Il potere e' ingiusto e criminale. Siamo d’accordo. Ma come fai a colpirlo?
Non sto a dilungarmi sui motivi che spingono giustamente i giovani a scendere in piazza. Siamo pienamente d’accordo. Ma in questo momento molti stanno discutendo sull’uso della violenza e di questo vorrei parlare, perche' non siamo tutti d’accordo e sarebbe sciocco negare che molti pensano sia giunto il momento di “passare dalle parole ai fatti”. Questi ragazzi dicono: non ci ascoltano, spacchiamo tutto e vediamo se vanno avanti a far finta che non esistiamo.La questione della violenza e' molto complessa. La nostra cultura ci porta a pensare che sia un buon sistema per affrontare i problemi. Una bella sberla puo' raddrizzare un figlio disubbidiente. Una bella rivoluzione armata puo' portare a una societa' giusta. Io non credo che la violenza possa portare qualche cosa di buono, anche se riconosco il diritto alla legittima difesa (che in quanto legittima difesa deve cessare non appena la minaccia lampante non e' piu' presente).
D’altra parte e' evidente che esiste un problema di sordita' del potere e di censura dei media, e che la violenza resta sempre un modo efficace per attirare l’attenzione. Ma bloccare il traffico, sfondare vetrine e danneggiare auto sono azioni che gettano discredito sul movimento e danno al potere scuse per picchiare piu' duro. Ci conviene? Cosa pensiamo sia ottenibile?
Sicuramente ci sono azioni di piazza che funzionano perche' contengono elementi di sensazionalismo e stupore, come salire pacificamente sopra la torre di Pisa o occupare i tetti delle universita'. E probabilmente la creativita' popolare potra' inventare altre forme di lotta dura, spettacolare e pacifica. Se non danneggi nessuno e ottieni il massimo della visibilita' hai vinto due volte. Se poi l’obiettivo e' mettere in difficolta' la Casta Furbastra che ci malgoverna, ci sono altri metodi molto potenti che per giunta non hanno controindicazioni rispetto all’opinione pubblica, anzi, ottengono l’effetto di rendere simpatico e affascinante il movimento ribelle.
Il mondo globalizzato di internet ci offre possibilita' inedite. Ci vuol poco a capire che azioni come quelle di Assange, che pubblica un milione di documenti segreti sulla rete, hanno una capacita' di colpire duramente il sistema di potere piu' di quanta ne abbiano i cortei. Certo, avere accesso ai file segreti del Pentagono non e' alla portata di tutti… Ma sarebbe un errore pensare che siano necessari grandi agenti segreti per creare grossi danni al sistema. Il potere e' talmente sicuro di se' che nasconde malamente le tracce dei suoi imbrogli.
Se gli studenti e i precari vogliono rispondere colpo su colpo all’imbarbarimento del sistema scolastico e della ricerca possono, ad esempio, iniziare a dare un’occhiata affilata ai bilanci delle universita', sono sicuro che basta leggerli per scoprire un po’ di magagne. Soprattutto nelle facolta' dove il rettore assume il figlio, la nuora, la zia e la cugina. Figuratevi se un tipo simile non fa anche la cresta sul riscaldamento e i rimborsi spese…
Oggi rendere semplicemente visibile l’intrallazzo e poi denunciare il tutto alla magistratura e' una sperimentata arma di guerra. Laddove i compagni hanno reso trasparente la casa del potere hanno inferto un duro colpo al sistema. E’ una tattica che sta funzionando per molti gruppi locali di difesa del territorio che la stanno usando come clava.
