E’ possibile affrontare l’ampia tematica delle dipendenze senza barricate ideologiche e con lucida riflessione nell’Italia del sottosegretario-sceriffo Carlo Giovanardi? Ne parliamo con Peter Koler, direttore a Bolzano del Centro per la prevenzione delle dipendenze e la promozione della salute, finito recentemente sotto i riflettori della stampa nazionale per le sue idee di un approccio alla materia di carattere analitico e fatto di tangibile esperienza sul campo.
Dottor Koler, parliamo di stupefacenti…Già qui avrei una precisazione da fare, in quanto sarebbe più opportuno parlare di ‘sostanze psicoattive’; il termine ‘stupefacente’ non va nella direzione di quella che è la funzione principale delle sostanze e rischieremmo di cadere in una categorizzazione di carattere moralistico, mentre con il concetto di ‘sostanze psicoattive’ noi intendiamo tutte quelle sostanze che hanno un effetto sulla psiche umana. Il termine ‘stupefacente’ tende a significare la perdita della volontà sulle proprie azioni, ma se noi andiamo a vedere nella storia di tutte le culture sono presenti le sostanze psicoattive, utilizzate anche a scopo ritualistico. Non esiste quindi la società libera dalle sostanze psicoattive, ad esclusione forse degli inuit dell’Artico, i quali vivevano in un contesto dove non c’era nulla di organico che poteva essere utilizzato a tale scopo.
Tuttavia il sottosegretario Giovanardi riferiva in Maggio di un calo del 25 per cento del consumo di droga in Italia: le cose stanno così oppure negli ultimi anni si è potuti assistere ad una diversificazione delle sostanze psicoattive consumate?In realtà è sempre difficile stabilire se vi sia o meno un calo delle percentuali dei consumatori di sostanze psicoattive: dipende dagli studi che si prendono in considerazione, dalle definizioni che si utilizzano e dalla tipologia dei campioni: non è possibile quindi dare una risposta chiara alle affermazioni del sottosegretario. In Europa possiamo assistere ad un abbassamento del numero dei consumatori di eroina e di certo vi è una diversificazione delle sostanze utilizzate. Dipende comunque dal contesto locale, basti pensare, ad esempio, che il consumo di eroina è aumentato in Russia.
Dati ben precisi vengono dalla Germania in relazione all’abbassamento del consumo di nicotina e di alcool, poichè fin dagli anni Novanta sono state messe in atto strategie di prevenzione, di regolamentazione del mercato e di tutela dei minori, ovvero una prevenzione che ha influenzato le abitudini delle persone in generale con stili di vita migliori: non è più trendy accendersi una sigaretta, mentre lo è partecipare ad una maratona, cosa che dà più stimoli individuali e più accettazione sociale.
La prevalenza dell’uso di una sostanza piuttosto che di un’altra non è di per sé indicativa, poiché, ad esempio, il consumo di alcool in Alto Adige riguarda circa il 75 per cento della popolazione, mentre il dato è ben diverso in altre realtà italiane. Tale dato non è la base per capire la problematicità, poiché non è chiaro quante persone bevono quantità a rischio, cadano nell’abuso o magari assumano alcool in contesti problematici, per esempio sul lavoro o durante la conduzione di un veicolo.
Lo stesso discorso vale per il consumo di cannabis: avere il dato di prevalenza del 40 per cento durante tutta la vita non significa nulla, poiché bisognerebbe analizzare quanto frequenta è l’assunzione e in quali circostanze. Solo avendo a disposizione dati più analitici è possibile considerare se all’interno di comunità vi siano problematiche serie, sanitarie o di ordine pubblico. Assistiamo invece ad una chiusura completa di carattere moralistico, a mio giudizio discutibile, dal momento che mi chiedo chi abbia diritto di stabilire cosa un altro individuo possa o non possa fare.La situazione legislativa italiana è di una pressoché totale proibizione dell’uso di sostanze stupefacenti, tanto che negli ultimi anni si è potuti assistere ad un inasprimento delle leggi in materia. Il proibizionismo è una strategia che non produce risultati?Il proibizionismo funziona sicuramente nella misura in cui un individuo si ferma davanti al rischio di avere problemi con la giustizia, ma, come sappiamo, altri preferiscono rischiare in quanto ritengono importante la sostanza psicoattiva per i propri stili di vita, per le abitudini personali o di gruppo. Il problema di fondo è sempre lo stesso: fino a quanto lo Stato può entrare nella sfera della libertà di individui emancipati e liberi per proibire ciò che viene inteso come problematico? Un proibizionismo che arriva a cucire la bocca o a tagliare le mani ai cittadini funziona di certo, ma la domanda rimane: a quale prezzo? A quanta individualità deve rinunciare un cittadino che non nuoce ad altri in nome di una scelta moralistica di altri? Siamo nell’epoca del post modernismo, dove lo Stato perde potere nei confronti dell’individuo ma, nonostante questo, ci si chiede a chi spetti la piena facoltà sul proprio corpo.
