametralmente opposte a quelle correnti (i non addetti ai lavori in genere non sanno quanto l'ipotesi di partenza possa influire sui risultati, secondo il modello dell'autoavveramento delle profezie): cioè, per esempio, che il ricorso alla cannabis da parte dei soggetti più vulnerabili, ancora sofferenti a un livello subclinico, possa avere una azione protettiva rispetto agli effetti psicopatogeni di fattori come le condizioni socioeconomiche e ambientali sfavorite, i traumi infantili, le famiglie disgregate, ecc ecc. Per motivi che tutti gli addetti ai lavori ben conoscono, non è la stessa cosa prendere in considerazione una tale eventualità come ipotesi di lavoro ai fini di una ricerca piuttosto che come possibile fattore di confondimento in una ricerca con diverso obiettivo primario.
Non spetta a noi, ma a chi dispone delle risorse necessarie, promuovere ricerche di questo tipo. Qui se ne parla  poichè la loro latitanza concorre a sottolineare la debolezza e la strumentalità degli argomenti usati dai demonizzatori di una droga assai meno nociva di altre, assai meno rischiosa di tanti atti banali della vita quotidiana; e soprattutto, una droga la cui penalizzazione alla pari di quelle più dure è considerata da più di un esperto - medico, psicologo, sociologo, poliziotto, magistrato, economista... - una robusta spinta al viaggio verso consumi assai più pericolosi.
Collegamenti:
Campagna iscrizioni 2011
Il sunto dello studio con il commento di Giovanni Serpelloni (dal Notiziario Droghe Aduc)
http://droghe.aduc.it/notizia/

Archives of General Psychiatry
http://archpsyc.ama-assn.org/

Commento su NORML:
http://stash.norml.org/


Fonte: http://www.fuoriluogo.it/

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