Noi a Santa Cristina l’abbiamo usata con successo per bloccare la costruzione di un’enorme porcilaia che avrebbe deturpato una valle meravigliosa. Sapevamo che e' difficile bloccare un progetto che ha dietro grossi interessi economici. Ci riunimmo con tutti gli abitanti della valle (dai neonati ai novantenni) e alle 6 e mezzo del mattino occupammo l’area pacificamente, bloccammo i camion e le ruspe che dovevano iniziare i lavori. E contemporaneamente ci mettemmo al lavoro con avvocati e ingegneri per verificare tutte le autorizzazioni. Non ci volle molto per scoprire un po’ di furbate illegali e nel giro di 48 ore la battaglia era vinta e ottenemmo pure il vincolo paesaggistico della valle.Immaginate se mille studenti dedicassero qualche giorno di lavoro a spulciare i bilanci delle facolta', dei licei, dei centri di ricerca, verificare la congruita' legale dei concorsi… Immaginate se gli studenti entrassero nel merito dei bilanci pretendendo che si smetta di buttare ogni anno dalla finestra centinaia di milioni di euro perche' scuole e universita' sono sprovviste del piu' elementare isolamento termico e tutto e' improntato allo spreco. Immaginate se i ricercatori precari si mettessero a verificare quanto sono state pagate le attrezzature per la ricerca. Tutte informazione che si possono ottenere abbastanza facilmente…
Immaginatevi se qualcuno si dedicasse a lasciare in giro qualche registratorino, o a riprendere con un cellulare quei professori che fanno avances alle studentesse.
Sarebbe una guerriglia devastante…
Jacopo Fo
Il Servizio d’Ordine e' criminale?
Cosa succede quando gli studenti si organizzano militarmente? E’ un bene?
Troppi dei commenti ai miei articoli dei giorni scorsi sono intrisi di parole gravi. E’ indiscutibile che una grande fetta di giovani non ne puo' piu' di questa Italia corrotta che ruba il loro futuro. Hanno ragione. Hanno tutte le ragioni. Ed e' ovvio che di fronte a una polizia che picchia ci sia qualcuno che si stanchi di porgere l’altra guancia.
Siamo di fronte a un bivio storico per il movimento studentesco: bisogna scegliere se e come intraprendere la via violenta.
Troppi dei commenti ai miei articoli dei giorni scorsi sono intrisi di parole gravi. E’ indiscutibile che una grande fetta di giovani non ne puo' piu' di questa Italia corrotta che ruba il loro futuro. Hanno ragione. Hanno tutte le ragioni. Ed e' ovvio che di fronte a una polizia che picchia ci sia qualcuno che si stanchi di porgere l’altra guancia.
Siamo di fronte a un bivio storico per il movimento studentesco: bisogna scegliere se e come intraprendere la via violenta.
Io credo che a volte non bisogna solo decidere se un’azione sia giusta; bisogna anche valutare se con quell’azione si possono ottenere i risultati desiderati.
L’Anc di Nelson Mandela ad un certo punto della sua lotta contro il fascismo razzista sudafricano intraprese azioni violente ma ad un certo punto decise di interromperle perche' sarebbero state controproducenti e grazie a questa elasticita' di pensiero ottenne la parita' dei diritti per i neri.
In questo momento molti sostengono la necessita' di costruire un servizio d’ordine efficiente, che impedisca ai provocatori e alle frange violente di usare i cortei come palcoscenico e come protezione per le loro scorrerie a sfasciar vetrine.
Vorrei qui raccontare cosa successe nel 1969 quando il Movimento Studentesco di Milano di trovo' di fronte allo stesso problema.
Credo che la nostra storia possa offrire informazioni interessanti, utili per i giovani che oggi devono decidere che fare e come farlo.
E questo anche perche' pochi hanno raccontato cosa successe veramente.
Leggo ad esempio, con raccapriccio, sul Corriere, l’intervista a Mario Martucci, che era tra i capi dei Katanga, il servizio d’ordine del movimento studentesco.
In questa intervista Martucci, oggi passato a posizioni politiche centriste dopo un transito alla corte di Craxi, magnifica le capacita' dei Katanga nell’evitare sfasci di vetrine. Vero.
Ma Martucci tace su tutto il resto.
Per una serie di casi, mi trovai alla Statale di Milano quando venne annunciata la fondazione dei Katanga, che ancora non si chiamavano così.
I fasci avevano compiuto una serie di assalti e imboscate mandando all’ospedale molti compagni. Tramite il passaparola un centinaio di “compagni fidati” erano stati convocati in un’aula dell’Universita' Statale (Lettere). Un ragazzone fece un discorso molto breve. Disse grossomodo: i nostri compagni sono all’ospedale, uno e' gravissimo, qui non parleremo di questo, siamo qui perche' dobbiamo vendicare i nostri compagni. E’ ora che il movimento risponda alla violenza e per inciso abbiamo deciso di strutturare un servizio d’ordine permanente, dobbiamo sapere su chi possiamo contare. Ora discutiamo di come farla pagare ai fascisti. Usciamo di qui e andiamo a fargli visita. Chi non se la sente esca subito.