Qui qualcuno potrebbe obbiettare che l’assunzione di sostanze può portare a problemi di carattere sanitario con costi che ricadono sulla società, ma anche molti comportamenti legali sono pericolosi, basti pensare al tabacco, all’alcool o più semplicemente al fatto che nella sola nostra provincia ogni fine settimana muoiono uno – due motociclisti. Lì si interviene con regolamentazioni pragmatiche e con la prevenzione, spiegando che l’abuso di alcool fa male, che il fumo porta a malattie gravi, che per la guida di moto serve prudenza ed il casco, mentre per l’assunzione di altre sostanze psicoattive esiste sopratutto la penalizzazione.
C’è qualcosa che non va, mi permetta un esempio: qualche giorno fa un uomo adulto, senza precedenti penali, senza problemi di carattere sociale, un onesto lavoratore, è stato sorpreso a coltivare in casa tre piantine di marijuana: non faceva danno a nessuno, non alimentava neppure il mercato illegale e, nonostante questo, rischia due anni di reclusione. Tuttavia, se al posto di tre piantine di marijuana avesse avuto in cantina 300 litri di vino, nessuno gli avrebbe detto nulla.Ma, mi consenta, vi è differenza fra una droga pesante ed una droga leggera…Vede, è più corretto parlare di stili di consumo pesanti o stili di consumo leggeri, se ne consegue dipendenza o meno. Teniamo fermo il concetto della libertà dell’individuo ed agiamo piuttosto laddove c’è bisogno, ad esempio nel momento in cui vi è il problema o la dipendenza.Tuttavia contrastare l’uso delle sostanze stupefacenti significa ridurne il quantitativo in circolazione…Le sostanze psicoattive sono presente ovunque, tanto che, quando mi capita di essere invitato per un convegno in una città italiana, chiedo alle persone presenti se sanno se è possibile acquistare marijuana, cocaina, ecc: mi viene indicato dove, perché molti lo sanno, segno che c’è chi vende e chi compra. Quindi il problema è che il mercato si trova in mano alla criminalità, cosa che comporta una serie di problematiche ulteriori.
