mercoledì 4 agosto 2010

A Pisa l’Hub della guerra

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L'aeroporto militare di Pisa diventerà l’Hub nazionale delle forze armate, ossia l’unica base aerea da cui transiteranno tutti i reparti inviati nelle diverse «missioni internazionali»: lo ha annunciato il portavoce della 46a Brigata aerea, maggiore Giorgio Mattia. I lavori inizieranno il prossimo maggio e, entro il 2013, l’Hub diventerà operativo. I lavori di ampliamento dello scalo prevedono una struttura ricettiva per circa 30mila uomini perfettamente equipaggiati, per un arco di tempo di almeno un mese. La struttura, ha precisato il portavoce, rispecchierà in tutto e per tutto i grandi hub civili con servizi di check in e check out, movimentazione bagagli e altri servizi di terra che potranno essere gestiti da ditte civili. Con la differenza che vi transiteranno non turisti con T-shirt e canne da pesca, ma militari con tute mimetiche e fucili mitragliatori.
Il progetto viene presentato come un investimento importante che, rilanciando il ruolo strategico della base pisana, potrà avere importanti ricadute economiche sul territorio. «L’aeroporto militare nuova ricchezza per Pisa», titola Il Tirreno (3 agosto), prevedendo che l’Hub, in grado di movimentare fino a 30mila militari al mese, creerà un notevole indotto la cui capacità, inclusi i familiari al seguito, viene stimata in 50-60mila persone. Questo in  una città che non raggiunge i 90mila residenti. Tale progetto, che stravolge la vocazione turistica del territorio puntando sul militare, viene imposto all’intera città senza che i suoi abitanti siano stati consultati. Sicuramente, invece, esso ha ricevuto l’entusiastico ok dell’amministrazione comunale, presieduta dal sindaco Marco Filippeschi (Pd).
E’ stato Filippeschi, lo scorso novembre, ad annunciare che la base Usa di Camp Darby, tra l’aeroporto di Pisa e il porto di Livorno, ha «importanti prospettive» e che «gli americani ritengono questo insediamento molto importante e vogliono continuare a investirci». Intanto vi investono la Regione Toscana e i comuni di Pisa e Livorno che, ampliando il Canale dei Navicelli, permettono alla base di velocizzare i collegamenti con il porto di Livorno e accrescere la sua capienza, così da rifornire più rapidamente  le forze terrestri e aeree nell’area mediterranea, africana e mediorientale. Nello stesso quadro si inserisce il progetto dell’Hub di Pisa: il fatto che esso sarà in grado di movimentare fino a 30mila militari al mese, il triplo di quanti l’Italia ha dislocati all’estero, indica che la struttura potrà essere usata anche dalle forze armate statunitensi.
Si tace però sul fatto che l’impatto ambientale dell’aeroporto è già oggi ai limiti della sostenibilità. La 46a Brigata, dotata di aerei C-130J della Lockheed Martin che trasportano in continuazione truppe e materiali in Afghanistan e altri teatri, effettua oltre 10mila movimenti annui di velivoli militari, ai quali si aggiungono quelli effettuati  per conto di Camp Darby, il cui numero è segreto. Nello stesso aeroporto, la cui gestione è militare, si svolgono oltre 40mila movimenti annui di velivoli civili. Sempre più spesso i C-130J e altri aerei sorvolano a bassa quota le zone abitate, incuranti dell’inquinamento che provocano e che le autorità di solito ignorano. Aumenta allo stesso tempo il pericolo di incidenti come quello verificatosi lo scorso novembre, quando un gigantesco C-130J, modificato in aereo cisterna per il rifornimento dei caccia in volo, è precipitato su una linea ferroviaria subito dopo il decollo, rischiando di provocare una strage. La realizzazione dell’Hub, una vera e propria città militare all’interno della città, che richiederà maggiore spazio e la probabile demolizione di edifici civili,  accrescerà enormemente tale impatto.
Siamo quindi di fronte al progetto di militarizzazione di un territorio, che supera ampiamente quello del raddoppio della base di Vicenza, da cui potranno trarre vantaggio alcuni settori economici locali, ma non l’economia né tantomeno la cittadinanza nel suo complesso. Una «grande opera» militare, il cui enorme costo fagociterà altro denaro pubblico, mentre anche a Pisa si tagliano i fondi per l’università, la sanità e altri settori.  Un altro investimento sulla «risorsa guerra», dietro il paravento delle «missioni umanitarie».