Io avevo 14 anni e non me la sentivo proprio. Così mentre un compagno distribuiva spranghe a tutti i presenti, una sessantina, io e qualche altro e quasi tutte le ragazze ce ne uscimmo. Mi vergognavo tremendamente… Ma non avevo mai dato neppure uno schiaffo a qualcuno e non me la sentivo proprio di partecipare a un raid a bastonate.
Nella mia testa non passo' neanche il minimo dubbio sul fatto che comunque quei compagni stessero agendo giustamente. Avevamo subito pestaggi e assassinii e ad eccezione di qualche reazione spontanea durante le cariche della polizia non avevamo mai dato una risposta organizzata alla violenza del potere.
In effetti poi qualche perplessita' la sentii, nella mia coscienza, quando una compagna, con qualche anno piu' di me, che aveva partecipato al raid mi racconto' cos’era successo.
Era restata un po’ sconvolta anche lei… Erano arrivati da varie direzioni in San Babila, erano entrati contemporaneamente in due bar ritrovo dei fascisti, massacrando tutti gli avventori giovani, in sei o sette erano finiti in ospedale con varie fratture e commozioni craniche. Era un’azione di giustizia sommaria e non c’era modo di sapere che livello di responsabilita' avessero quei ragazzi presi a bastonate. Essere in quel bar era una prova sufficiente della loro colpevolezza?
La mia amica era restata scioccata anche dalle istruzioni che un pazzo dava in macchina mentre andavano in San Babila (percorrendo un lungo giro per arrivare dal lato opposto). I consigli vertevano sui punti da colpire per provocare danni permanenti senza uccidere: gomiti e ginocchia.
Mi chiesi se non fosse una cosa orribile. E decisi che quel modo di ragionare era mostruoso ma in fondo non lo condannai completamente… Erano “compagni che sbagliano” ma comunque erano compagni.
Non partecipai alla prima assemblea del servizio d’ordine al completo. Ma ne ebbi un racconto dettagliato. Si trovarono circa trecento compagni scelti tra i piu' validi e fidati. Erano presenti anche una ventina di ragazze tra le quali una mia amica che era veramente imponente. Il primo intervento lo fece Luca Cafiero, che era professore, eletto anni dopo al parlamento come indipendente nelle liste del PCI e ora filosofo. Inizio' dicendo: “Fin dai tempi delle rivolte degli Iloti contro l’aristocrazia ateniese, il sasso e' stata l’arma principale dei ribelli”.
Le prime azioni dei Katanga furono in effetti improntate sulla tradizione della falange greca.
Storico fu il primo assalto frontale contro la polizia qualche settimana dopo.
I Katanga attaccarono frontalmente le forze dell’ordine in ranghi serrati. Le scariche di pietre venivano lanciate contemporaneamente da ogni fila che ubbidiva alle grida del capocordone.
La polizia non era preparata a reggere la carica e il corpo a corpo con un quadrato compatto di uomini che permetteva a quelli della seconda e terza fila di lanciare pietre a distanza ravvicinata mentre gia' la prima fila iniziava a colpire con le spranghe. E mentre le spranghe delle seconda fila venivano a dar man forte a quelle della prima fila, la terza fila e la quarta continuavano a scagliare pietre.
Notevole fu poi la capacita' dei Katanga di ritirarsi subito dopo l’assalto devastante e disporsi dietro ai “Giornalisti Democratici”. In questo modo i poliziotti inferociti massacrarono i giornalisti. Il giorno dopo il Corriere della Sera uscì con articoli di fuoco contro le Forze dell’Ordine che scavalcarono a sinistra i volantini del movimento.
I Katanga si allenavano in palestra, avevano una disciplina impressionante, marciavano in formazione e difendevano i cortei in modo estremamente efficiente.
Le cose iniziarono a migliorare.
Salvo per il fatto che avevamo alzato il livello dello scontro e qualche compagno ci rimise la pelle.
