lunedì 7 marzo 2011

Aids choc. La denuncia di Barbara Ensoli ad Affari.

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di Raffaele Gambari
La sua sembra una favola ma è realtà. Ricercatrice affermata in America è riuscita a tornare, dopo 10 anni, in Italia con un concorso e a guidare la guerra all'Hiv-Aids. È la storia dell'immunologa Barbara Ensoli, 51 anni, di Latina, laurea in medicina e chirurgia all'università La Sapienza di Roma, divorziata, un figlio di quasi 18 anni che ha voluto far crescere in Italia; direttore del Centro nazionale Aids dell'Istituto superiore della Sanità. Da Roma, per conto di questo ente pubblico, conduce la sperimentazione del vaccino Tat, scoperto nei laboratori di viale Regina Elena, che blocca il virus Hiv-Aids. Ora questo vaccino testato in 11 centri clinici italiani su 128 malati che diventeranno 160, sarà sperimentato anche in Sudafrica, come Ensoli anticipa ad Affaritaliani, nella rubrica “Roma che verrà” di Raffaele Gambari.

ensoli


È vero che a volte questa scienziata, che fa parte di società e commissioni nazionali e internazionali, è spinta a tornare a fare ricerca all'estero, soprattutto quando ha difficoltà a trovare i fondi per proseguire il suo lavoro, ma ogni volta ci ripensa e decide di restare a fare ricerca pubblica in Italia.

La decisione di tornare – confida Ensoli ad Affaritaliani – non è stata facile ma ha prevalso il mio senso etico e l'amore verso il mio Paese. Quando ho difficoltà a trovare i fondi necessari per la ricerca sono tentata di mollare tutto e tornare in America, ma ci ripenso sempre”. Questa ricercatrice pubblica, che guadagna 3.400 euro al mese, mentre in Europa ne guadagnerebbe il doppio, figuriamoci in America, ad Affaritaliani racconta che purtroppo si è ridotta notevolmente l'attenzione sull'Aids, come se questa pandemia globale non fosse più un problema, mentre invece “ha cambiato anche fisionomia, nel senso che l'età media si è alzata e colpisce tutti, giovani e anziani” e che “tutti coloro che non hanno rapporti sessuali protetti sono ad alto rischio”. E sfata alcune false credenze: se la prostituzione incide sicuramente nella trasmissione dell'Aids, “molto spesso noi abbiamo immigrate che arrivano non infettate e si infettano qui”. Come per dire: le prostitute straniere le infettiamo anche noi.


A che punto è la fase II della sperimentazione del vaccino contro l'Hiv-Aids che lei sta testando, lavorando per l'Istituto Superiore di Sanità? I finanziamenti, vi servivano 21 milioni di euro e ne avevate ottenuti 13 dal ministero della Salute, a che punto sono?
“La fase II della sperimentazione clinica della vaccinazione con TAT sta per concludersi.I risultati sono molto incoraggianti nel senso che il sistema immunitario dei pazienti in terapia antiretrovirale, gravemente compromesso dall’HIV, tende a ristabilirsi e, di conseguenza, tende a ridursi lo sviluppo di quelle nuove, gravi patologie che son ritenute causa primaria di molte complicazioni legate all'infezione. Noi siamo molto felici e a breve, inizieremo una sperimentazione analoga in Sudafrica. In considerazione di questi risultati positivi, gli organi regolatori preposti alla supervisione della sperimentazione hanno approvato un emendamento al protocollo clinico che ora permette l’arruolamento di persone con maggiore immunocompromissione e l’estensione del numero dei partecipanti allo studio da 128 a 160 persone. Per alcuni pazienti la sperimentazione è già terminata, ma continuiamo a tenerli in osservazione in quella che si chiama la fase di “follow-up.” In Italia, sono 11 i centri clinici coinvolti nella sperimentazione che è stata sponsorizzata dall’ Istituto Superiore di Sanità, e finanziata con fondi speciali del Ministero della Salute.”


