Il Pd chiede le dimissioni di Berlusconi perché ha mentito alla polizia sull’identità di Ruby. Dimenticando che una sentenza definitiva ha accertato da vent’anni che il Cavaliere è un falso testimone.
“Un fatto di gravità inaudita”, “uno sfregio insopportabile alla più elementare grammatica istituzionale”. Il Pd ha commentato così la bugia di Berlusconi alla questura di Milano la sera del 27 maggio 2010 quando, raccontando che la giovane Ruby è “la nipote del presidente egiziano Mubarak”, il premier ha fatto in modo che la polizia affidasse la ragazza alla bella consigliera municipale Nicole Minetti (che peraltro l’abbandonerà subito dopo), anziché a una comunità come prevedeva l’ordine del giudice. Appresa la notizia, persino Bossi ha preso le distanze da Berlusconi (“un uomo del Governo non può farlo, è a dir poco inopportuno”), mentre il Pd, incredulo, ne ha chiesto addirittura le dimissioni. Un primo ministro non può mentire, tanto meno a un altro pubblico ufficiale. Sembra questa la nuova linea del Pd, a sentire i toni indignati di questi ultimi giorni. Nuova perché la menzogna, anche davanti l’autorità, non è un inedito del Cavaliere, riconosciuto colpevole, già nel 1990, del reato di falsa testimonianza. Oggi, però, nessuno sembra più ricordarlo.
La storia inizia il 26 marzo 1987, quando il settimanale Epoca pubblica un’intervista a Giovanni Ruggeri e Mario Guarino, autori di Inchiesta sul signor tv, il primo libro che, già sul finire degli anni Ottanta, raccontava il passato grigio di Berlusconi: la vicinanza alla mafia e al boss Vittorio Mangano, le indagini per droga (poi archiviate), i rapporti, fin da allora, con il faccendiere Flavio Carboni, i debiti di Fininvest e la partecipazione alla loggia massonica P2 di Licio Gelli. Berlusconi va su tutte le furie e querela i due giornalisti. Si apre così un processo per diffamazione contro i due (che saranno assolti da ogni accusa) in cui Berlusconi è parte lesa. All’udienza del 27 settembre 1988, interrogato come testimone, Berlusconi risponde alle domande della difesa: “Sono stato presentato a Gelli da Roberto Gervasio (Roberto Gervaso, ndr), allora ero imprenditore edile. Non ricordo la data esatta della mia iscrizione alla P2, ricordo comunque che è di poco anteriore allo scandalo. La mia iscrizione era legata all’attività del consorzio per l’edilizia industrializzata di cui ero presidente. (…) Io peraltro successivamente a tale iscrizione mi sono disinteressato di altri tipi di rapporto, non ho mai pagato una quota di iscrizione né mai è stata richiesta, la mia può definirsi una adesione”.
Ma lo scandalo della P2 esplose nella primavera del 1981, mentre l’iscrizione di Berlusconi risale a tre anni prima: il 26 gennaio 1978. Per quell’iscrizione, inoltre, il Cavaliere pagò una quota di centomila lire, come si legge nella ricevuta agli atti della Commissione parlamentare sulla P2 e come egli stesso ammise in un altro interrogatorio davanti al giudice istruttore di Milano. Così sul banco degli imputati finì Berlusconi. Accusato di falsa testimonianza, venne assolto in primo grado dal pretore di Verona, poi la procura ricorse in appello. Nella sentenza emessa il 1 ottobre 1990, la Corte d’appello di Venezia, dopo avere accertato che le parole di Berlusconi davanti ai giudici del Tribunale sono state “menzognere”, stabilisce che Berlusconi “ha dichiarato il falso su questioni pertinenti alla causa ed in relazione all’oggetto della prova” e quindi “ha compiutamente realizzato gli estremi obbiettivi e subbiettivi del delitto contestato”. Colpevole, dunque, ma non più processabile perché “il reato attribuito all’imputato va dichiarato estinto per intervenuta amnistia”. Berlusconi non presenta ricorso contro questa sentenza, che diventa definitiva nel 1991.
Il Pd, però, preferisce meravigliarsi di una bugia raccontata a un agente di polizia vent’anni dopo, fingendo d’ignorare che il capo del Governo è un falso testimone. Eppure basterebbe raccontare questa storia per demolire in due minuti la propaganda a reti unificate sulla giustizia a orologeria e sulle toghe rosse che si interessano a Berlusconi solo da quando si è messo in politica. Ma è chiaro che il Pd non può farlo: poi chi lo spiega agli elettori che sono stati truffati per quindici anni?
Il Pd, però, preferisce meravigliarsi di una bugia raccontata a un agente di polizia vent’anni dopo, fingendo d’ignorare che il capo del Governo è un falso testimone. Eppure basterebbe raccontare questa storia per demolire in due minuti la propaganda a reti unificate sulla giustizia a orologeria e sulle toghe rosse che si interessano a Berlusconi solo da quando si è messo in politica. Ma è chiaro che il Pd non può farlo: poi chi lo spiega agli elettori che sono stati truffati per quindici anni?
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