Fui sconvolto vedendo Santarelli rantolare dopo che un lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo lo colpì in pieno petto. Morì di lì a poco. Ma l’orrore che provai non mi fece venir dubbi sul percorso che stavamo seguendo: la polizia e i fascisti ci attaccavano quotidianamente e noi dovevamo difenderci. I Katanga erano quello che ci serviva. Ogni compagno che moriva ci rendeva piu' determinati a combattere.
Vorrei qui raccontare cosa successe nel 1969 quando il Movimento Studentesco di Milano di trovo' di fronte allo stesso problema.
Credo che la nostra storia possa offrire informazioni interessanti, utili per i giovani che oggi devono decidere che fare e come farlo.
E questo anche perche' pochi hanno raccontato cosa successe veramente.
Leggo ad esempio, con raccapriccio, sul Corriere, l’intervista a Mario Martucci, che era tra i capi dei Katanga, il servizio d’ordine del movimento studentesco.
In questa intervista Martucci, oggi passato a posizioni politiche centriste dopo un transito alla corte di Craxi, magnifica le capacita' dei Katanga nell’evitare sfasci di vetrine. Vero.
Ma Martucci tace su tutto il resto.
Per una serie di casi, mi trovai alla Statale di Milano quando venne annunciata la fondazione dei Katanga, che ancora non si chiamavano così.
I fasci avevano compiuto una serie di assalti e imboscate mandando all’ospedale molti compagni. Tramite il passaparola un centinaio di “compagni fidati” erano stati convocati in un’aula dell’Universita' Statale (Lettere). Un ragazzone fece un discorso molto breve. Disse grossomodo: i nostri compagni sono all’ospedale, uno e' gravissimo, qui non parleremo di questo, siamo qui perche' dobbiamo vendicare i nostri compagni. E’ ora che il movimento risponda alla violenza e per inciso abbiamo deciso di strutturare un servizio d’ordine permanente, dobbiamo sapere su chi possiamo contare. Ora discutiamo di come farla pagare ai fascisti. Usciamo di qui e andiamo a fargli visita. Chi non se la sente esca subito.
Io avevo 14 anni e non me la sentivo proprio. Così mentre un compagno distribuiva spranghe a tutti i presenti, una sessantina, io e qualche altro e quasi tutte le ragazze ce ne uscimmo. Mi vergognavo tremendamente… Ma non avevo mai dato neppure uno schiaffo a qualcuno e non me la sentivo proprio di partecipare a un raid a bastonate.
Nella mia testa non passo' neanche il minimo dubbio sul fatto che comunque quei compagni stessero agendo giustamente. Avevamo subito pestaggi e assassinii e ad eccezione di qualche reazione spontanea durante le cariche della polizia non avevamo mai dato una risposta organizzata alla violenza del potere.
In effetti poi qualche perplessita' la sentii, nella mia coscienza, quando una compagna, con qualche anno piu' di me, che aveva partecipato al raid mi racconto' cos’era successo.
Era restata un po’ sconvolta anche lei… Erano arrivati da varie direzioni in San Babila, erano entrati contemporaneamente in due bar ritrovo dei fascisti, massacrando tutti gli avventori giovani, in sei o sette erano finiti in ospedale con varie fratture e commozioni craniche. Era un’azione di giustizia sommaria e non c’era modo di sapere che livello di responsabilita' avessero quei ragazzi presi a bastonate. Essere in quel bar era una prova sufficiente della loro colpevolezza?
La mia amica era restata scioccata anche dalle istruzioni che un pazzo dava in macchina mentre andavano in San Babila (percorrendo un lungo giro per arrivare dal lato opposto). I consigli vertevano sui punti da colpire per provocare danni permanenti senza uccidere: gomiti e ginocchia.
Mi chiesi se non fosse una cosa orribile. E decisi che quel modo di ragionare era mostruoso ma in fondo non lo condannai completamente… Erano “compagni che sbagliano” ma comunque erano compagni.
Non partecipai alla prima assemblea del servizio d’ordine al completo. Ma ne ebbi un racconto dettagliato. Si trovarono circa trecento compagni scelti tra i piu' validi e fidati. Erano presenti anche una ventina di ragazze tra le quali una mia amica che era veramente imponente. Il primo intervento lo fece Luca Cafiero, che era professore, eletto anni dopo al parlamento come indipendente nelle liste del PCI e ora filosofo. Inizio' dicendo: “Fin dai tempi delle rivolte degli Iloti contro l’aristocrazia ateniese, il sasso e' stata l’arma principale dei ribelli”.