Come si fa in una città come Roma, che se è vero che ha punte di eccellenza nella sanità e nella ricerca come dimostra il suo lavoro, a raggiungere i massimi traguardi a livello nazionale e internazionale operando però in una sanità disastrata, dove i tagli sulla salute dei cittadini, che devono stare anche giorni sulle barelle nelle accettazioni o nei corridoi di un ospedale prima di essere ricoverati in reparti, sono pesanti? Le faccio questa domanda perché uno degli undici Centri Clinici in Italia dove si sperimenta il vaccino a Roma è al San Gallicano. Anche voi dell'Istituto superiore di sanità avete risentito dei tagli del piano di rientro imposto dallo Stato alle Regioni e alla ricerca?
“E’ una cosa diversa da quella che lei illustra e che, purtroppo, ben conosciamo. Quando si conduce una sperimentazione clinica nell’uomo, si devono seguire delle procedure estremamente rigorose e controllate dalle agenzie regolatorie; in questo caso dall’AIFA che è l’Agenzia Italiana del Farmaco. È possibile effettuare la sperimentazione solamente in centri clinici accreditati, che sono in grado, sia dal punto di vista delle strutture, che della formazione specialistica del personale, di condurre una sperimentazione clinica ai massimi livelli di “buona pratica clinica.” Tutto deve essere condotto secondo i più elevati standard di qualità. Quello che mi dispiace è che tra gli 11 centri clinici attivi in tutto il territorio nazionale, non abbiamo centri nella maggior parte del Sud e delle Isole. L'unico che abbiamo è solo a Bari.”


Ho l'impressione che l'attenzione sull'Aids sia calata a livello di opinione pubblica, come se avessimo rimosso questa malattia, a cominciare dai mass media, che tanti anni fa ne avevano fatto un argomento importante a livello quotidiano, che dava degli spaccati della vita di una città, dai comportamenti sessuali alle vite dei tossicodipendenti. Quale è il quadro dell'Aids che viene fuori da questa città e dal resto dell'Italia?
“È vero, l'attenzione sull'Aids si è ridotta notevolmente, come se l'Aids non fosse più un problema; invece, è bene ricordare che è sempre una pandemia, è sempre un grave problema di salute delle popolazioni. I casi di nuove infezioni non tendono a ridursi e non c’è abbastanza informazione e formazione. Si pensa che l'Aids sia una malattia dell'Africa o di altri Paesi mentre invece, in un mondo globalizzato, è presente ovunque. Ha cambiato anche fisionomia, nel senso che l'età media si è alzata, è diventata soprattutto una malattia a trasmissione eterosessuale e colpisce tutti, giovani e anziani. Tutti coloro che non hanno rapporti sessuali protetti sono ad alto rischio. Prima era una malattia che colpiva soprattutto omosessuali e tossicodipendenti, in genere gente giovane, adesso è fondamentalmente una malattia eterosessuale dove tutti sono a rischio se praticano rapporti sessuali non protetti. Un uomo di 60-65 anni è altrettanto a rischio di contrarre l’HIV/AIDS di un ragazzo o di una ragazza di 17 anni. E' comune a tutte le città, ma le regioni più colpite sono sicuramente, nell'ordine, Lombardia e Lazio.”


E la prostituzione quanto incide?
“Sicuramente incide, non ci sono dubbi, tant'è che molto spesso noi abbiamo immigrate che arrivano non infettate e si infettano qui, con problemi associati alla povertà, alla prostituzione e alla mancanza di informazione. Si pensava che fossero loro a portare l’infezione, non è affatto detto, a volte, alcune persone possono anche infettarsi da noi. Dobbiamo stare sempre molto attenti a non generalizzare sulla base di pregiudizi e convinzioni stereotipate.”



Cosa pensa della posizione della chiesa cattolica contraria all'uso del preservativo? Un caso attuale è quello di un insegnante di religione al quale l'autorità ecclesiastica non ha rinnovato la cattedra perché aveva sostenuto l'introduzione di un distributore di condom in un liceo romano. 

