
Un altro recente sviluppo del programma è la conclusione delle prove statiche su una cellula non volante (la AG-1) della versione convenzionale CTOL dell’F-35. I test sono stati condotti con performance molto incoraggianti, si sottolinea a Fort Worth: non si è registrato alcun inconveniente strutturale al raggiungimento del carico limite di 13.5 g (il 150 % di quello di progetto) e i test si sono conclusi 5 mesi prima del previsto, richiedendo la metà del tempo che occorre normalmente. «L’F-35 ha una cellula fantastica», ha commentato Mick Ord, direttore del centro sperimentale britannico di BAE System presso il quale s’è svolta la maggior parte di questa campagna di prove. I ground test proseguono ora su altre 5 cellule, la prima a completarli sarà la BG 1 della versione STOVL.
Lockheed Martin sta insomma spingendo sull’acceleratore per rimettere in carreggiata e far progredire al massimo il programma di prove del suo caccia, del quale - ricordiamo - ha appena iniziato le prove di volo il primo (CF-1) dei prototipi della versione imbarcata F-35C. Altri due - CF-2 e CF-3 - dovrebbero volare entro la fine dell’anno, e un quarto nel 2011, verificando la bontà delle modifiche strutturali apportate al ventre della fusoliera per affrontare gli appontaggi, e di varie misure atte a contenere le velocità di decollo, ancora eccessive. Da alcune settimane Lockheed Martin ha sul collo il fiato dell’House Armed Services Committee, che sta valutando il budget per la difesa del 2011 e si è detto deciso a tagliare i fondi del programma per il prossimo anno fiscale se LM non riuscirà a effettuare entro il 30 settembre (termine del corrente anno fiscale) tutti i 394 voli di collaudo previsti per quella data.Tom Burbage, responsabile del programma, nel commentare il primo volo del CF-1 aveva spiegato che il numero di voli accumulati a tutto maggio è "on target" (sono stati 111 a tutto il 13 giugno, 8 in più del previsto) mentre non lo era (e non è tutt’ora) quello dei test point (10 in media per ogni volo per stare nei tempi).
Quanto ai costi del Joint Strike Fighter, continuano inesorabilmente ad aumentare, complice la perdurante sovrapposizione fra produzione (in media 500 al mese, fino a febbraio, le modifiche apportate al progetto con decine di aerei sugli scali), sviluppo e programma di prove; è questa la prima fra le preoccupazioni del Pentagono (il responsabile del procurement Ashton Carter l’ha stigmatizzata ancora di recente) e soprattutto del Government Accountability Office. Il costo globale del programma sarebbe passato dai 232 miliardi di dollari preventivati nel 2002 e dai 332 di soli tre mesi fa agli odierni 382,4, il 65 % in più. Aumentato dell’81 per cento il costo medio a esemplare, passato da 62 miliardi di dollari a 112,4 calcolando
Resta da capire in quale misura questi grossi sforamenti di spesa e varie problematiche ancora irrisolte di carattere progettuale e industriale incideranno sulle decisioni che l’Italia si avvia a prendere con la firma del mega-contratto con Lockheed Martin e il governo USA (si parla di fine luglio) che dovrebbe finalmente far decollare la linea di assemblaggio di Cameri e portare all’assunzione di nuovi e finalmente sostanziosi contratti per le nostre industrie coinvolte nella partecipazione al programma
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