Le prime azioni dei Katanga furono in effetti improntate sulla tradizione della falange greca.
Storico fu il primo assalto frontale contro la polizia qualche settimana dopo.
I Katanga attaccarono frontalmente le forze dell’ordine in ranghi serrati. Le scariche di pietre venivano lanciate contemporaneamente da ogni fila che ubbidiva alle grida del capocordone.
La polizia non era preparata a reggere la carica e il corpo a corpo con un quadrato compatto di uomini che permetteva a quelli della seconda e terza fila di lanciare pietre a distanza ravvicinata mentre gia' la prima fila iniziava a colpire con le spranghe. E mentre le spranghe delle seconda fila venivano a dar man forte a quelle della prima fila, la terza fila e la quarta continuavano a scagliare pietre.
Notevole fu poi la capacita' dei Katanga di ritirarsi subito dopo l’assalto devastante e disporsi dietro ai “Giornalisti Democratici”. In questo modo i poliziotti inferociti massacrarono i giornalisti. Il giorno dopo il Corriere della Sera uscì con articoli di fuoco contro le Forze dell’Ordine che scavalcarono a sinistra i volantini del movimento.
I Katanga si allenavano in palestra, avevano una disciplina impressionante, marciavano in formazione e difendevano i cortei in modo estremamente efficiente.
Le cose iniziarono a migliorare.
Salvo per il fatto che avevamo alzato il livello dello scontro e qualche compagno ci rimise la pelle.
Fui sconvolto vedendo Santarelli rantolare dopo che un lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo lo colpì in pieno petto. Morì di lì a poco. Ma l’orrore che provai non mi fece venir dubbi sul percorso che stavamo seguendo: la polizia e i fascisti ci attaccavano quotidianamente e noi dovevamo difenderci. I Katanga erano quello che ci serviva. Ogni compagno che moriva ci rendeva piu' determinati a combattere.
Ma ben presto iniziarono le scissioni. E ogni gruppo che nasceva si costruiva il suo servizio d’ordine. Io entrai nel Gruppo Gramsci che aveva il servizio d’ordine piu' minuscolo e sfigato della citta'. Eravamo una ventina.
Poi successe che il Movimento Studentesco che era diventato anch’esso un “partito”, diretto da Capanna, perse alcune assemblee di facolta', cosa gravissima perche' permetteva ai vincitori di chiamarsi Movimento Studentesco di quella facolta'. Mentre quelli restati con Capanna rivendicavano l’esclusiva della sigla MS.
Dalla sconfitta in assemblea scaturirono accuse di brogli e cammellaggi e iniziarono le botte. Decine di feriti in tutta la citta'. Poi iniziarono i pestaggi nei licei. Al Berchet, dove studiavo, arrivarono in 4, all’ora di uscita, uno aveva una lista di nomi in mano. Chiesero: “Chi e' Minervini?” Minervini li guardo' perplesso: “Sono io.” Gli saltarono addosso con le chiavi inglesi e lo lasciarono per terra sanguinante. Non facemmo in tempo a reagire che erano gia' scappati a bordo di un maggiolino.
Indiscutibilmente i Katanga erano molto abili.
Ma scatenarono una guerra che duro' mesi e che arrivo' a parossismi come l’assalto a Scienze presidiata da un migliaio di militanti armati di bastoni e pietre. I Katanga arrivarono in formazione da combattimento, disposti in quadrati composti da un centinaio di uomini ciascuno.
Solo l’intervento della polizia evito' una battaglia campale tra gli eserciti dell’estrema sinistra.
Poi ci fu il massacro dei militanti di Lotta Comunista, che diedero l’assalto alla Statale e furono picchiati selvaggiamente con scene di bassa macelleria.
Per un paio di anni i feriti a causa degli scontri tra compagni furono piu' del doppio di quelli causati da fascisti e polizia.
E molti episodi che vennero denunciati come aggressioni fasciste erano in realta' scontri tra compagni. E ci furono casi gravissimi che vennero nascosti. Ad esempio quando un dirigente trotschista si trovo' sotto casa una squadra di Katanga e reagì sparando.
