domenica 29 dicembre 2013

Droghe leggere: Giovanardi, Rabelais e la canapa Pantagruelion

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Ognuno a Natale aspetta il regalo che gli pare, o che più gli piace.
A me piacerebbe che qua in YtaglYa ci facessimo tutti un regalo che penso ci meritiamo. L’abbiamo anche dimostrato in un referendum qualche anno fa, referendum ovviamente disatteso da successiva legge, neanche a dirlo…
Sarebbe un regalo che renderebbe il Natale di tantissimi giovani e meno giovani, e delle loro famiglie, più umano, sensato, civile. Un regalo che, per una volta, ci permetterebbe di dare al mondo un segno di buon senso, anzi di ‘senso comune’, per dirla con Gramsci.
Parlo di cittadini e cittadine sostanzialmente onesti, che – nella maggior parte dei casi – non hanno fatto altro che tentare di non soggiacere a una legge delirante, integralista, inutile, dannosa, liberticida. Eppure sono una parte enorme della nostra popolazione penitenziaria e hanno anni da scontare in galera, con assassini, mafiosi, stupratori, bancarottieri, truffatori, barattieri.
Sarebbe un regalo che renderebbe felici anche tanti malati, uomini e donne affetti da patologie gravi e che potrebbero trarre da questo regalo un immenso giovamento: malati di tumore, di AIDS, di SLA.
Sarebbe un regalo che renderebbe felice l’intelligenza di ciascuno di noi, per una volta tanto soddisfatta dalla politica, rispettata, utilizzata in tutte le sue potenzialità, perché cosa c’è di sensato e di intelligente nel proibire a qualcuno di tenere comportamenti sostanzialmente innocui per se stesso e per la società, mentre lo si lascia completamente libero di tenerne altri, letali e dannosissimi per sé e per chi gli sta attorno?
Non solo: sarebbe un regalo che renderebbe triste e rabbioso il Natale di tanti mafiosi, camorristi e loro pari, perché li farebbe molto più poveri e dunque più vulnerabili, molto più vulnerabili.

Di cosa sto parlando? Sto parlando dell’erba Pantagruelion, come l’aveva soprannominata l’eccelso F.Rabelais nel Cinquantunesimo capitolo del Terzo Libro del suo Gargantua e Pantagruele, un’erba dotata di infinite virtù: “tant de vertus, tant d’energie, tant de perfections, tant d’effectz admirables“.
Sto parlando della canapa, insomma. Cioè della pianta cui è stata riservata, e qui in YtaglYa spesso più che altrove, la più dura campagna diffamatoria e di repressione del Novecento.
Eppure la canapa, lungi dall’essere prodotto esotico, è parte integrante della nostra storia nazionale ed europea, ben più del tabacco.
Abbiamo fatto corde, abiti, saponi, medicinali per millenni utilizzando la canapa, l’abbiamo coltivata, studiata, utilizzata per secoli, senza danno alcuno. Il primo modello Ford, la mitica Ford T era fatta anche di canapa. Ed è infinitamente meno dannosa del tabacco, meno dannosa dell’alcol, meno dannosa dello zucchero raffinato e l’elenco potrebbe continuare.

T. Szazs ci ha insegnato quanto le leggi che regolano l’utilizzo delle sostanze psicoattive (e l’alcol e il tabacco, ma anche il caffè, il tè, cioccolato sono sostanze psicoattive) siano ‘storiche’, cioè risultato di ideologie, credenze, sistemi di valori che non hanno nulla di obiettivo, né di eterno. Avere del caffè poteva costare la vita nella Spagna di Carlo V e molti lettori si stupiranno di scoprire che erano a tutti gli effetti deitossicodipendenti da oppiacei personaggi come Bismark, Guy De Maupassant, Wagner, Jules Verne, anche se non lo sapevano, visto che il consumo di morfina non solo era permesso, ma era divenuto persino una moda.
Altri tempi, si dirà. Certo, ma a voler stare al nostro presente e a voler tenere d’occhio i dati, dovremmo strapparci i capelli e ricorrere a misure draconiane più per le vigne che per i canapai: di alcol si muore, e tantissimo, direttamente e indirettamente, di canapa no. Chissà come la prenderebbero i vignaioli italiani se l’Onorevole Giovanardi, per salvare il paese dalla piaga dell’etilismo, proponesse di espiantare tutte le vigne.
Come ci suggerisce Szazs, e come conferma Girard, ogni società ha, però, bisogno del proprio capro espiatorio e così, per nascondere il fallimento del proibizionismo americano contro l’alcol, ci si inventò quello contro la canapa. Made in Usa anche quello. Ma incarcerare persone perché utilizzano canapa, per qualsiasi scopo, non ha maggiore fondamento etico, storico, medico, o razionale che bruciare sul rogo una donna, affermando che è una strega.
Sono tante piccole streghe e stregoni i nostri giovani in carcere per gli effetti della legge Fini-Giovanardi, streghe e stregoni torturati solo perché uno sciocco proibizionismo continui a permettere alle mafie internazionali di guadagnare miliardi, di inquinare la nostra vita e le nostre istituzioni al riparo da sguardi indiscreti.
Che immenso affare che è stata per le mafie la legge Fini-Giovanardi. Ma ormai – come sempre accade con ogni proibizionismo – persino l’Onu ha dovuto ammettere il fallimento delle politiche proibizioniste.
Proibire non serve a null’altro che a impegnare uomini e risorse per reprimere la voglia o il vizio dei nostri figli di fumarsi uno spinello, e per rovinare la loro vita, senza che essi abbiano apportato alcun danno alla società, né a se stessi. Tutte risorse che sarebbe meglio utilizzare per più nobili scopi, lasciando alle famiglie il compito di discutere con i propri figli la sensatezza o meno dei loro stili di vita. Gli Stati moderni – se non sono totalitari – di norma non legiferano sugli stili di vita dei propri cittadini, se essi non costituiscono un danno per altri.
Dunque facciamocelo questo regalo, è il momento giusto, legalizziamo la canapa: una semplice amnistia, che non rimuova le ragioni per le quali le nostre carceri sono sempre più piene e sempre più piene di cittadini condannati solo per il loro ‘stile di vita’, sarebbe un rimedio parziale.
Ciò che occorre è smettere di riempire le galere di fumatori di spinelli, o di tossicodipendenti e restituire i primi alle loro famiglie, gli altri a un programma che gli permetta di salvarsi la vita, se vogliono.
Punire qualcuno perché si diverte, o perché ha scelto di morire, è qualcosa il cui senso continua a sfuggirmi.
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