Spesso ci si chiede quali sarebbero i costi sociali della prevenzione e del sostegno sanitario, ma mai si guarda quale impegno economico viene messo in campo per la macchina della repressione, che, mi creda, arriva a cifre esorbitanti. Senza contare poi cosa sta intorno al mercato del commercio illegale e cioè una serie di reati che vanno dallo sfruttamento della prostituzione, ai furti, alla malavita organizzata. Dovrebbe essere quindi lo Stato a prendere in mano questo commercio.In altri paesi europei, come ad esempio il Portogallo, si è passati dal reato alla sanzione amministrativa per chi detiene e consuma sostanze stupefacenti. Secondo lei è un passo nella direzione giusta?Anche in Italia c’è, con l’art. 75, la sanzione amministrativa per i solo consumatori, ma devo dire che le cose comunque non vanno bene. Se ci deve essere un servizio da parte dello Stato, questo deve essere di aiuto, non di controllo, e le sanzioni amministrative determinano il controllo. Lo stesso SERT è divenuto nel corso degli anni sempre più un sistema di controllo a cui ricorrono gli individui in stato di necessità assoluta. Su quale base, inoltre, somministrare una sanzione amministrativa ad un individuo che fa uso di cannabis, se non per segnalarlo alle autorità? Ha forse fatto un danno o messo in pericolo la vita di altri?In che modo si potrebbe regolarizzare il mercato? Sul modello olandese dei coffee shop?Vede, cento anni fa la questione del proibizionismo non esisteva, ma non perché non vi fossero le sostanze, bensì perché non erano illegali. Agli inizi del Novecento per esempio vi era in commercio il Vino Mariani***, che si otteneva facendo macerare 60 foglie di coca peruviana in un litro di fine Bordeaux. Le sostanze c’erano e circolavano sotto varie forme. Poi, per una serie di interessi economici di una nazione piuttosto che dell’altra e quindi dell’import–export, si è iniziato a vietarne l’uso. Luca Rastello nel suo libro ‘Io sono il mercato’ spiega bene che alla base del problema droga vi è, appunto, il mercato e quello che è evidente è che la risposta che noi abbiamo dato al problema negli ultimi cento anni non solo non è stata efficace, ma si è addirittura trasformata in conflitti, come nel caso del Messico, dove ogni anno la Guerra della Droga uccide 35.000 persone. Si tratta di droga in transito, ovvero proveniente dal Sudamerica e diretta negli Stati Uniti, il paese simbolo del proibizionismo.Quali dati possono spiegare i vantaggi di una regolarizzazione del mercato?Attualmente abbiamo esperienze dei piccoli laboratori che possono dimostrare che un certo cambiamento è utile. In Svizzera, ad esempio, vi sono centri sanitari dove l’eroina viene assunta in modo controllato e lì i dati sono addirittura in internet a spiegare che l’impiego controllato e regolare ha migliorato enormemente lo stato di salute, lavorativo, giudiziario e sociale della persona in cura. E’ ovvio, alcuni non arriveranno mai ad una guarigione, ma questo non ci deve scioccare, perché vale anche, ad esempio, per i tumori o per altre malattie. Alcuni consumatori di eroina, con storie personali difficili, non rinunceranno mai all’uso della sostanza, in quanto per loro rappresenta uno stabilizzatore indispensabile. Perché quindi non somministrarla in strutture sanitarie controllate e quindi toglierla al mercato illegale? Bisogna affrontare la problematica della droga con serietà e senza preconcetti. Ci tengo comunque a precisare che io personalmente non mi ritengo un antiproibizionista, perché questa distinzione in barricate è vecchia, sbagliata.Tornando alle tre piantine di cannabis di quel signore, non pensa che vi possa essere chi arrivi a coltivarne 300, ovvero un incremento sia dell’uso che del mercato?Io non ho mai parlato di 300 piante: la regolamentazione non vuole dire anarchia, per una “coltivazione sul proprio balcone” il limite si dovrebbe discutere: tre, cinque, sette piante? Può darsi che qualcuno arrivi a coltivare cannabis per poi venderla, cosa che succede anche oggi. Tuttavia mi chiedo chi la dovrebbe comprare, se ognuno ha la possibilità di coltivarla sulla propria terrazza.