Ovviamente questa lotta fratricida disgusto' molti e fu la causa principale di un allontanamento di massa dalla politica.
E fa un po’ senso che a distanza di 40 anni il Corriere della Sera pubblichi un’intervista nella quale l’ex comunista Marcucci si vanta sostanzialmente delle proprie gesta. E anzi racconta, con una punta di vanagloria, di quando fece mangiare a Gad Lerner una mozione che Gad aveva appena scritto. Martucci ricorda male, non eravamo al Berchet ma a Scienze, in aula magna, mi pare il giorno precedente alla marcia dei Katanga sulla facolta'.
E Gad non si rimangio' molto. Visto che c’eravamo anche noi a presidiare Scienze. E anzi le minacce di morte di Martucci furono tra le gocce che fecero traboccare il vaso e che portarono alla decisione di tutti i gruppi milanesi di coalizzarsi per fermare i Katanga. C’erano quelli di Architettura che avevano sbaragliato la polizia per un’intera notte, c’era Lotta Continua, che si portava dietro la Banda Bellini, duecento ragazzi delle periferie che si ritrovavano in una palestra di boxe, e c’erano Lotta Comunista e Avanguardia Operaia, piu' una decina di gruppi minori.
Io mi chiesi se sarei riuscito a picchiare un compagno.
Io facevo politica per cambiare il mondo ma mi rendevo conto che stavamo facendo ben altro.
Quel giorno ebbi la sensazione che fossimo arrivati alla fine del movimento.
Mi dissi che non avevo voglia di dare una sprangata a un compagno e mi ritirai nelle retrovie. Non sapevo che cosa avrei fatto se i Katanga avessero sfondato la prima linea e mi fossi trovato di fronte la carica delle falangi di Capanna.
Avevo una spranga in mano, nessuna voglia di usarla e una grande amarezza dentro. E benedissi la polizia quando arrivo' e si mise tra noi e i Katanga. E lo fece anche in modo incredibilmente pacifico. Peraltro nessuno aveva intenzione di attaccare la polizia: eravamo lì per picchiarci tra di noi.
Pochi dei giovani di allora hanno raccontato questa parte meschina della rivolta degli anni settanta. Ed e' un peccato. Se non si digerisce la propria storia si espongono i nostri figli al rischio di compiere gli stessi errori. Se i partigiani ci avessero raccontato anche la parte sporca della guerra di liberazione (ci fu anche questo) forse noi avremmo riflettuto un po’ di piu' prima di decidere che il migliore strumento a nostra disposizione per cambiare il mondo era un tondino di ferro lungo 50 centimetri.
Non dico che la rivolta studentesca fu solo una storia di servizi d’ordine. Dico che a un certo punto la logica della violenza riuscì a mettere in secondo piano, nei fatti, la nostra lotta per il cambiamento. Eravamo troppo impegnati a difenderci e contrattaccare militarmente per occuparci con energie sufficienti di costruire il nuovo.
La violenza non e' solo orribile. Possiede anche una straordinaria forza di accentrare su di se' le energie. Se inizi a praticare la violenza essa finisce per monopolizzare le tue migliori capacita'. E’ difficile combattere e pensare nello stesso momento.
Poi successe che il Movimento Studentesco che era diventato anch’esso un “partito”, diretto da Capanna, perse alcune assemblee di facolta', cosa gravissima perche' permetteva ai vincitori di chiamarsi Movimento Studentesco di quella facolta'. Mentre quelli restati con Capanna rivendicavano l’esclusiva della sigla MS.
Dalla sconfitta in assemblea scaturirono accuse di brogli e cammellaggi e iniziarono le botte. Decine di feriti in tutta la citta'. Poi iniziarono i pestaggi nei licei. Al Berchet, dove studiavo, arrivarono in 4, all’ora di uscita, uno aveva una lista di nomi in mano. Chiesero: “Chi e' Minervini?” Minervini li guardo' perplesso: “Sono io.” Gli saltarono addosso con le chiavi inglesi e lo lasciarono per terra sanguinante. Non facemmo in tempo a reagire che erano gia' scappati a bordo di un maggiolino.
