Il Parco della Pace è realtà: in settimana, infatti, una riunione interministeriale ha deciso la demilitarizzazione e la sdemanializzazione dell’area che ancora non è stata devastata dal cantiere militare statunitense.
E’ una vittoria della città; un segno tangibile che è possibile porre un limite alla voracità statunitense; una vittoria dei 150 alberelli che, nel settembre 2007, furono messi a dimora proprio lì, a presidiare un terreno sul quale gli appetiti militari statunitensi avrebbero voluto stendere il filo spinato. E la tenacia di quegli alberelli – che, nonostante siano stati di fatto privati di ogni cura, sono fioriti anche quest’anno – è la metafora che meglio rappresenta la volontà della città, espressasi in mille manifestazioni e nelle urne della consultazione popolare.
Una volontà della quale l’amministrazione comunale aveva dichiarato di volersi far carico; in questo senso le dichiarazioni della prima ora – che dipingono il Parco della Pace come il punto di partenza della “riconciliazione della città” - suonano un po’ stonate. Non solo perché i cittadini avevano espresso la volontà di trasformare l’intera area in parco urbano (e non soltanto lo spicchio, seppur grande, risparmiato dal cantiere statunitense) e, dunque, di riconciliazione si potrà parlare soltanto quando questo sarà avvenuto; ma soprattutto perché risulta difficile comprendere come il cantiere statunitense possa conciliarsi con la falda sottostante – devastata, come hanno dimostrato geologi e idrogeologi, da cinque mila pali che hanno trasformato il terreno in un enorme scolapasta – e con il diritto dei cittadini di governare il proprio territorio e avere garantita sicurezza ambientale e salute.
Piuttosto, la sdemanializzazione di quel territorio non può che rappresentare un primo importante passo; i successivi sono il ritiro delle concessioni di volo a Esperia e l’avvio immediato di rigorosi studi scientifici su quanto sta avvenendo nel sottosuolo del Dal Molin, dove la terra custodisce la nostra più importante risorsa: l’acqua. Del resto, è evidente l’incompatibilità di un parco con il decollo e l’atterraggio di elicotteri, mentre l’iniquità e la falsità dei dati portati sul tavolo del sindaco Variati per rassicurare la città sullo stato della falda sono state palesate in modo scientifico e indiscutibile.
Infine, è evidente che quel parco non potrà che essere realizzato attraverso un grande processo di partecipazione popolare. Esso, infatti, nasce nella mobilitazione di migliaia di vicentini contro l’imposizione e l’arroganza di quanti pensano di poter decidere per tutti; e, dunque, dovrà essere realizzato a partire dai bisogni, dalle professionalità, dalla partecipazione delle donne e degli uomini che questa città la abitano. E dovrà essere, non solo di nome, ma anche di fatto, il Parco della Pace, ovvero uno spazio che si contrappone a quanto sta al di là dei muri che ne segneranno il confine ovest.
Il 12 luglio con Marco Paolini, intanto, resta confermato; sarà la festa di quanti, a Vicenza, hanno contribuito a costruire le premesse perché quel territorio fosse sottratto alle mani degli statunitensi, che nelle loro cartografie già l’avevano recintato con il proprio filo spinato. E sarà, soprattutto, un momento di mobilitazione per difendere ciò che di più importante ci offre la nostra terra: un’immensa riserva di acqua potabile che il cantiere statunitense, con i suoi 5 mila pali e le sostanze inquinanti che produce e produrrà, sta mettendo a rischio.
FONTE:
http://www.nodalmolin.it/
Una volontà della quale l’amministrazione comunale aveva dichiarato di volersi far carico; in questo senso le dichiarazioni della prima ora – che dipingono il Parco della Pace come il punto di partenza della “riconciliazione della città” - suonano un po’ stonate. Non solo perché i cittadini avevano espresso la volontà di trasformare l’intera area in parco urbano (e non soltanto lo spicchio, seppur grande, risparmiato dal cantiere statunitense) e, dunque, di riconciliazione si potrà parlare soltanto quando questo sarà avvenuto; ma soprattutto perché risulta difficile comprendere come il cantiere statunitense possa conciliarsi con la falda sottostante – devastata, come hanno dimostrato geologi e idrogeologi, da cinque mila pali che hanno trasformato il terreno in un enorme scolapasta – e con il diritto dei cittadini di governare il proprio territorio e avere garantita sicurezza ambientale e salute.
Piuttosto, la sdemanializzazione di quel territorio non può che rappresentare un primo importante passo; i successivi sono il ritiro delle concessioni di volo a Esperia e l’avvio immediato di rigorosi studi scientifici su quanto sta avvenendo nel sottosuolo del Dal Molin, dove la terra custodisce la nostra più importante risorsa: l’acqua. Del resto, è evidente l’incompatibilità di un parco con il decollo e l’atterraggio di elicotteri, mentre l’iniquità e la falsità dei dati portati sul tavolo del sindaco Variati per rassicurare la città sullo stato della falda sono state palesate in modo scientifico e indiscutibile.
Infine, è evidente che quel parco non potrà che essere realizzato attraverso un grande processo di partecipazione popolare. Esso, infatti, nasce nella mobilitazione di migliaia di vicentini contro l’imposizione e l’arroganza di quanti pensano di poter decidere per tutti; e, dunque, dovrà essere realizzato a partire dai bisogni, dalle professionalità, dalla partecipazione delle donne e degli uomini che questa città la abitano. E dovrà essere, non solo di nome, ma anche di fatto, il Parco della Pace, ovvero uno spazio che si contrappone a quanto sta al di là dei muri che ne segneranno il confine ovest.
Il 12 luglio con Marco Paolini, intanto, resta confermato; sarà la festa di quanti, a Vicenza, hanno contribuito a costruire le premesse perché quel territorio fosse sottratto alle mani degli statunitensi, che nelle loro cartografie già l’avevano recintato con il proprio filo spinato. E sarà, soprattutto, un momento di mobilitazione per difendere ciò che di più importante ci offre la nostra terra: un’immensa riserva di acqua potabile che il cantiere statunitense, con i suoi 5 mila pali e le sostanze inquinanti che produce e produrrà, sta mettendo a rischio.
FONTE:
http://www.nodalmolin.it/
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