Storie, racconti e voci delle famiglie che convivono con un handicap. In Europa sono 80 milioni le persone disabili
«Circa 80 milioni di cittadini europei sono affetti da una qualche forma di disabilità. Tale cifra, tradotta in termini percentuali, è pari al 16% della popolazione europea. In altri termini, almeno un europeo su 4 ha un familiare disabile». Bastano questi numeri, dati l'altro giorno dal commissario Antonio Tajani in una audizione al gruppo Ppe dell'europarlamento, a capire come l'handicap faccia parte quotidianamente della vita di moltissimi di noi.
Lo dicono i numeri, lo dicono i messaggi di cui traboccano i blog dedicati a questi temi come quello del Corriere della Sera
(InVisibili), lo dicono le lettere che arrivano al giornale ogni volta che, forse senza la continuità invocata, ci occupiamo di alcuni dei tanti problemi della disabilità.
«Uscire» allo scoperto, raccontare la propria storia, rivelare la propria sofferenza, è essenziale per rompere con una cultura che per secoli ha «nascosto» il disabile in casa, dentro la famiglia, nel chiuso degli affetti dei genitori e dei fratelli, come fosse frutto di una colpa. Così come pensava San Gregorio Magno teorizzando che «un'anima sana non albergherà mai in una dimora malata» o il quarto Concilio Lateranense deliberando che «l'infermità del corpo a volte proviene dal peccato».
Per questo, oggi, sommersi da messaggi di consenso e di dolore dopo avere messo a fuoco l'altro giorno il tema del disinteresse dello Stato nei confronti delle famiglie, così come sottolineato dal rapporto del Censis, abbiamo deciso di pubblicare alcune di queste lettere. Lettere di italiani che non chiedono l'elemosina. Ma si raccontano, si sfogano, denunciano. Nella speranza che aiutino chi sta «lassù» (non il buon Dio, si capisce: lui lo sa già) a capire come un paese serio, anche in un momento di difficoltà come quello che stiamo vivendo, non è legittimato a dimenticarsi delle fasce più deboli della popolazione. E tanto meno scaricare il problema sulle famiglie. Gian Antonio Stella
Lo dicono i numeri, lo dicono i messaggi di cui traboccano i blog dedicati a questi temi come quello del Corriere della Sera
(InVisibili), lo dicono le lettere che arrivano al giornale ogni volta che, forse senza la continuità invocata, ci occupiamo di alcuni dei tanti problemi della disabilità.
«Uscire» allo scoperto, raccontare la propria storia, rivelare la propria sofferenza, è essenziale per rompere con una cultura che per secoli ha «nascosto» il disabile in casa, dentro la famiglia, nel chiuso degli affetti dei genitori e dei fratelli, come fosse frutto di una colpa. Così come pensava San Gregorio Magno teorizzando che «un'anima sana non albergherà mai in una dimora malata» o il quarto Concilio Lateranense deliberando che «l'infermità del corpo a volte proviene dal peccato».
Per questo, oggi, sommersi da messaggi di consenso e di dolore dopo avere messo a fuoco l'altro giorno il tema del disinteresse dello Stato nei confronti delle famiglie, così come sottolineato dal rapporto del Censis, abbiamo deciso di pubblicare alcune di queste lettere. Lettere di italiani che non chiedono l'elemosina. Ma si raccontano, si sfogano, denunciano. Nella speranza che aiutino chi sta «lassù» (non il buon Dio, si capisce: lui lo sa già) a capire come un paese serio, anche in un momento di difficoltà come quello che stiamo vivendo, non è legittimato a dimenticarsi delle fasce più deboli della popolazione. E tanto meno scaricare il problema sulle famiglie. Gian Antonio Stella
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