sabato 18 settembre 2010

La legalizzazione della droga

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 vaso
 "Va a laurà, drugà" (vai a lavorare, drogato). Questa è una delle tante frasi fatte che ogni tanto saltano fuori a Milano, come un tormentone, quando ci si vuole riferire a chi non produce reddito ma si limita ad esistere parassitariamente, spesso risolvendo la propria inadeguatezza con l'ingestione di una pillola che lo estrania da se stesso e dal mondo.
 Peccato che i drugà spesso lavorano. Anzi: a volte si drogano proprio per sopportare la vacuità di un'esistenza fondata quasi esclusivamente sul lavoro, e in questo Milano è imbattibile. Le statistiche sugli utilizzatori di cocaina sono impietose, e il ritratto che dipingono è uno spaccato che fotografa proprio i "gran lavoratori", dato che i poveracci, visti i prezzi, non hanno neanche l’opportunità di drogarsi.

Come al solito è questione di mettersi d'accordo. Quand'è che una sostanza che produce alterazioni della percezione smette di essere un elemento di convivialità e diventa un pericoloso nemico da combattere? Il vino è una droga? Secondo l’acezione comune, no. E se mi scolo un litro e mezzo di Chianti, sono sufficientemente "alterato" da potermela giocare alla pari con uno che si è sparato una tavoletta di Lsd? In entrambi i casi, qualcuno deve impedirmi di mettermi al volante, ma chi può arrogarsi il diritto di decidere se io possa o meno assentarmi da me stesso, di tanto in tanto, da solo o in compagnia, in un campo di grano o comodamente disteso sul mio letto?
 Il principio di coesistenza civile che tiene insieme una società si basa sul controllo che ogni individuo esercita su se stesso. Per questo ogni attività umana, ancorché piacevole, che metta a dura prova questo autocontrollo, è stata nel corso dei millenni sempre demonizzata.
È il caso del 
sesso. Castigare l'uomo e la donna creando una barriera artificiale tra funzionalità organiche buone e funzionalità organiche cattive è l'invenzione più crudele e più innaturale che la storia della perversione abbia prodotto nel tentativo, ahimè largamente riuscito, di acquisire il dominio sull'individuo, facendo leva su unsenso di colpa inestinguibile, creato dal nulla, come inestinguibile è il debito pubblico. Quale ricchezza infatti dà più garanzie di quella che proviene da una fonte inesauribile? E quale risorsa è più abbondante e rinnovabile di un desiderio scolpito nelle pieghe di un istinto forgiato nella notte dei tempi, necessario alla vita stessa per continuare ad esistere? Come siano poi riusciti a trasformare il principio stesso della vita, senza il quale nulla potrebbe mai essere, in una macchia indelebile che genera un debito psicologico costante, è un mistero di proporzioni colossali. Ci siamo fatti castrare, abbiamo accettato l'idea aberrante di provare vergogna per il nostro corpo, ovvero per noi stessi, forse in conseguenza di una scissione arbitraria, un'invenzione letteraria come la Padania di Bossi che ci ha diviso a metà, creando due opposti antagonisti, anima e corpo, laddove l'unica evidenza è che non siamo costituiti da altro se non da un'inseparabile interezza, tanto più nobile in quanto mirabile connubio di radicamento sensoriale e aspirazioni trascendenti.
 L'ostilità alla droga discende dalla stessa istanza di controllo sociale. L'alterazione della percezione e l'estraniamento sensoriale non hanno certo la stessa valenza biologica fondante della sessualità, ma è innegabile che un'inclinazione naturale all'evasione dalla prigione della coscienza esista ed abbia radici profonde. Ifunghetti allucinogeni hanno patrocinato i vaticini e i riti collettivi di interminabili generazioni di nostri antenati; le foglie di coca hanno alleviato la fatica e l'oppressione di decine di migliaia di schiavi nel corso del duro lavoro nei campi; l'oppio e l'assenzio hanno ispirato la produzione letteraria dei poeti più creativi, fertili e maledetti che la letteratura abbia mai conosciuto, mentre la morfina e lamarijuana sono correntemente utilizzate per lenire le sofferenze dei pazienti affetti da malattie incurabili oppure croniche.
