martedì 3 agosto 2010

Asia e Oceaniadi Daniele Germani Iraq, caos post-elezioni: dopo cinque mesi ancora nessun governo

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Il margine minimo di solo 2 seggi di cui gode il Iraqi National Movement, non permette accordi soddisfacenti per i partiti chiamati a formare la coalizione di governo. E il 31 agosto le truppe USA inizieranno a lasciare il paese.
elezioni iraq25 Iraq, caos post elezioni: dopo cinque mesi ancora nessun governoLe prime elezioni democratiche svoltesi inIraq dopo la caduta diSaddam Hussein erano state sostanzialmente boicottate dalla comunità sunnita, che invece, presentatasi alle nuove elezioni del 2010, ha vinto la contesa elettorale. Ma la vittoria è stata risicata e l’Iraqi National Movement ha potuto godere di soli due seggi di vantaggio, 91, rispetto agli 89 del State of Law Coalition, che rappresenta gli sciiti moderati laici. Il terzo partito in ordine di seggi conquistati, che secondo le previsioni post elettorali, sarebbe stato l’ago della bilancia per la formazione dell’esecutivo iracheno, è stato il National Iraqi Allianc, rappresentante degli sciiti ortodossi, che ha conquistato 70 seggi. Nessuno ha potuto, alla luce delle enormi differenze religiose e politiche alla base dei programmi dei partiti, raggiungere la soglia di maggioranza di 163 seggi, fondamentale per l’avviamento della legislatura. Il caos politico regna quindi sovrano, in un paese dove l’unica speranza di pacificazione potrà venire dalla politica interna e dalla normalizzazione dello stato di diritto, ancora labile in Iraq. La situazione si prospetta ancor più difficile in vista ancheiraqoil Iraq, caos post elezioni: dopo cinque mesi ancora nessun governodel ritiro, annunciato dalpresidente degli Stati Uniti Obama, di gran parte delle truppe a stelle e strisce. La prima ondata di dietrofront è stata annunciata per il 31 agosto prossimo.
LA SPERANZA CURDA E I TEMPI STRETTI- Il quarto partito in ordine di seggi conquistati è rappresentato dal movimento curdo Kurdistan Alliance, con 43 seggi. A questo punto d’impasse, la speranza di una rapida formazione di governo passa per loro. Il Primo Ministro iracheno uscente, Nuri El Maliki, prosegue il suo compito di negoziazione tra le parti, nonostante le difficoltà che al momento appaiono insormontabili. Sono troppe e troppo profonde le differenze che alimentano le correnti politiche irachene, e la partecipazione in massa alle ultime elezioni legislative ha si permesso una maggior democratizzazione del paese, ma ha anche diviso il panorama politico in due blocchi ben distinti, che tutt’oggi non riescono a trovare un punto d’intesa. Le precedenti elezioni non avevano restituito al paese un’immagine reale della situazione politica ed erano state, inoltre, costellate da una serie impressionante di attentati presso i seggi elettorali, ma avevano comunque permesso una, seppur parziale, fragile intesa politica.
LA FUGA AMERICANA – La formazione delle strutture militari irachene da parte dell’esercito USA, verrà lasciata in mano a 50.000 soldati, che non dovranno più partecipare ai combattimenti in maniera attiva, ma potranno soltanto aiutare le truppe irachene per la formazione di una forza militare organizzata ed autosufficiente. Ma è anche vero che parallelamente alla guerra in corso, già da anni è in atto questa formazione militare, e ciò nonostante i gruppi terroristici iracheni legati ad Al-Quedasono sempre attivi e continuano a commettere attentati e stragi. Appare quindi quasi inutile sottolineare che le forze militari irachene dovranno ben presto riuscire ad autogestirsi, dopo che laritirata americana sarà conclusa. Se così non sarà, sembra davvero difficile immaginare come la pacificazione interna del paese possa avvenire a breve termine. È chiaro che solo una forza militare interna ben organizzata possa porre fine a questa guerra civile, che allo stato attuale delle cose pare ben lontana dalla sua conclusione.
IL CAOS NON SOLO POLITICO, MA ANCHE SOCIALE – La confusione che aleggia nella politica interna dell’Iraq pare essere comunque specchio della reale situazione sociale del paese. Gli attentati sanguinari ormai non si contano più, nelle principali città iniziano a mancare i beni di prima necessità, la corrente elettrica è somministrata a singhiozzo e per questo i pozzi erogano acqua solo in minima parte. Senza acqua potabile, in una regione dove le temperature arrivano a più di 50 gradi centigradi, le malattie prosperano. Virulente ondate di colera infestano varie zone del paese e uccidendo, forse, più delle armi. Insomma, l’Iraq ha bisogno di rinascere, ma per farlo deve essere in grado di autogestire la crisi senza influenze esterne che, purtoppo non mancano. In questo gioco delle parti, la Siria, gli Usa, Israele, gli altri paesi arabi, dovrebbero lasciare la possibilità agli iracheni di poter governare il loro paese, cosa che appare davvero difficile, dati gli enormi interessi economici che vertono intorno alla regione mesopotamica. Comunque sia, per l’Iraq, il 1 di settembre sarà un altro giorno. E senz’altro, sarà un altro giorno difficile.

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