(il manifesto, 4 agosto 2010)



La Camera approva ancora la guerra in Afghanistan - Di E. Piovesana*
Approvazione bipartisan, con i soli voti contrari di Idv e astensione dei radicali, per il rifinanziamento della missione in Afghanistan, che nei prossimi sei mesi ci costerà più di 65 milioni di euro al mese (contro i 51 del primo semestre 2010)

La Camera ha approvato mercoledì mattina, con il solo voto contrario dell'Italia dei Valori e l'astensione dei Radicali, la conversione in legge del decreto governativo di rifinanziamento semestrale delle missioni militari italiane all'estero, tra cui la missione di guerra in Afghanistan. Il provvedimento passa ora all'esame del Senato.




Il decreto n. 102 del 6 luglio 2010 - come si legge sul sito internet della Camera - ''autorizza, per quanto riguarda la missione Isaf in Afghanistan, la presenza complessiva di oltre 3.900 militari, attuando la seconda fase della decisione annunciata nel Consiglio dei ministri del 3 dicembre 2009, che prevedeva l'aumento di 1.000 unità del contingente impegnato nella missione nel corso dell'anno 2010, con gradualità e con una maggiore incidenza nella seconda metà dell'anno''.



''Tale decisione - continua il bollettino web della Camera - si collega alla revisione della strategia in Afghanistan annunciata dal presidente degli Stati Uniti Obama il 1° dicembre scorso e alle conseguenti decisioni concordate in sede Nato''. Una candida ammissione di 'sovranità limitata': governo e parlamento italiano si conformano alle decisioni della Casa Bianca.

L'invio di mille soldati in più e di mezzi da combattimento più 'pesanti' (17 carri armati su ruota 'Freccia') produce un inevitabile aumento dei costi della missione: i prossimi sei mesi di guerra in Afghanistan (agosto-dicembre) ci costeranno oltre 393 milioni di euro, vale a dire più di 65 milioni al mese. Un netto incremento rispetto ai 308 milioni (51 al mese) del primo semestre 2010.

La cifra è così suddivisa: 365 milioni di euro per il mantenimento del contingente Isaf schierato in Afghanistan, 12 milioni per il personale militare della missione che opera nelle basi americane negli Emirati Arabi Uniti, in Bahrein e in Florida (Usa), 10 milioni per le operazioni in loco del Sismi, 1,7 milioni per il personale della Guardia di Finanza (Isaf , Eupol e Jmous), 2.7 milioni per le operazioni militari a favore della popolazione locale (aiuti in cambio di intelligence), 1,8 milioni per il sostegno alle forze armate afgane e, duclis in fundo, mezzo milione alla Rai per ''azioni di comunicazione nell'ambito delle NATO Strategic Communications'' (propaganda di guerra).

Fuori dalle spese militari e paramilitari, troviamo lo striminzito finanziamento alle iniziative di cooperazione: 18,7 milioni di euro, che serviranno a pagare progetti di ricostruzione e di assistenza umanitaria sia in Afghanistan che in Pakistan (dov'è prevista una ''missione di stabilizzazione economica, sociale e umanitaria''), e anche a organizzare una conferenza regionale della società civile per l'Afghanistan, in collaborazione con la rete di organizzazioni non governative 'Afghana.org' (associazione promossa da Arci, Lunaria e Lettera22).