 E poi ci sono le dipendenze create dal tabagismo, dall'alcolismo, ma anche quelle che derivano da una sfrenata attività sessuale, sportiva, lavorativa, da un’esasperazione competitiva che cerca di sostituirsi all’accettazione della propria finitezza, perfino dall'alienazione televisiva o tecnologica. I modi per sfuggire ad un’esistenza che è tensione più che sollievo, aspirazione frustrata più che appagamento, desiderio più che piacere, attesa più che arrivo sono tanti quanti ildolore esistenziale che cerca disperatamente sollievo è in grado di immaginare.
 Inoltre si pone una questione filosofica. Perché l’eccesso andrebbe moderato a tutti i costi, anche laddove incidesse esclusivamente sul singolo individuo? Perché non dovremmo essere proprietari assoluti, monarchi con diritto di vita e di morte, sovrani e dittatori di noi stessi? La droga, da un punto di vista medico, è dannosa per il nostro organismo, ma il controllo sociale esercitato da uno stato laico può spingersi fino alla determinazione del mio rapporto con me stesso? Se si impedisce a un cittadino di assumere sostanze stupefacenti nella sua dimensione intima e privata, perché allora non si dovrebbe imporgli di lavarsi i denti, di andare di corpo una volta al giorno, di non uscire a petto nudo sul balcone d’inverno o di cambiarsi la maglietta della salute quando è impregnata di sudore? Oppure, perché non imporre per legge l’uso del preservativo, dato che la probabilità di contrarre una malattia mortale non è certamente trascurabile? L’io e il me stesso non sono forse coincidenti? Chi ha creato una falsa contrapposizione, scorporando una medesima entità, una stessa identità di corpo e di pensiero nelle due categorie artificiali di soggetto e oggetto? E se il mio pensare non è separato dal mio esistere terreno, come infatti non è - dato che non esiste pensiero senza vita né vita senza una qualche forma di pensiero - non è forse la coercizione del proprio corpo una coercizione della propria mente e viceversa? Deve essere chiaro che non si può imprigionare neppure la punta dell’unghia del nostro anulare senza fare un torto all’interezza della nostra individualità, sia essa immanente che trascendente.
 Il controllo superimposto di una insopprimibile declinazione della natura umana è destinato a fallire, come dimostra l’esercizio millenario della professione più antica del mondo e come dimostrano i dati sul consumo delle sostanzie stupefacenti. In Italia, l’80,3% dei cittadini tra i 14 e i 30 anni fa uso di cannabis. Il 18,9% solo raramente, il 51,4% abitualmente, e il 29,7% molto spesso (campione di oltre 17.000 studenti in tutto il territorio nazionale, 2001 - fonti ALA, CIRM, Adkronos).
 Nei Paesi Bassi, dove l’assunzione di molte sostanze è regolamentata, il numero di decessi collegati all'uso di droghe è il più basso in Europa, e il governo recupera oltre il 90% delle tossicodipendenze con efficienti programmi di disintossicazione. La tolleranza sull’uso delle droghe leggere non ha provocato un aumento della loro assunzione: Il 9,7% dei giovani olandesi ne fa uso almeno una volta al mese, contro il 9,9% tedesco, il 10,6% italiano, il 15,8% del Regno Unito e il 16,4%spagnolo. Anche sulle droghe pesanti i tulipani dimostrano di non temere confronti: in Olanda ci sono 2,5 tossicodipendenti ogni mille abitanti, contro i 3 del Belgio, i 3,9 francesi, i 4,9 spagnoli e i 6,4 italiani.
 Sulla base di questi risultati, etica forum ha lanciato una petizione che si prefigge di raggiungere gli obiettivi seguenti:
  1. Avere un controllo, nonché una regolamentazione di un fenomeno già esistente.
  2. Sottrarre alla malavita organizzata il dominio pressoché assoluto sul lucroso mercato della vendita degli stupefacenti.
  3. Diminuire il consumo stesso di dette sostanze.
  4. Consentire alla ricerca di proseguire gli studi spesso interrotti dal proibizionismo con la finalità di ricavare un importante aiuto alla medicina.
  5. Contribuire all'incremento del PIL interno italiano.
 Per chi vuole saperne di più ed eventualmente intendesse sottoscrivere la mozione, basta cliccare qui.
 Intanto vi chiedo, come è ormai consuetudine, di esprimere la vostra opinione, meramente sul piano etico o filosofico, circa il diritto individuale al consumo di droghe leggere o pesanti.

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