sabato 18 settembre 2010

Rom, ovvero sporco, ladro e scippatore

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Sarebbe molto importante che a tutti gli scolari si raccontasse chi sono “gli zingari”. Quanti sono, quanti anni hanno, quanti sono italiani e da quante generazioni, quanti abitano in case e quanti vorrebbero abitarci, e quanti furono sterminati, e che storia millenaria di paura e attrazione, di brutalità e demonizzazione si è rovesciata su loro, e quale incomparabile avversione ai rom di Romania nutrano i romeni… Quanti bambini risulta che abbiano rapito – per esempio: nessuno – e quanti bambini furono rapiti a loro, in paesi civilissimi, in nome dell’assimilazione (Adriano Sofri, La Repubblica2 Diario, 26/08/2010).

Rom, ovvero ladro di bambini e scippatore: il grande uomo nero che si nasconde alle porte della città delle persone per bene è Rom. Non importa che i Rom siano un popolo senza nazione, non importa che siano pochi e relativamente innocui, essi sono la categoria residuale utile a spiegare la malvagità della nostra società. Sono la categoria del ripugnante, dell’usurpatore, dello sporco, del malato, dell’ignorante che non possiamo vedere affibiata a noi, gente civile che vive nelle case con la corrente elettrica e la tv e internet. No, i Rom nemmeno possono essere cacciati del tutto: gli sgomberi dei campi nomadi sono sempre temporanei. Passata la burrasca, essi possono tornare, come in uno stato di latenza, per esser poi riadoperati per paventare al cittadino-suddito l’immagine del mostro alla soglia dell’uscio di casa. Gli zingari servono ai governanti. Servono a instillare nel cittadino-suddito l’idea che sia necessario qualcuno che li protegga dai pericoli portati da questi barbari accampati alle perifierie. Servono a giustificare il potere.
Questo ha fatto Sarkozy. Questo fanno da anni i leghisti, assommando ai Rom anche l’extra-comunitario, l’immigrato irregolare, che porta via il lavoro ai nostri figli, che viene nel nostro paese e vive con i nostri soldi, che non lavora e diventa sicuramente un delinquente e si introduce nelle nostre case, di notte, quando nel sonno siamo soli e indifesi.
Nessuno vi ha detto che i Rom sono un popolo. Pensate, hanno persino una bandiera. Al cui centro campeggia un sole, che non sarà quello delle Alpi, ma pur sempre un sole è. E forse nessuno si è domandato perché il nome Rom, da che deriva, quale la sua etimologia. Quando Veltroni, anni fa, ai tempi in cui era sindaco di roma, ordinò lo sgombero del campo nomadi del Testaccio per trasferirlo al Prenestino, nemmeno fece caso alla strana curiosa assonanza fra Roma e Rom – che al plurale diventa proprio romá. E cosa vorrà mai dire Rom?
L’etnonimo “Rom” nella loro lingua detta “romanes”, significa “uomo”, termine che li differenzia dai non zingari, nel loro idioma detti “gagè”, che in origine individuava i “contadini zotici e ignoranti” (Ministero degli Interni, Pubblicazione sulle minoranze senza territorio).
Pensate a quale inversione di senso ha avuto il termine nel corso dei millenni: ora rom non è più uomo è “gagè”, è lo zotico e ignorante accampato ai margini, nel fango e negli escrementi. E lo sapevate che le varie etnie nomadi si differenziano anche attraverso l’attività economica prevalente che conducevano? Esistono i Lovara (da lob =cavallo in ungherese o da love denaro in romanes); i Kalderasha (calderai e indoratori) e i Churara (da churi = fabbricanti di setacci). Tutte attività che le rivoluzioni industriali hanno spazzato via. Quando il ministro Maroni parla di imminenti sgomberi dei campi nomadi abusivi, dimentica di dire che le etnie Rom, Sinti e Caminanti sono presenti in Italia da circa 600 anni. E soprattutto ignora che la Costituzione contiene all’articolo 6 il principio della tutela con apposite norme delle minoranze linguistiche.
[A causa] della difficoltà di applicazione alla popolazione zingara di molte delle norme dell’articolato, per il mancato ancoraggio della stessa ad un territorio definito [...] allo stato attuale, non esiste nel nostro ordinamento alcuna norma che preveda e disciplini “l’inclusione” e il “riconoscimento” delle popolazioni Rom nel concetto di “minoranza etnico-linguistica” (Ministero degli Interni, cit.).
Si potrebbe pensare che l’intervento della Commissaria Europea alla Giustizia, Viviane Reding, sia stato fuori luogo. L’Europa, qualcuno avrà certamente detto e scritto, non può impicciarsi negli affari interni di una nazione. Sbagliato: l’Unione Europea esiste proprio per assolvere a questa funzione; è di fatto un limite allo Stato Nazione, che non ammette disomogeneità al proprio interno. La Francia, come l’Italia, ha sottoscritto i trattati che istituiscono l’Unione Europea: ne ha quindi riconosciuto la fattispecie di organismo sovranazionale. In quanto tale, le sue istituzioni cercano di applicare e di far rispettare principi e norme contenuti nei trattati istitutivi. L’Europa riconosce e tutela le minoranze etniche linguistiche. Uniti nella diversità, questo il tanto discusso motto della UE. E ancora prima della Reding, dell’Unione Europea, le istituzioni europee sovranazionali, create dopo i genocidi della Seconda Guerra Mondiale,  si preoccuparono del caso dei popoli senza territorio:
[Il] Parlamento europeo nel 1994 nella “Risoluzione sulla situazione degli zingari nella comunità” (A3-0124/94), [...] riconosce “che il popolo Rom è una delle minoranze più importanti dell’Unione Europea”, per cui vanno tutelate “la lingua e gli altri aspetti della cultura zingara come parte integrante del patrimonio culturale europeo”; e quindi si “raccomanda ai governi degli Stati membri di completare la Convenzione europea dei diritti umani con protocollo aggiuntivo sulle minoranze, nel quale la definizione di minoranza possa comprendere gli zingari in forma esplicita, attraverso un riferimento alle minoranze che non abbiano un territorio proprio” (Ministero degli Interni, cit.).
Il popolo Rom ha una sua cultura, una lingua, una tradizione. E’ un popolo che nella sua diaspora secolare ha perso la propria religione, adattandosi via via a quella cristiano-orotodossa o a quella cristiano-cattolica, ma ha mantenuto un senso di religiosità. Invece lo raccontiamo come un gruppo di abusivi da sgomberare poiché minaccia la nostra sicurezza. Il problema Rom è in primis un problema di narrazione.

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