Da un’altra parte l’idea della limitazione non viene neanche posta. Guardi il gioco d’azzardo, dove lo Stato guadagna ogni anno con un giro di affari di 52 miliardi euro: lì non c’è nessuno scrupolo, eppure pensiamo alle conseguenze negative, alle dipendenze ed alle famiglie rovinate da un mercato esploso negli ultimi 5 anni. Se uno coltiva tre piantine di marijuana viene arrestato, mentre se uno apre una sala con 100 slot machine che ingurgitano interi stipendi, no. Di certo la possibilità di coltivare cannabis ad uso proprio non interesserebbe a tutti, ma solo ai consumatori: ci sono molti che hanno provato la ‘canna’, ma poi non hanno trovato interesse a proseguire nell’assunzione. Piuttosto assistiamo ad un mercato in forte crescita di nuovi medicinali, i cosiddetti neurostimolatori come il Ritalin, in una società dove si è costantemente chiamati a dare di più, ad emergere sugli altri.Proprio ieri Franco Corleone, già deputato, segretario di Forum Droghe e autore con Grazia Zuffa di “Dopo la guerra alla droga. Un piano per la regolamentazione legale delle droghe”, è intervenuto proponendo un piano di legalizzazione di tutte le droghe attraverso una regolamentazione diversificata a seconda delle sostanze. Che ne pensa?Innanzitutto bisognerebbe valutare la situazione internazionale, in quanto al momento un’eventuale legalizzazione non sarebbe possibile per via degli accordi fra gli stati. Io penso che sia necessario procedere per piccoli passi, iniziando con la decriminalizzazione dei comportamenti, con l’aumento del supporto sanitario e la legalizzazione della coltivazione della cannabis ad uso proprio.Il capo Dipartimento delle politiche antidroga, Giovanni Serpelloni, l’ha però contraddetta sostenendo che non esiste letteratura scientifica sulle sue proposte …Penso che vi sia stato un malinteso: lui ha cercato le mie pubblicazioni scientifiche riguardo la regolarizzione, ma non ne ho mai fatte in quanto sono un prevenzionista operativo e pubblico sulle mie tematiche. Volendo, sono disponibili miriadi di pubblicazioni delle realtà che hanno applicato gli interventi di cui ho parlato ed è un po’ come l’insulina: dopo che se ne è stata dimostrata l’efficacia, non è che ogni medico apre uno studio o una ricerca.*** Nota dell’autore: Una bottiglia di questo tonico arrivava a contenere 300 milligrammi di cocaina peruviana: fu un successo colossale, apprezzato da regnanti e da papi al punto che Leone XIII, buon consumatore come pure il suo successore Pio X, concesse all’ideatore, Angelo Mariani la medaglia d’oro pontificia. Tra l’altro nel 1990 alcuni ricercatori hanno scoperto che associando alla cocaina l’alcool si ottiene cocaetilene, i cui effetti psicostimolanti sono di molto superiori alla semplice cocaina. Lo stesso antropologo, medico e studioso Paolo Mantegazza aveva soggiornato in Perù ed aveva poi descritto con toni entusiastici nel suo saggio “Sulle virtù igieniche e medicinali della coca e sugli alimenti nervosi in generale” gli effetti stimolanti di quella pianta.
fonte: http://www.libertiamo.it/
Dottor Koler, parliamo di stupefacenti…Già qui avrei una precisazione da fare, in quanto sarebbe più opportuno parlare di ‘sostanze psicoattive’; il termine ‘stupefacente’ non va nella direzione di quella che è la funzione principale delle sostanze e rischieremmo di cadere in una categorizzazione di carattere moralistico, mentre con il concetto di ‘sostanze psicoattive’ noi intendiamo tutte quelle sostanze che hanno un effetto sulla psiche umana. Il termine ‘stupefacente’ tende a significare la perdita della volontà sulle proprie azioni, ma se noi andiamo a vedere nella storia di tutte le culture sono presenti le sostanze psicoattive, utilizzate anche a scopo ritualistico. Non esiste quindi la società libera dalle sostanze psicoattive, ad esclusione forse degli inuit dell’Artico, i quali vivevano in un contesto dove non c’era nulla di organico che poteva essere utilizzato a tale scopo.
Dati ben precisi vengono dalla Germania in relazione all’abbassamento del consumo di nicotina e di alcool, poichè fin dagli anni Novanta sono state messe in atto strategie di prevenzione, di regolamentazione del mercato e di tutela dei minori, ovvero una prevenzione che ha influenzato le abitudini delle persone in generale con stili di vita migliori: non è più trendy accendersi una sigaretta, mentre lo è partecipare ad una maratona, cosa che dà più stimoli individuali e più accettazione sociale.
La prevalenza dell’uso di una sostanza piuttosto che di un’altra non è di per sé indicativa, poiché, ad esempio, il consumo di alcool in Alto Adige riguarda circa il 75 per cento della popolazione, mentre il dato è ben diverso in altre realtà italiane. Tale dato non è la base per capire la problematicità, poiché non è chiaro quante persone bevono quantità a rischio, cadano nell’abuso o magari assumano alcool in contesti problematici, per esempio sul lavoro o durante la conduzione di un veicolo.
