di Benny Calasanzio - Come nelle migliori trame tessute da esperti giallisti, sulle indagini per la strage di Via d'Amelio piomba l'ennesimo colpo di scena, che a dir la verità... ...si annusava da qualche tempo a questa parte e che da quasi un anno, invece, giaceva accennato sulle pagine di un libro.A restituire un ulteriore tassello di verità su quello che accadde dopo la strage del 19 luglio, sui depistaggi e sui processo "farsa" sono stati ancora una volta Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, ormai coppia fissa in delicate inchieste come L'Agenda Rossa di Paolo Borsellino e Profondo Nero, e L'Agenda Nera che da oggi è nelle librerie. Questa volta, il nome che viene fuori dalla carte che ora sono in mano alla Procura di Caltanissetta fa sobbalzare sulla sedia. Arnaldo La Barbera, ex capo della Squadra Mobile di Palermo e poi questore della città. Lo stesso La Barbera che era stato responsabile della sicurezza personale di Giovanni Falcone e successivamente, con un decreto ad hoc che, come vedremo, aveva già procurato dei sospetti a chi gli era vicino, nominato al vertice della squadra investigativa “Falcone-Borsellino” per seguire le indagini sulle stragi. Ebbene, negli uffici dell'Aisi, dove erano custoditi gli elenchi e le foto degli agenti segreti che tra gli anni Ottanta e Novanta hanno agito in Sicilia sotto copertura, alcuni dei quali intrattenendo oscene trattative e abboccamenti con uomini di cosa nostra, c'era anche il super poliziotto con il nome di battaglia “Catullo”. Si ipotizza che La Barbera e il suo entourage potesse aver avuto un ruolo nel confezionare il falso pentimento di Vincenzo Scarantino che, autoaccusandosi del furto della 126 che poi sarà riempita del semtex che ucciderà il procuratore Borsellino, deviò le indagini verso il nulla (tre suoi stretti collaboratori sono già indagati per concorso in calunnia). Il processo su Via D'Amelio fu infatti chiuso in fretta e furia sulla base delle dichiarazioni di pseudo mafiosi che al massimo sarebbero stati in grado di rubare qualche caramella ad un bambino particolarmente sprovveduto. Scarantino, Candura, Francesco Andriotta, nomignoli delle borgate palermitane, ladri di polli che all'interno di cosa nostra non avevano alcun significato, ma ottimi da dare in pasto ad una giustizia che aveva fretta di chiudere i conti con il passato senza toccare i fili dell'alta tensione, che passano soprattutto per i servizi che ormai, alla luce dei fatti, definire deviati è un pleonasmo. Ben sei processi e due pronunce della Suprema Corte basati solo ed esclusivamente su balle colossali. Ma se la conferma che La Barbera fosse al soldo dei servizi è nuova e verrà raccontata dettagliatamente nel saggio dei due giornalisti, ampi stralci che lasciavano presagire ad alcuni strani movimenti avvenuti nella Questura di Palermo in quei giorni sono già scritti e pubblicati da mesi. In quel libro di quasi mille pagine, Il Caso Genchi. Storia di un uomo in balia dello Stato, che ha lo strano effetto di riportare o anticipare cose che hanno da accadere. Che compone puzzle a cui poi, dopo anni, qualcuno aggiunge l'ultimo tassello. Lo stesso Genchi che con La Barbera lavorò fianco a fianco fino alla clamorosa rottura. Gioacchino Genchi, già vice questore a Palermo, attualmente sospeso dal servizio, la sua versione l'aveva già scritta, senza sapere, chiaramente, quello che sarebbe poi venuto fuori. Gli era costato caro raccontare aspetti poco chiari di una delle persone che professionalmente e umanamente più importanti della sua vita. Solo che Genchi fa il consulente, non il veggente, dunque molte cose erano già note e bastava aprire gli occhi. E leggendo alcuni passaggi del