“Io ci credevo”, potrebbe ben dire il regista Mario Martone, rivendicando una delle sue intuizioni migliori: l’aver lanciato sul grande schermo Toni Servillo, allora attore di formazione esclusivamente teatrale. Le luci dei riflettori non si erano ancora posate sull’artista campano, ma Martone ne aveva saggiato il talento nel corso di progetti sviluppati di comune accordo nel mondo del teatro. La scelta di scritturarlo per il cast di Morte di un matematico napoletano non appariva perciò azzardata. Correva l’anno 1992 quando il lungometraggio, gratificato al festival di Venezia dal premio speciale della giuria, arrivò nelle sale. A far di conto, si scopre facilmente che, dai tempi del debutto di Servillo, sono trascorsi 18 anni, un arco temporale dopo il quale si è soliti sostenere le prove di maturità, chiaramente cinematografica in questo caso. E adesso che è in sala l’ultima fatica diretta da Martone, Noi credevamo, in cui Servillo veste i panni di Giuseppe Mazzini, si può affermare senza timore di smentite che l’interprete ha superato i suoi esami a pieni voti, meritando più di una lode.
Il palcoscenico prima di tutto
A quarant’anni può iniziare una nuova vita. Non è uno slogan coniato da qualche azienda che cerca di collocare i suoi prodotti nel segmento di mercato dei cosiddetti ‘nuovi giovani’, ma si tratta piuttosto di una riflessione sulla carriera di Toni Servillo. L’artista, nato ad Afragola, in provincia di Napoli, nel 1959, e fratello di Peppe, cantante della Piccola Orchestra Avion Travel, fin dalla giovinezza dà libero sfogo alla sua passione teatrale. Studia recitazione, perlopiù da autodidatta, partecipando ai primi spettacoli già nel corso delle scuole superiori. Poi, nel pieno degli anni Settanta, passa a organizzare insieme ad altri colleghi un centro di sperimentazione ribattezzato “Teatro Studio”. Servillo non resta insensibile alle idee libertarie e alle istanze di protesa che quell’epoca di grandi cambiamenti porta in dote. La sua arte, almeno in una prima fase, si indirizza verso opere ‘di ricerca’. Fino ai primi anni Ottanta, a Caserta, realizza diversi spettacoli proprio grazie alla sua creatura, il Teatro Studio. Poco più tardi, nel 1986, si avvicina al gruppo “Falso movimento”, ed è lì che nasce il sodalizio con Mario Martone che lo condurrà, nel 1992, all’esordio sul grande schermo. L’approdo sulla scena cinematografica è ancora lontano e il palcoscenico resta la sola passione di Servillo, tanto che con Martone costituisce la compagnia “Teatri Uniti”. Dopo aver tanto seminato, inizia il periodo della raccolta sul fronte teatrale. L’attore e regista originario di Afragola convince pubblico e critica, ricevendo numerosi premi. Le sue rappresentazioni si rivelano di tenore sempre diverso. Servillo segue il percorso sperimentale e, al contempo, non disdegna le grandi opere del repertorio tradizionale partenopeo, attingendo al repertorio di un mostro sacro come Eduardo De Filippo, e si misura anche con la lirica.
Un attore, due registi
Come anticipato, la collaborazione teatrale con Mario Martone spinge Toni Servillo a provare, nel 1992, il salto sul grande schermo. La prima pellicola, Morte di un matematico napoletano, viene subito apprezzata, come dimostra il prestigioso premio della giuria ricevuto alla Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Seguono quindi altri tre film sotto la direzione di Martone: Rasoi (1993), I vesuviani (1997), Teatro di guerra (1998). Nel 2001 recita in Luna rossa, di Antonio Capuano, ma quello stesso anno diviene uno spartiacque nel percorso di interprete cinematografico di Servillo per l’incontro con Paolo Sorrentino. Il regista lo coopta nella sua opera prima, L’uomo in più, poi in quella successiva, Le conseguenze dell’amore (2004), grazie al quale anche il pubblico cinematografico scopre definitivamente il talento dell’interprete campano. Il film, in concorso a Cannes, gli vale il David di Donatello e il Nastro d’argento come miglior attore protagonista. Nel triennio successivo Servillo recita in Notte senza fine, di Elisabetta Sgarbi, Lascia perdere Johnny!, diretto da Fabrizio Bentivoglio, e La ragazza del lago, di Andrea Molaioli. Pure in quest’ultimo lungometraggio Servillo fa incetta di premi, al David e al Nastro d’argento si aggiunge il premio Pasinetti ottenuto a Venezia e la nomination agli European Film Awards.
Re Mida
Se esiste un’età dell’oro nella vita di una persona, per Toni Servillo è iniziata nel 2008. Da allora l’attore sembra essersi trasformato in un novello re Mida, che trasforma nel materiale più prezioso qualsiasi prodotto venga a contatto con lui. Nello stesso anno Servillo partecipa da protagonista a quelli che possono considerarsi i migliori film italiani dai tempi de La vita è bella (1997), di Roberto Benigni. O quantomeno ai due lungometraggi che hanno goduto di maggiore eco internazionale. Paolo Sorrentino lo richiama per assegnarli un ruolo improbo, quello di dare anima e corpo a Giulio Andreotti, il ben noto politico al centro della storia d’Italia, nel bene come nel male, da tempo immemore. Matteo Garrone lo coinvolge in Gomorra, tratto dal best-seller di fama mondiale di Roberto Saviano. Gli esiti sono trionfali. Il divo ottiene il prestigioso premio della giuria a Cannes e la candidatura all’Oscar per il trucco. Nonostante l’Academy non abbia inteso concedere l’onore della tanto agognata statuetta all’opera, Servillo può consolarsi con il terzo David e il terzo Nastro d’argento della sua carriera, a cui si aggiunge il titolo di miglior attore protagonista agli European Film Award, peraltro tributatogli pure per Gomorra. L’opera di Garrone, a sua volta, sulla Croisette si aggiudica l’altrettanto autorevole Grand Prix della giuria. La scia di medaglie non si esaurisce qui poiché nel 2009 è il festival di Locarno a concedergli il riconoscimento alla carriera. Il ritorno sul set, dopo tali successi, avviene in punta di piedi. Tra il 2008 e il 2009 prende parte ad alcuni progetti come narratore. Il resto è storia delle ultime settimane. A ottobre interpreta magistralmente una figura complessa in Gorbaciof, di Stefano Incerti, apprezzato fuori concorso a Venezia. Dallo scorso week-end invece è in sala con Una vita tranquilla, di Claudio Cupellini, in cui offre un’altra prova da incorniciare. Il premio alla migliore interpretazione maschile nell’ultimo festival di Roma è stato la giusta celebrazione alla sua incredibile capacità di rendere la doppia personalità di un personaggio che ha abbandonato la sua vecchia vita di camorrista per costruirsi un nuovo futuro in Germania. Per il futuro è al lavoro per il secondo film di Andrea Molaioli, Il gioiellino, atteso per il 2011. La mancata convocazione nel cast internazionale della prossima fatica di Paolo Sorrentino, This must be place, in fase di post produzione e con Sean Penn in vetrina, non deve averlo turbato troppo. Toni Servillo è Il divo, ma soltanto per ragioni di set.
fonte : http://www.film-review.it/
Giuseppe Costabile
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