domenica 29 agosto 2010

Uniti ai suoi piedi

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Quando ci sono in ballo interessi economici si superano ostacoli non indifferenti. Compresi quelli politici. Il trattato di “amicizia” Italia-Libia è stato infatti ratificato anche con i voti del Partito democratico. Perché di quel trattato fu proprio il governo Prodi, con Massimo D’Alema ministro degli Esteri, a scriverne il preambolo. Le basi di quel lavoro partono da lontano, dall’accordo cheLamberto Dini firmò nel 1998 e che doveva chiudere tutto il contenzioso. Ma non fu sufficiente e quindi Prodi prima e Berlusconi poi hanno prodotto un nuovo trattato, molto più favorevole alle richieste del leader libico Muammar el Gheddafi, che non ha mai smesso di rivendicare crediti nei confronti del Paese “colonizzatore”.
Il risarcimento dei danni
Come nel Comunicato Congiunto del 2008, l’Italia esprime, già dal preambolo, “il proprio rammarico per le sofferenze arrecate al popolo libico a seguito della colonizzazione italiana”. Per questo motivo viene stabilito un risarcimento del danno “in fondi finanziari necessari per la realizzazione di progetti infrastrutturali di base”, pari a 5 miliardi di dollari, con un importo annuale di 250 milioni per 20 anni. “La Libia è riuscita ad ottenere una ‘condanna’ del colonialismo italiano con parole molto forti – spiega Natalino Ronzitti, professore di diritto internazionale all’Università Luiss di Roma e Consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali – che costituirà ovviamente un precedente per gli stati di nuova indipendenza nei loro rapporti con la ex-madrepatria. Soprattutto per quanto riguarda il risarcimento. Per esempio l’ho ascoltato in un convegno da parte della Corea del Sud nei confronti del Giappone”. Secondo il professore, il trattato ha giuridicamente lo stesso valore degli accordi precedenti, ma è “politicamente più vincolante”. Quando il trattato approdò sul tavolo della Commissione Affari esteri della Camera, i deputati radicali eletti nel Pd insieme al solo Furio Colombo presentarono 6 mila emendamenti. “Era evidente – spiega Colombo – che quell’atto serviva soltanto a far intercettare, bloccare e incarcerare gli immigrati, che ci sembrava più grave di qualsiasi losco affare”. Il trattato prevede che i due Paesi “promuovano la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a società italiane in possesso delle necessarie competenze tecnologiche”. L’impegno economico graverà per il 50% sul governo italiano e per il restante sull’Unione europea.


“Peccato che invece l’Italia ha fornito alla Libia soltanto delle costosissime motovedette – dichiara ancora Colombo – e poi le unità militari siano composte da cittadini di un Paese non democratico che non ha ratificato nemmeno la convenzione di Ginevra per i rifugiati”. Nell’articolo 6, relativo al rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, c’è l’impegno ad agire conformemente alle rispettive legislazioni, agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. “Una disposizione molto incisiva – spiega Ronzitti – che non è uno strumento giuridicamente vincolante. Ma resta da vedere se il riferimento alle ‘rispettive legislazioni’ non finisca per limitare la portata dell’obbligo da parte libica, che non vanta (o attua) una legislazione particolarmente avanzata in materia di diritti umani”. Non c’è invece nessuna disposizione a favore degli esuli cacciati dalla Libia, i cui beni furono confiscati.


Ratifica bipartisan
In aula ci fu un lungo ostruzionismo, e alla fine il trattato fu ratificato con la contrarietà dell’Udc, dell’Idv, dei radicali eletti nel Pd e di tre deputati democratici (oltre a Colombo anche Andrea Sarubbi e Pierluigi Mantini). “I 3 mila emendamenti che hanno raggiunto l’aula sembrano un di più rispetto a un atto dovuto” disse Massimo D’Alema in un breve ma duro intervento, “l’Italia è il primo Paese che riconosce le proprie responsabilità storiche nei confronti di una sua ex colonia, il che le fa onore”. Eppure il leader libico continua a battere cassa. Non sono bastati 5 miliardi, un precedente diplomatico e l’accordo con un Paese che non ha firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati per ridurre gli interessi di Gheddafi che da oggi (l’arrivo è previsto alle ore 12 all’aeroporto di Ciampino) andrà a braccetto con Berlusconi in nome dell’”amicizia”. E degli affari.


da Il Fatto Quotidiano del 29 agosto 2010 http://www.ilfattoquotidiano.it/

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