“Io sono un tecnico e parlo da tecnico e pertanto ritengo, che sia necessario l'uso del preservativo. Tra l'altro, il preservativo difende da altre malattie a diffusione sessuale oltre all’HIV/AIDS, ad esempio: l’epatite, la gonorrea e la sifilide, che è di nuovo in aumento.”

Lei si è laureata alla Sapienza di Roma, ha lavorato come immunologa nella stessa università per trasferirsi poi per 10 anni a fare ricerca negli Stati Uniti. La sua sembra una favola in un Paese dove la ricerca pubblica, come hanno testimoniato i giovani ricercatori universitari saliti sui tetti per denunciare la loro precarietà e contestare la riforma universitaria, è un'impresa quasi impossibile, dove i giovani laureati non trovano spazio e devono emigrare all'estero per avere uno stipendio e una vita quanto meno decorosi. Come è riuscita a tornare in Italia? C'è stato un momento che ha avuto voglia di tornare negli Stati Uniti?
“Sono tornata in questo Paese per poter trasferire alla ricerca italiana il mio “bagaglio di conoscenze” e il metodo di fare ricerca acquisito negli Stati Uniti. Ha fatto tutto mio fratello: c'era un concorso da dirigente all'Istituto Superiore di Sanità e lui ha fatto tutti i documenti necessari. Io ho detto: 'proviamoci, non costa nulla,' e invece l'ho superato con successo. Anche mio fratello era in America, ha lavorato tanti anni con me, anche lui è tornato in Italia, anche lui è un medico: un medico-ricercatore. La decisione di tornare non è stata comunque facile, ma ha prevalso il mio senso etico e l'amore verso il mio Paese. Ho deciso anche che mio figlio dovesse crescere in Italia. Come può immaginare, dal punto di vista economico personale è stato un tracollo rispetto al trattamento che ricevevo in America. Non solo, come sappiamo, in Italia, è veramente difficile reperire i fondi necessari per la ricerca e allora, quando incontro queste difficoltà, sono tentata di mollare tutto e tornare in America; ma ci ripenso sempre. Il lavoro che ho impostato è molto e coinvolge tanti eccellenti ricercatori italiani ai quali ho trasferito il metodo da me acquisito per fare ricerca in un modo nuovo: noi facciamo ricerca transazionale, cioè intendiamo portare i risultati dal bancone del laboratorio al letto del paziente.”


Quanto guadagna al mese?
“Tremilaquattrocento euro, comprese le indennità di Direttore di Centro, con tutte le responsabilità che questo comporta. Preferirei avere un contratto a tempo determinato, dove una persona viene valutata per i suoi risultati, e a fronte dei quali si basa il rinnovo, e avere uno stipendio equiparato, non dico a quelli americani, ma almeno a quelli europei, che sono almeno due volte superiori a quello che persone della mia qualifica ricevono in Italia.”



Che consigli darebbe a un giovane appena laureato in medicina che vuole fare il ricercatore?
“La ricerca è una cosa splendida ma poco remunerata. In Italia purtroppo è difficile fare ricerca pubblica, quella privata è un mondo differente perché i fondi sono maggiori e gli stipendi sono più elevati. Ma, ripeto, in Italia gli stipendi sono veramente bassi, ci sono strutture poco adeguate e pochi fondi per lavorare. E' una decisione squisitamente individuale perché è una vita di sacrifici nella quale l’amore per la ricerca deve prevalere sulle difficoltà.”



Chiudo sempre le interviste per la rubrica “Roma che verrà” domandando come sarà o come potrebbe essere il futuro di questa città. A lei chiedo: quale sarà il domani della Sanità a Roma?
“A Roma, come in tutta Italia, una buona Sanità costa molto. Ovviamente i tagli, che siano governativi o delle Regioni, riducono senza dubbio la qualità delle prestazioni, ma io sono ottimista per natura e credo che tutti si debbano impegnare per garantire il bene primario per tutti i cittadini: la salute e il diritto ad essere curati”.


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