volume, non si può rimanere indifferenti alle troppe affinità con lo "scoop" sui servizi segreti. Solo che lo scoop è di oggi. Il libro è del dicembre 2009. Quando le indagini del gruppo Falcone Borsellino presero la via di Scarantino, Genchi fu l'unico che ebbe il coraggio di andarsene e sbattere la porta, mettendo a repentaglio la carriera e non solo. Dal libro di Edoardo Montolli Il Caso Genchi. Storia di un uomo in balia dello Stato: Nell’altra Procura, a Caltanissetta, si corre: l’inchiesta su via D’Amelio sta per subire una brusca accelerata. E per il commissario capo si corre troppo. E una sera, nell’ufficio del gruppo Falcone-Borsellino, si urla. Dentro, ci sono due persone:Gioacchino Genchi e Arnaldo La Barbera. Genchi: "Dopo le accuse di Candura e la confessione di Scarantino, decisero di arrestare Pietro Scotto, l’uomo che avevo individuato come possibile telefonista per via D’Amelio. Mi parve una cosa assurda. Stava a due passi dal nostro ufficio, era intercettato, avrebbe potuto forse portarci ben più avanti. Perché faceva avanti e indietro da via D’Amelio a sotto il Monte Pellegrino, su cui avevo focalizzato l’analisi dei tabulati. Ci fu una discussione durissima, di fuoco. Continuavo a spiegargli che si doveva aspettare, che non potevamo agire. Glielo ripetevo alla nausea: non arrestarlo, non arrestarlo…" I toni si alzano. Come e più che nel 1989, quando il raid da Contorno continuava a ritardare. Genchi dice che non va, non funziona proprio così. Genchi: "Litigammo tutta sera e per buona parte della notte. Ero infuriato: il mancato riscontro sul viaggio di Falcone, l’abbaglio su Maira, e ora l’arresto di Scotto per le confessioni di due personaggi improbabili come Candura e Scarantino che rischiavano di far naufragare l’inchiesta. Pietro Scotto no. Lui no. Strilla Genchi, strilla convinto che ogni cosa sarà persa se lo arresteranno. E quel che poi accade è ciò che non sarebbe mai dovuto accadere. Un nodo alla gola che si porterà dietro per sedici anni: Fu allora che La Barbera scoppiò a piangere. Pianse per tre ore. Mi disse che lui sarebbe diventato questore e che per me era prevista una promozione per meriti straordinari. Non volevo e non potevo credere a quello che mi stava dicendo. Ma lo ripeté ancora. E ancora. E furono le ultime parole che decisi di ascoltare. Me ne andai sbattendo la porta. L’indomani mattina abbandonai per sempre il gruppo Falcone-Borsellino. E le indagini sulle stragi". È la notte tra il 4 e il 5 maggio 1993. Genchi si chiama fuori. Il 14 un’autobomba esplode a Roma, in via Fauro. L’attentato pare diretto al giornalista Maurizio Costanzo, che ci stava passando, ma che al momento dello scoppio era ancora fuori bersaglio. Sulla stessa via, a una manciata di metri, c’è parcheggiata la Y10 di Lorenzo Narracci, vice di Contrada al Sisde, che abita lì. C’è chi si chiede se il vero obiettivo fosse lui. La strategia della tensione si sposta poi a nord. Il 27 tocca a Firenze, via dei Georgofili, agli Uffizi: cinque morti e trentasette feriti.Il giorno dopo, Pietro Scotto viene arrestato. L’11 luglio, il ministro dell’Interno Nicola Mancino promuove La Barbera dirigente superiore e col grado di questore lo assegna alla direzione centrale della polizia criminale di Roma. L’anno successivo diventerà il nuovo questore di Palermo. La storia, purtroppo, era già scritta. Mancava un finale degno della trama e ora pare che ci siamo molto vicini. Tratto da: temi.repubblica.it/micromega-online FONTE: http://www.antimafiaduemila.com/content/view/28866/48/ |
venerdì 11 giugno 2010
Stragi, servizi e depistaggi: così Genchi aveva anticipato i sospetti su La Barbera
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