Della disattivazione del mio account ne hanno parlato diversi siti e blog ma soprattutto ne ho discusso a colpi di email con il team di Facebook. Sapevo di non aver infranto le regole del social network, per tanto pretendevo una spiegazione per l’esclusione. Per una serie di coincidenze ero convinto (e in parte lo sono ancora) che questa censura fosse collegata al mio coinvolgimento in discussioni e articoli riguardanti il tema cannabis e antiproibizionismo, di cui mi occupo da anni per lavoro. Ma, dal momento che le disattivazioni degli account hanno origine dalle segnalazioni di altri utenti, non escludo che qualche persona a cui sto poco simpatico (e ce ne sono parecchie, si sa) abbia ben pensato di segnalare alcune mie azioni come diffamatorie, anche se non lo erano.Coincidenza vuole che proprio una di queste persone, di cui avevo parlato in un mio articolo recente, poche ore dopo la disattivazione del mio account non abbia resistito aggiornando il suo così: “Chi diffama poi ne paga le conseguenze“.
Il limite tra diffamare e rendere pubbliche o condividere determinate informazioni, dovrebbe essere ben delineato, ma probabilmente per alcuni non lo è (specie per quelli tirati in causa) e il team di Facebook, con l’enorme numero di utenti che si ritrova, è possibile che non riesca ad approfondire sufficientemente queste segnalazioni “disabilitando un account per sbaglio“. Fa strano che si sia passati da “Il tuo account è stato disabilitato in modo permanente. Ti informiamo che non lo riattiveremo per nessun motivo. Questa decisione è insindacabile.” a ”In seguito a un’analisi più approfondita, sembra che il tuo account sia stato disabilitato per sbaglio. Ci scusiamo sinceramente per l’inconveniente che hai riscontrato. Il tuo account è stato riattivato e ora puoi accedervi normalmente.”
Certo, ho fatto tutte le pressioni che potevo fare, ho divulgato la notizia della censura, ho minacciato di azioni legali, ma non è possibile che effettuare “un’analisi più approfondita” richieda tutto questo.
Certo, ho fatto tutte le pressioni che potevo fare, ho divulgato la notizia della censura, ho minacciato di azioni legali, ma non è possibile che effettuare “un’analisi più approfondita” richieda tutto questo.
Al mio account sono collegate pagine di lavoro, di portali che collaborano con amministrazioni comunali, di riviste registrate in tribunale, di gruppi che coinvolgono migliaia di persone, quindil’attenzione di chi amministra uno strumento così potente come Facebook, dovrebbe essere maggiore. Ma attenzione, anche se fosse un account di un semplice utente qualsiasi, bisognerebbe fare le giuste verifiche prima di disattivarlo: è sempre una questione di diritti degli utenti e di libertà di comunicazione. Motivo per cui, nonostante la riattivazione del mio account, continuerò a battermi per questa causa.
Nell’articolo di alcuni giorni fa in cui denunciavo la censura subita, concludevo ironicamente dicendo che avrei preso la cancellazione del mio account con filosofia, come se fosse una piccola nota di merito nella mia carriera giornalistica da raccontare ai nipotini: “…quella volta, sono stato censurato da Facebook”.
A questo punto, con piacere, potrò aggiungere “Ma poi si sono scusati e mi hanno ridato il mio account!” =)
A questo punto, con piacere, potrò aggiungere “Ma poi si sono scusati e mi hanno ridato il mio account!” =)
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