sabato 19 giugno 2010

Addio José.

Ascolta il post Listen to this Page. Powered by Tingwo.co

Addio José, gra zie per tutte le parole che mi hai ded i cato. Dan nata morte che non ci farà più par lare assieme davanti ad una menta, nella tua isola. Che la terra ti sia lieve, che quest’ultimo viag gio sia dolce. Le tue parole con tin uer anno a for mare libere anime.
Roberto Saviano.

Il mio mae stro José

di ROBERTO SAVIANO
Di tutte le cose che poteva fare Josè Sara m ago morire è quella più inaspet­tata. Se conoscevi Josè pro prio non lo met tevi in conto. Sì, certo tutti muoiono, anche gli scrittori.
Ma lui non ti dava pro prio alcuna impres sione di essersi stan cato di vivere, res pi rare, man giare, amare. Si era con sumato negli ultimi anni, tra la carne e le ossa sem brava esserci sem pre meno spes sore, la sua pelle sem brava un sot tile man tello che rico priva il tes chio. Ma diceva: “Potessi decidere, io non me ne andrei mai”.
Par lare della morte di qual cuno cui si è voluto bene, molto bene, rischia di essere solo un eser cizio retorico, una procla mazione di memo ria e virtù del defunto.  L’unico modo che si ha per man ten ersi sin ceri, è quello di tentare di descri vere lo spazio di vita in più che ti ha dato chi ha finito di res pi rare. Questo vale la pena fare. Vedere quanto ti è stato som mato alla tua vita, ciò che ti è rimasto den tro, che rius ci rai a pas sare a chi incon tr­erai, e questo sì, ha il sapore della vita eterna. In fondo molto non è andato via, se molto sei rius cito a trattenere.
Avevo conosci uto Sara m ago per la prima volta come tutti, leggen dolo. Il Van gelo sec ondo Gesù era il suo libro che mi aveva cam bi ato, trasfor­mando il modo di sen tire le cose. Quel Gesù uomo, che sbaglia, ama, arranca, cerca di essere felice, mi era sem brato essere un per son ag gio del tutto nuovo nella sto ria della let ter atura. Era una sin tesi dei van geli apocrifi, dei van geli uffi ciali, dei rac conti pagani e delle leggende mate ri al­iste sul Cristo social ista. Era il Gesù dell’amore car nale verso Maria Mad­dalena. Su questo Sara m ago ha scritto parole incan tevoli come solo il Can­tico dei Can tici era rius cito a creare: “Guarderò la tua ombra se non vuoi che guardi te, gli disse, e lui rispose “Voglio essere ovunque sia la mia ombra, se là saranno i tuoi occhi””.
E’ un Gesù umano che non vuole morire: è il con trario della san tità, è uomo con i suoi errori, pec cati, tal enti e con il suo cor ag gio. Sem bra dire al let tore che basta esser fedeli a se stessi per conoscere la vita e non diventare dei servi, o degli schi avi. “Allora Gesù capì di essere stato por­tato all’inganno come si con duce l’agnello al sac ri fi cio, che la sua vita era des ti nata a questa morte, fin dal prin ci pio e, ripen sando al fiume di sangue e di sof ferenza che sarebbe nato spar gen dosi per tutta la terra, esclamò riv olto al cielo dove Dio sor rideva, Uomini, per do natelo, per ché non sa quello che ha fatto”. Pro prio così: il Gesù di Sara m ago riv ol gen dosi all’uomo chiede di per donare Dio, rib al tando la ver sione evan gel ica del “Padre per dona loro”.
E poi ho letto Cecità, altro suo romanzo che ho amato molto e che spesso mi torna in mente. In una frase. Pro nun ci ata da lui per rispon dere a me che male divo certe scelte che mi ave vano rov inato la vita. “Arriva sem pre un momento in cui non puoi fare altro che rischiare”. E la parola di Sara m­ago era sem pre una parola ris chiosa, non cer cava mai di farsi comoda.
Sog navo di trasferirmi da lui, come mi aveva con sigliato, espri men domi sol i da ri età nei giorni più dif fi cili. Non lo dimen ticherò mai. E non dimen­ticherò mai l’imbarazzo estremo in cui mi trovai quando mi definì “mae­stro di vita”. Io che da lui cer cavo con tin u a mente indi cazioni, espe rienza, per gal leg giare in un oceano di dif fi coltà, bile, rab bia, ostil ità. Lui era un mae stro che inseg nava per farsi a sua volta inseg nare. A Stoc colma disse che nella sua vita le per sone più sagge che avesse mai conosci uto erano i suoi nonni. Entrambi anal fa beti. La loro saggezza era stata costretta a rin­un ciare per povertà al libro, alla musica, ai teatri, ai dip inti, ma che era rius cita a conoscere la vita, a sen tirne con gen erosità quello che José chia­mava sus surro. “Tutte le cose, le ani mate e le inan i mate, stanno sus sur­rando mis te riose rivelazioni”.
Una volta scam bian doci alcune rif les sioni sullo stile, citai Albert Camus con vinto che “lo scrit tore che decide di scri vere chiaro vuole let tori, lo scrit tore che scrive oscuro vuole invece inter preti”. E la risposta fu: “ecco cos’hanno di sim patico le parole sem plici, non sanno ingannare”. Trovare parole sem plici è il mestiere più com pli cato che sceglie di fare uno scrit­tore. Avevi ragione, José: “il viag gio non finisce, solo i viag gia tori finis­cono”. E ora tocca a noi qui. Con tin uer emo a cam minare con le tue parole a indi carci la strada senza fine.
©2010 Roberto Saviano/ Agen zia San tachiara
FONTE:

0 commenti:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...