Indiscutibilmente i Katanga erano molto abili.
Ma scatenarono una guerra che duro' mesi e che arrivo' a parossismi come l’assalto a Scienze presidiata da un migliaio di militanti armati di bastoni e pietre. I Katanga arrivarono in formazione da combattimento, disposti in quadrati composti da un centinaio di uomini ciascuno.
Solo l’intervento della polizia evito' una battaglia campale tra gli eserciti dell’estrema sinistra.
Poi ci fu il massacro dei militanti di Lotta Comunista, che diedero l’assalto alla Statale e furono picchiati selvaggiamente con scene di bassa macelleria.
Per un paio di anni i feriti a causa degli scontri tra compagni furono piu' del doppio di quelli causati da fascisti e polizia.
E molti episodi che vennero denunciati come aggressioni fasciste erano in realta' scontri tra compagni. E ci furono casi gravissimi che vennero nascosti. Ad esempio quando un dirigente trotschista si trovo' sotto casa una squadra di Katanga e reagì sparando.
Ovviamente questa lotta fratricida disgusto' molti e fu la causa principale di un allontanamento di massa dalla politica.
E fa un po’ senso che a distanza di 40 anni il Corriere della Sera pubblichi un’intervista nella quale l’ex comunista Marcucci si vanta sostanzialmente delle proprie gesta. E anzi racconta, con una punta di vanagloria, di quando fece mangiare a Gad Lerner una mozione che Gad aveva appena scritto. Martucci ricorda male, non eravamo al Berchet ma a Scienze, in aula magna, mi pare il giorno precedente alla marcia dei Katanga sulla facolta'.
E Gad non si rimangio' molto. Visto che c’eravamo anche noi a presidiare Scienze. E anzi le minacce di morte di Martucci furono tra le gocce che fecero traboccare il vaso e che portarono alla decisione di tutti i gruppi milanesi di coalizzarsi per fermare i Katanga. C’erano quelli di Architettura che avevano sbaragliato la polizia per un’intera notte, c’era Lotta Continua, che si portava dietro la Banda Bellini, duecento ragazzi delle periferie che si ritrovavano in una palestra di boxe, e c’erano Lotta Comunista e Avanguardia Operaia, piu' una decina di gruppi minori.
Io mi chiesi se sarei riuscito a picchiare un compagno.
Io facevo politica per cambiare il mondo ma mi rendevo conto che stavamo facendo ben altro.
Quel giorno ebbi la sensazione che fossimo arrivati alla fine del movimento.
Mi dissi che non avevo voglia di dare una sprangata a un compagno e mi ritirai nelle retrovie. Non sapevo che cosa avrei fatto se i Katanga avessero sfondato la prima linea e mi fossi trovato di fronte la carica delle falangi di Capanna.
Avevo una spranga in mano, nessuna voglia di usarla e una grande amarezza dentro. E benedissi la polizia quando arrivo' e si mise tra noi e i Katanga. E lo fece anche in modo incredibilmente pacifico. Peraltro nessuno aveva intenzione di attaccare la polizia: eravamo lì per picchiarci tra di noi.
Pochi dei giovani di allora hanno raccontato questa parte meschina della rivolta degli anni settanta. Ed e' un peccato. Se non si digerisce la propria storia si espongono i nostri figli al rischio di compiere gli stessi errori. Se i partigiani ci avessero raccontato anche la parte sporca della guerra di liberazione (ci fu anche questo) forse noi avremmo riflettuto un po’ di piu' prima di decidere che il migliore strumento a nostra disposizione per cambiare il mondo era un tondino di ferro lungo 50 centimetri.
Non dico che la rivolta studentesca fu solo una storia di servizi d’ordine. Dico che a un certo punto la logica della violenza riuscì a mettere in secondo piano, nei fatti, la nostra lotta per il cambiamento. Eravamo troppo impegnati a difenderci e contrattaccare militarmente per occuparci con energie sufficienti di costruire il nuovo.
La violenza non e' solo orribile. Possiede anche una straordinaria forza di accentrare su di se' le energie. Se inizi a praticare la violenza essa finisce per monopolizzare le tue migliori capacita'. E’ difficile combattere e pensare nello stesso momento.
Jacopo Fo
fonte : http://www.jacopofo.com/
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