 * www.peacereporter.net
Crescono i segnali di preparazione di un attacco militare contro l'Iran
di redazione*

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 In pochi giorni sono aumentati i segnali di preparazione di un attacco militare israeliano e statunitense contro l'Iran. Quanti di questi siano solo fattori di "pressing" tesi a intimidire l'Iran e costringerlo alla resa o quanto siano l'avvio sistematico di un processo di preparazione di un attacco vero e proprio secondo una consolidata tradizione statunitense, non è facilissimo dirlo guardando le cose dal nostro paese e sulla base delle informazioni a disposizione. Ma alcuni dati stanno diventando ormai e purtroppo molto nitidi.


Atilio Boròn nel suo blog sottolinea la gravità e l'emblematicità di un articolo comparso sulla Military Review (organo delle forze armate statunitensi) a firma di uno degli intellettuali di punta della Israel Lobby americana, Amitai Eztioni, consulente di divese amministrazioni USA. (vedi http://www.atilioboron.com/ ). Nell'articolo e poi in una intervista rilasciata alla corrispondente di Ha'aretz da Washington, Eztioni afferma che "l'unica opzione accettabile è un attacco militare esemplificante contro l'Iran" e che qualsiasi altra alternativa vada scartata.
In questi giorni va segnalata anche la visita improvvisa del Capo di Stato Maggiore statunitense, ammiraglio Michael Mullen, a Tel Aviv. Mullen si è incontrato con i vertici militari israeliani per discutere appositamente il dossier Iran.
Mercoledì, l’agenzia iraniana Fars ha fatto uscire la notizia che a 8 km da Tabuk, in pieno deserto, l’Arabia Saudita ha prestato un eliporto alle squadriglie da combattimento dell'aviazione israeliana. I sauditi hanno negato, come qualche settimana fa quando il Times rivelò che Riad aveva concesso lo spazio aereo per un eventuale attacco a Teheran. Ma ieri una fonte anonima israeliana al Jerusalem Post, ha confermato più o meno tutto. Stessa storia per le navi nel Canale di Suez. "Una decina di giorni fa, i pescatori della zona ne hanno contate una dozzina, dieci americane e un paio israeliane, prima che le motovedette egiziane li allontanassero: e se Il Cairo ha smentito tutto, ma gli israeliani hanno provveduto a smentire la smentita. «La copertura navale è il primo passo», dicono i militari israeliani: anche per questo, ai cantieri tedeschi della Blohm & Voss è arrivata l’ordinazione urgente di due navi da guerra, 300 milioni l’una" scrive oggi il Corriere della Sera, solitamente informato benissimo su quanto avviene nelle forze armate israeliane. Si rammenta poi la presenza nel Golfo Persico di sottomarini israeliani dotati di missili da crociera.Contemporaneamente si segnala il lancio di un altro satellite spia israeliano - l'Ofek 9 - che transiterà sui cieli iraniani.
Il Gulf Daily News - riprendendo una fonte locale - segnala invece movimenti di forze speciali Usa e israeliane in Georgia e soprattutto in Azerbaigian, al confine con l’Iran. http://www.gulf-daily-news.com/NewsDetails.aspx?storyid=281041 
Siamo dunque alla vigilia di quello "scossone" che Israele vuole imporre all'agenda politica mediorientale e internazionale? Israele è disposta a tutto pur di uscire dall'isolamento e dall'empasse in cui si è cacciata a causa della sua politica aggressiva (ultima in ordine di tempo il sanguinoso attacco contro la Freedom Flottiglia nel Mediterraneo) e dell'apartheid contro i palestinesi che il mondo non è più disposto ad accettare. Ma è proprio questo il problema del mondo: i pericoli che derivano dalla politica dell'escalation israeliana e dalla sua sindrome di Sansone. Paradossalmente - ma non del tutto - sarebbe meglio che l'Iran disponesse già delle armi atomiche. Sarebbe questo l'unico impedimento materiale - la mutua distruzione assicurata - ad una guerra devastante e pericolosa per tutti.

* www.contropiano.org 

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