mercoledì 30 giugno 2010

La sentenza dell’Utri, ecco cosa comporta

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A poco più di 24 ore la sentenza d’appello del processo al senatore del Pdl, secondo dei tre gradi di giudizio previsti in Italia, può essere analizzata al di fuori della fastidiosa sequela di pareri politici, che a volte distolgono l’attenzione da quanto realmente accaduto. Dell’Utri ha collaborato attivamente con la mafia ma solo fino al 1992. Per poter ricostruire tutto quello che comporta questa decisione, in attesa di leggere le motivazioni ufficiali della corte, si possono già dare delle indicazioni. Dell’Utri continua a considerare Mangano un vero e proprio eroe, probabilmente perché il capomafia di Porta Nuova ha garantito l’incolumità di Berlusconi durante gli anni che hanno preceduto la sua discesa in campo, mentre il senatore ex Pdl rimane sotto accusa per la sua collusione con la mafia nella gestione delle antenne di Mediaset e vecchie questioni di racket maturate nel periodo in cui la Standa a Catania venne presa di mira. Per capire quanto successo ieri nell’aula bunker occorre sottolineare un paio di note di cui tener conto. I giudici, riuniti in camera di consiglio, hanno dovuto smentire contatti con l’imputato maturati in tempi remoti, faccenda questa irrituale se si considera che i giudici, oltre che imparziali, non dovrebbero ricevere pressioni dall’esterno. Pressioni che sono arrivate invece da tutte le parti, con l’insinuazione del sospetto che i giudici non fossero adeguati, secondo i difensori di Dell’Utri per debiti di riconoscenza con la Procura di Palermo, per i detrattori di Dell’Utri per conoscenze familiari comuni con l’imputato. Berlusconi il giorno prima della sentenza aveva invitato dal Canada i cittadini a non leggere i giornali, temendo forse qualche sorpresa nel processo del suo vero guardia-spalla nella creazione di Forza Italia. Un’altra fortissima pressione è arrivata direttamente dal Ministero degli Interni, che non dando la scorta a Gaspare Spatuzza lo ha di fatto reso un testimone inattendibile. Grottesca, se fosse confermata, la motivazione che circola in queste ore, per cui Spatuzza è inattendibile a causa delle dichiarazioni dei fratelli Graviano, suoi diretti superiori nel mandamento mafioso di Brancaccio e di un presunto compagno di cella di Spatuzza, entrato in extremis nel processo, che parla di una premeditazione delle dichiarazioni di Spatuzza. Il pentito tirava in ballo persino la creazione di Forza Italia grazie alla benedizione di Cosa Nostra che secondo la difesa si è avvicinata a Forza Italia “solo per questioni di interesse viste le posizioni garantiste del partito di Berlusconi”. Rimane un altro grosso punto interrogativo, già venuto fuori durante il processo a Giulio Andreotti. Se è vero che Dell’Utri fino al 1992 ha collaborato con Cosa Nostra, cosa avrebbe potuto impedirgli di sfruttare le sue “amicizie” nella corsa elettorale del 1994 per portare voti a Forza Italia in maniera tale da sottrarli sia ai socialisti del PSI che ad AN e il vecchio CCD? Il fatto che interi quartieri ad altissima densità mafiosa cambiarono il loro voto spostandolo dal PSI a Forza Italia fu frutto di un’abile campagna elettorale che poteva lasciar pensare ad una stagione di impunità oppure ci furono accordi ben precisi? Una cosa è certa. Per la stessa accusa Totò Cuffaro si è dimesso da presidente della Regione ed in attesa della sentenza del processo d’appello si è fatto eleggere Senatore della Repubblica, proprio come Marcello Dell’Utri. Lo stesso Dell’Utri è stabilmente seduto a Palazzo Madama da almeno tre legislature. Davvero sarebbe troppo chiedere ad un senatore accusato di concorso esterno per associazione mafiosa di dimettersi dalla propria carica politica per potersi difendere in qualità di privato cittadino? Se l’ultimo grado di giudizio inasprisse addirittura la pena, rimettendo nel calderone parti della trattativa tra Stato e mafia, dovremmo accettare l’idea di aver tenuto in Parlamento per almeno vent’anni un esponente di peso della criminalità organizzata. Una responsabilità che nel bene e nel male dovrà essere assolutamente presa dai giudici della Corte di Cassazione che saranno chiamati a dirimere una questione che non riguarda più una sola persona, ma un intero paese.

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