Passeggiare con il Tricolore è rischioso, può apparire come una provocazione politica, può essere considerato un gesto offensivo rispetto alle idee del secondo partito di governo, il partito che esprime il ministro degli interni.
Sembra incredibile ma può capitare, girando sul territorio nazionale con la bandiera del proprio paese sulle spalle, di venire bloccati, identificati e forse denunciati dalla polizia, di essere minacciati e insultati in ogni modo da patrioti di una nazione inesistente: la “Padania”.
Questo ci è capitato ieri, domenica 12 settembre, a Venezia, in una bella giornata di sole, punteggiata dal colore verde delle bandiere e delle casacche dei tifosi leghisti, giunti da tutto il nord Italia per la rituale celebrazione del “dio Po”.
Sul palco Umberto Bossi e i principali leader del partito secessionista, furbacchioni che a “Roma Ladrona” si sono accomodati bene. Ai balconi di Venezia decine di bandiere tricolori, a ripetere il gesto famoso della signora Lucia, veneziana sensibile al valore dell’unità nazionale.
Eravamo una decina: con noi Marco Gavagnin, consigliere comunale a Venezia per la lista civica a cinque stelle, e l’amico Paolo Papillo, del blog Informazione dal Basso. Sbarcati a Venezia, abbiamo acquistato una bandiera da un venditore ambulante che ce ne ha regalata una seconda.
Dopodiché ci siamo incamminati verso Riva dei Sette Martiri (patrioti giustiziati dai nazisti nel 1944 mentre gridavano “Viva l’Italia Libera!”), dov’era in programma la manifestazione leghista, ad incrocio con via Garibaldi. A un certo punto siamo stati bloccati da un plotone di poliziotti e carabinieri. Motivo? Grave rischio di disordini a causa della nostra “provocazione”.
Intanto erano partiti gli insulti del popolo verde, proprio mentre gli amplificatori diffondevano la voce roca (e le parole poco comprensibili) del capo. “Comunisti di merda” è stato l’epiteto più gentile. Alcuni ci gridavano “froci” e “culattoni”. Un tipo inneggiava: “Forza Paraguay!”. Poi sono partiti i coretti da stadio: “Padania! Padania!”. Per loro il Tricolore è “da buttare nel cesso”, come insegna il grande leader, perché “l’Italia non è mai esistita e mai esisterà”.
Soltanto il cordone di polizia ha evitato l’aggressione fisica da parte di individui fanatizzati, incattiviti da decenni di violenta demagogia. Siamo stati tutti identificati, noi, non i linciatori. E poi allontanati tra due ali di folla schiumante di rabbia, per aver portato in piazza un simbolo che dovrebbe appartenere a tutti.
Insomma: a 150 anni dall’Unità d’Italia e 65 dalla Liberazione, bisogna ancora fare gli italiani. Certi giorni viene il dubbio che sia troppo tardi.
fonte : http://www.pieroricca.org/
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