L’ABROGAZIONE DEL DIVIETO DI COLTIVAZIONE – Uno degli effetti poco pubblicizzati, o nient’affatto pubblicizzati, del pronunciamento della Consulta sulla legge Fini-Giovanardi è stato, infatti, proprio quello dell’abrogazione del divieto di coltivazione. Rimuovendo le modifiche apportate con le norme dichiarate illegittime agli articoli 73, 13 e 14 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico in materia di stupefacenti), ovvero quelli concernenti le tabelle delle sostanze stupefacenti e psicotrope, la sentenza della Corte costituzionale ha inciso anche sull’abrogazione degli altri articoli che a queste tabelle facevano riferimento, e quindi anche sull’articolo 26 sul divieto di coltivazione. La deroga a un tale divieto era ammessa solo riguardo alle eccezioni costituite da coltivazioni avviate per scopi “scientifici, sperimentali o didattici”. Dunque nemmeno gli scopi terapeutici erano contemplati tra le eccezioni e l’iniziativa abruzzese avrebbe potuto essere passibile di ricorso. Avrebbe potuto sì, ma non nel vuoto aperto sentenza della Corte costituzionale. L’abrogazione di questo articolo ha aperto degli scenari inimmaginabili in Italia fino a poco fa.
IL DECRETO DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – Dell’ampiezza di questi orizzonti si è accorto il Governo, che attraverso un decreto emanato dal Consiglio dei Ministri e pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 20 marzo ha cercato di colmare tale vuoto e reintegrare alcuni aspetti della legge Fini-Giovanardi. Tale decreto ha formalmente abbandonato l’equiparazione tra droghe pesanti e cannabis, proponendone la collocazione in due tabelle distinte (le droghe pesanti nella tabella I e la cannabis in una tabella a sé stante, la tabella II), di fatto però continua ad accomunarle per quanto concerne i divieti. Il provvedimento, infatti ha ripristinato l’articolo 26sul divieto di coltivazione con riferimento sia alle sostanze contenute sia nella tabella I, che alla cannabis, senza alcuna eccezione per gli scopi terapeutici, e dunque riportando la situazione esattamente a quella che era prima del pronunciamento della Consulta.
L’APPELLO – Ora il decreto ministeriale passerà alle Camere per la conversione in legge entro 60 giorni. L’esortazione che ci sentiamo di fare al Parlamento è quella di non ratificare questo testo e di opporsi al ripristino del divieto di coltivazione per la cannabis per uscire dalla contraddizione che vede da una parte una legge che consente l’uso del thc in terapia dal 2007, dall’altra un divieto a coltivare anche per scopi terapeutici. È questo il momento di fare un atto di responsabilità per permettere ai tanti malati che oggi si riforniscono al mercato nero di avere accesso in modo legale a questa terapia. Il modo più economico, più rapido e anche più ragionevole per farlo è quello di avviare delle coltivazioni in Italia, mantenendo un doppio binario: quello di coltivazioni controllate dal Governo, come chiede già il disegno di legge depositato dal senatore Luigi Manconi, che prevede l’avvio della produzione presso lo Stabilimento farmaceutico militare di Firenze; e quello dell’auto-coltivazione da parte dei pazienti, come chiedono di poter fare associazioni come Lapiantiamo. In questi giorni di rielaborazione delle tabelle tutto questo diventa immediatamente realizzabile e non c’è più tempo da perdere.
Filomena Gallo, segretaria associazione Luca Coscioni
Marco Cappato, tesoriere associazione Luca Coscioni
Antonella Soldo, responsabile cannabis terapeutica associazione Luca Coscioni
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