mercoledì 28 luglio 2010

L'Aquila Day, una giornata per L'Aquila. Per il diritto alla verità e per tornare a volare

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Abbiamo sofferto con loro, abbiamo pianto di fronte a quelle piccole bare bianche distanti centinaia di chilometri dai nostri punti di vista, abbiamo sentito la terra tremare sotto i nostri piedi come fossimo stati lì in quei giorni, in quelle ore, in quegli istanti impossibili da dimenticare.
Le immagini delle tv riprendevano solo polvere, detriti, mattoni, pietre e quelle residue tracce di una civiltà sepolta sotto le macerie. E di fronte a quelle immagini devastanti gli occhi di un intero paese si facevano istantaneamente lucidi.
Abbiamo imparato a condividere i lutti di chi è stato costretto a fare i conti con la peggiore perdita: quella di un figlio, di un genitore, di un marito o di una moglie.

Lo sconcerto ed il dolore di un'intera nazione dimostravano quanto fosse impossibile per un'intera popolazione di decine di milioni di persone essere preparati ad una tragedia simile. Figurarsi per una popolazione di alcune decine di migliaia di abitanti racchiusa in una valle nel cuore dell'Abruzzo, quella terra mai avara di gioie e dolori.

Il dramma collettivo di quelle ore si è sposato con una intensissima campagna di copertura giornalistica dell'evento; la scomparsa inaccettabile e prematura di 308 civili non poteva produrre nulla di diverso. All'interesse spasmodico della stampa nazionale si è accompagnata, come spesso accade in questi casi, la sua stessa degenerazione: lo sciacallaggio giornalistico, la tv del dolore, l'apologia dello share della sofferenza. Un pesantissimo prezzo da pagare per poter mantenere viva l'attenzione sulla lenta agonia di una terra desiderosa di rinascere come prima.

Poi l'inesorabile passare del tempo. E con esso, il disinteresse e, in alcuni casi, l'intolleranza verso quelle popolazioni un tempo generatrici di indici d'ascolto entusiasmanti. Appena un anno fa la popolazione dell'Aquila viveva quotidianamente sotto i riflettori, rincuorata giornalmente dalle passerelle di tante autorità prodighe di promesse e desiderose di visibilità. Oggi la popolazione dell'Aquila vive di nuovo sola, sistematasi da sé in alloggi di fortuna. E l'unico segno di attenzione restano il dolore e le cicatrici lasciate sulla testa degli sfollati da un manganello vibrato con forza da un agente di polizia o un soldato dell'Arma o delle Fiamme Gialle in assetto anti-sommossa lungo le vie della capitale.

A Roma si è visto ciò che una nazione civile non dovrebbe mai poter neppure pensare: un popolo di terremotati, coccolati oltre ogni buon senso mesi addietro, abbandonati al proprio destino da parte di autorità politiche e militari pronte ad accoglierle con una ben determinata violenza. E non stiamo parlando solo di quella fisica.



Nella capitale abbiamo assistito a sindaci, deputati ed agenti di polizia aquilani maltrattati, spintonati e colpiti da un cordone di soldati pronti ad eseguire ordini insopportabili. Poliziotti contro poliziotti, politici contro politici, cittadini contro cittadini.
Cittadini colpevoli di aver gridato senza la dovuta ossequiosità che a L'Aquila ancoradecine di migliaia di persone vivono senza un tetto sulla propria testa, che quel "tutti i cittadini hanno avuto una casa in cui abitare" va tradotto come "18 mila cittadini", che a differenza dei terremotati umbri i cittadini aquilani tornano a pagare i tributi allo stato con 8 anni d'anticipo, che "costruzione" non significa "ricostruzione", che il costo degli appalti delle "CASE" di Berlusconi e Bertolaso è risultato essere ben superiore al valore commerciale degli stessi, che il "comodato d'uso" è ben differente dal concetto di "regalo" e che la città dell'Aquila allo stato attuale è perfettamente identica alla città che tutti gli italiani hanno osservato in lacrime oltre un anno fa.

La ricostruzione è ferma, le attività stentano a ripartire, molte altre falliscono con il passare del tempo, la disoccupazione è dilagante, centinaia di famiglie restano assiepate negli alberghi della costa abruzzese, gli stessi alberghi sono costretti a sfrattare i corregionali sfrattati perché oramai privi di rimborsi da parte delle autorità commissariali (portando diversi sfollati a divenire ulteriormente "senza tetto") e la voglia di rinascere, il desiderio di far tornare L'Aquila a volare come un tempo, si scontra bruscamente contro l'assenza di fondi e l'insostenibile lentezza della macchina operativa.

A tutto questo si accompagna il silenzio di chi è chiamato ad offrire soluzioni consistenti seppure impegnative, la concessione di diritti richiesti dalla popolazione a lungo e con ogni mezzo possibile come fosse la magnanima elargizione di un favore non dovuto, il bieco stravolgimento della realtà da parte di una fetta d'informazione pronta ad eseguire i compiti richiesti: l'etichettatura "antagonisti" e "no global" ai manifestanti in quel di Roma, la surreale attribuzione della responsabilità degli scontri agli stessi ("i manifestanti hanno aggredito le forze dell'ordine"), la celebrazione di un miracolo a L'Aquila che non c'è e non c'è mai stato, la capacità di trasformare i doveri fondamentali di un governo (l'attenzione ai problemi di una terra colpita da una grave calamità) in una straordinaria opera di carità da parte di chi non era tenuto ad occuparsi di nulla.

La manifestazione del 7 luglio, e le violenze subite dai manifestanti, hanno riaperto i battenti di un portone che sembrava quasi blindato. La popolazione dell'Aquila ha dichiarato di non essere pronta ad accettare a capo chino ogni decisione, ma che è pronta a lottare fin quando sarà necessario per ottenere ciò che è da ritenersi a tutti gli effetti "un diritto" e non "un privilegio".

Il 31 luglio L'Aquila, e con essa il resto d'Italia, celebrerà il cosiddetto "L'Aquila Day", una giornata finalizzata a riportare l'attenzione sulle due tragedie dimenticate, quella del sisma e quella del post-sisma. A L'Aquila si terrà una manifestazione nazionale alle ore 15 a Piazza D'Armi. Nel resto d'Italia a dimostrazione della solidarietà e dell'adesione all'evento è stata richiesta l'esposizione dei colori dell'Aquila, il nero ed il verde.

La quantità di colore che popolerà le vie, gli spazi in rete, i fogli di giornale e i pizel sugli schermi potrà essere determinante e segnare il confine tra una vicenda da cronaca locale ed una questione di rilevanza nazionale. Il futuro dell'Aquila oggi è anche nelle mani dei cittadini non terremotati.


FONTE: http://alessandrotauro.blogspot.com/

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