giovedì 17 giugno 2010

Marijuana in ospedale

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di Monia Cappuccini 


La cannabis a scopi medici è sempre più usata anche in Italia. Dalla terapia del dolore all'epilessia, dall'ictus all'artrite. Ma ottenerla legalmente è un percorso a ostacoli. Tra norme contraddittorie e Asl che vanno ognuna per conto suodi Monia Cappuccini
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C'è chi, come Franco, l'ha utilizzata per placare le crisi di dolore alla gamba dopo aver subito un'amputazione del piede destro a causa di un incidente. Oppure chi, come Maria M. di Napoli, malata di sclerosi multipla dal 1995, ne ha chiesto la somministrazione presso le strutture sanitarie per contrastare gli effetti di una spasticità che avanzava sempre più velocemente. C'è ancora chi, come Tommaso, affetto da epilessia dall'età di 15, ha deciso di buttare nella pattumiera tutti i suoi medicinali: una frattura alla mandibola gliene impediva l'assunzione, così li ha sostituiti per sei settimane con sei canne di marijuana al giorno, senza avere neanche una crisi convulsiva. Sergio e la marijuana, invece, erano amici già prima dell'incidente stradale che lo ha costretto alla sedia a rotelle nel 1996: da allora, con quattro cinque canne distribuite nell'arco della giornata, ottiene risultati migliori rispetto ai farmaci.
Piccole storie di grandi sofferenze, raccolte dai medici dell'Associazione Cannabis Terapeutica sul loro sito Medicalcannabis.it. Ognuna racconta una esperienza diversa, tutte riportano la stessa difficoltà: procurarsi cannabinoidi legalmente per lenire le proprie sofferenze in Italia non è semplice. 
Spesso questa terapia va dove i farmaci tradizionali non arrivano e, a fronte dei buoni riscontri medici, la lista delle malattie curabili con la cannabis è piuttosto lunga: terapie del dolore, sclerosi multipla, nausea e vomito in chemioterapia, stimolazione dell'appetito nei casi di Aids. E ancora: glaucoma, traumi celebrali, ictus, sindrome di Tourette, epilessia, artrite reumatoide e altre, ancora in fase di sperimentazione. A queste cui si aggiungono altre patologie (come le sindromi ansioso-depressive, le malattie auto-immuni e l'asma bronchiale) per le quali l'uso della cannabis è potenzialmente indicato. Un campo di applicazione vasto e tutto da sperimentare. 
Peccato che la cannabis sia considerata però una droga, la cui coltivazione domestica è iscritta tra i reati penali perseguibili per legge. 
Paradossi del sistema Italia. La cosiddetta Jervolino-Vassalli del 1990 concede infatti la facoltà di prescrivere e di vendere medicine di questo genere, almeno in linea di principio. Nei fatti però la possibilità di curarsi - e per di più gratuitamente - con la cannabis si traduce per i pazienti in un vero percorso a ostacoli, che finisce il più delle volte sui banchi del Tar con sentenze destinate ogni volta a creare il precedente. 
Limiti nella somministrazione delle dosi, divieto di portare con sé farmaci cannabinoidi, obblighi burocratici complicati e modalità formali da rispettare sia nella prescrizione sia nella vendita per medici, veterinari e farmacisti - i quali rischiano di incorrere in sanzioni pecuniarie e persino penali - contribuiscono a creare una situazione di stallo e di lunghe attese per i pazienti, impedendo loro di ottenere i medicinali necessari e ai medici di svolgere regolarmente il proprio lavoro. "La situazione procede a macchia di leopardo", spiega Francesco Crestani, medico di Rovigo e presidente dell'Act (Associazione per la cannabis terapeutica). "In Italia in alcune Asl il farmaco è gratis e in altre no, così ci ritroviamo con pazienti affetti da patologie simili che, pur vivendo a pochi chilometri di distanza gli uni dagli altri, pagano tariffe variabili dai 500 agli zero euro". 
Una discriminazione economica imputabile al divieto di produrre questi farmaci che, di conseguenza, possono essere solo importati dall'estero. Agli oneri economici si aggiungono poi limiti territoriali che alcune Regioni, vedi il Molise e la Puglia, hanno aggirato mediante l'approvazione di una delibera per garantire la gratuità del farmaco a tutti i pazienti residenti nelle rispettive regioni. "Una novità non da poco", commenta Crestani, "ma non si capisce ancora perché vengono prescritti liberamente farmaci ben più pericolosi e tossici, vedi la morfina o il fentanile, mentre per la somministrazione della cannabis il paziente si vede costretto all'ospedalizzazione".

Una legge del 1990 concede la facoltà di prescrivere e di vendere medicine di questo genere. Nei fatti però la possibilità di curarsi con la cannabis si traduce per i pazienti in un vero percorso a ostacoli, che finisce il più delle volte sui banchi del Tar



FONTE:
http://espresso.repubblica.it/

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