Lo stesso discorso vale per il consumo di cannabis: avere il dato di prevalenza del 40 per cento durante tutta la vita non significa nulla, poiché bisognerebbe analizzare quanto frequenta è l’assunzione e in quali circostanze. Solo avendo a disposizione dati più analitici è possibile considerare se all’interno di comunità vi siano problematiche serie, sanitarie o di ordine pubblico. Assistiamo invece ad una chiusura completa di carattere moralistico, a mio giudizio discutibile, dal momento che mi chiedo chi abbia diritto di stabilire cosa un altro individuo possa o non possa fare.
Qui qualcuno potrebbe obbiettare che l’assunzione di sostanze può portare a problemi di carattere sanitario con costi che ricadono sulla società, ma anche molti comportamenti legali sono pericolosi, basti pensare al tabacco, all’alcool o più semplicemente al fatto che nella sola nostra provincia ogni fine settimana muoiono uno – due motociclisti. Lì si interviene con regolamentazioni pragmatiche e con la prevenzione, spiegando che l’abuso di alcool fa male, che il fumo porta a malattie gravi, che per la guida di moto serve prudenza ed il casco, mentre per l’assunzione di altre sostanze psicoattive esiste sopratutto la penalizzazione.
C’è qualcosa che non va, mi permetta un esempio: qualche giorno fa un uomo adulto, senza precedenti penali, senza problemi di carattere sociale, un onesto lavoratore, è stato sorpreso a coltivare in casa tre piantine di marijuana: non faceva danno a nessuno, non alimentava neppure il mercato illegale e, nonostante questo, rischia due anni di reclusione. Tuttavia, se al posto di tre piantine di marijuana avesse avuto in cantina 300 litri di vino, nessuno gli avrebbe detto nulla.
Spesso ci si chiede quali sarebbero i costi sociali della prevenzione e del sostegno sanitario, ma mai si guarda quale impegno economico viene messo in campo per la macchina della repressione, che, mi creda, arriva a cifre esorbitanti. Senza contare poi cosa sta intorno al mercato del commercio illegale e cioè una serie di reati che vanno dallo sfruttamento della prostituzione, ai furti, alla malavita organizzata. Dovrebbe essere quindi lo Stato a prendere in mano questo commercio.
Da un’altra parte l’idea della limitazione non viene neanche posta. Guardi il gioco d’azzardo, dove lo Stato guadagna ogni anno con un giro di affari di 52 miliardi euro: lì non c’è nessuno scrupolo, eppure pensiamo alle conseguenze negative, alle dipendenze ed alle famiglie rovinate da un mercato esploso negli ultimi 5 anni. Se uno coltiva tre piantine di marijuana viene arrestato, mentre se uno apre una sala con 100 slot machine che ingurgitano interi stipendi, no. Di certo la possibilità di coltivare cannabis ad uso proprio non interesserebbe a tutti, ma solo ai consumatori: ci sono molti che hanno provato la ‘canna’, ma poi non hanno trovato interesse a proseguire nell’assunzione. Piuttosto assistiamo ad un mercato in forte crescita di nuovi medicinali, i cosiddetti neurostimolatori come il Ritalin, in una società dove si è costantemente chiamati a dare di più, ad emergere sugli altri.
*** Nota dell’autore: Una bottiglia di questo tonico arrivava a contenere 300 milligrammi di cocaina peruviana: fu un successo colossale, apprezzato da regnanti e da papi al punto che Leone XIII, buon consumatore come pure il suo successore Pio X, concesse all’ideatore, Angelo Mariani la medaglia d’oro pontificia. Tra l’altro nel 1990 alcuni ricercatori hanno scoperto che associando alla cocaina l’alcool si ottiene cocaetilene, i cui effetti psicostimolanti sono di molto superiori alla semplice cocaina. Lo stesso antropologo, medico e studioso Paolo Mantegazza aveva soggiornato in Perù ed aveva poi descritto con toni entusiastici nel suo saggio “Sulle virtù igieniche e medicinali della coca e sugli alimenti nervosi in generale” gli effetti stimolanti di quella pianta.
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