Tra Scilla e Cariddi il miracolo di una rivisitazione della biblica sfida tra il piccolo Davide e il gigante Golia. Uno scontro impari, da una parte gli instancabili attivisti No Ponte che finanziano cortei e sit-in con adesivi e magliette di cotone, dall’altra i potenti fautori della realizzazione della Madre delle Grandi Opere, il Ponte sullo Stretto, faraonico e irrealizzabile progetto strapagato con ingenti risorse pubbliche.
Nonostante l’infernale macchina propagandistica dei Signori del capitalismo straccione di Casa nostra, i No Ponte resistono, mordono, mobilitano, colpiscono. Così, a fine agosto, tra le stradine di Torre Faro, il villaggio dove dovrebbe sorgere il pilone “siciliano” del Ponte, hanno sfilato più di tremila persone per difendere il territorio dall’ennesimo inusitato saccheggio.
Un corteo colorato, allegro, propositivo e ottimista, qualità ormai rare in un’Italia sempre più povera e disarticolata dal neoliberismo e dall’autoritarismo piduista e berlusconista. Un’iniziativa che è punto di arrivo della mobilitazione estiva fatta d’incontri, dibattiti, mostre itineranti, pubblicazioni e presentazioni di libri e documenti, il frutto di una maturazione collettiva dove alla mera presa di posizione ambientalista in nome della difesa museale della bellezza dello Stretto, si è passati alle denunce dei devastanti effetti socio-economici e occupazionali e delle innumerevoli caratteristiche criminali e criminogene dell’opera di collegamento stabile Calabria-Sicilia.
Al miracolo resistenziale dei No Ponte hanno certamente contribuito alcune scelte fortemente autolesioniste dei Padrini del Ponte e del general contractor chiamato alla progettazione definitiva e realizzazione dell’infrastruttura. Inspiegabilmente c’è chi ha pensato in piena estate a riempire di trivelle le strade più percorse dal flusso dei bagnanti messinesi, contribuendo pesantemente all’esplosione degli ingorghi automobilistici.
Servirebbero per studiare la crosta terrestre nei luoghi dove versare fiumi di asfalto e cemento per gli ottovolanti che s’intersecheranno con il Ponte, ma intanto disperdono nubi di azoto liquido e fanno tremare gli edifici e le villette degli abitanti del Faro. Poi, con la delirante arroganza di chi si crede onnipotente, si è pensato bene di dismettere l’edificio del Polo scientifico universitario di Messina, creato per incubare e sostenere una quarantine di imprese di giovani neolaureati, ed offrirlo in affitto ad Eurolink, l’associazione delle imprese costruttrici del Ponte, quale general office per l’intera operazione Ponte.
Un cambio d’uso del tutto illegale ed illegittimo, che grazie alle denunce della Rete No Ponte e di pochissime mosche bianche dell’Ateneo è stato sino ad oggi congelato. Trivelle e incubatore hanno profondamente indignato l’opinione pubblica che ha potuto prendere coscienza di ciò che potrebbe accadere in termini di diritti, democrazia e vivibilità, quando i lavori, quelli veri, inizieranno.
Il 2 ottobre, primo anniversario della tragedia che ha duramente colpito i villaggi della zona sud di Messina e il comune di Scaletta, i nopontisti torneranno in piazza per una manifestazione che assumerà il carattere nazionale e richiederà con forza l’utilizzo delle risorse finanziarie destinate al Ponte per la messa in sicurezza dei territori, quelli sempre più feriti dall’abusivismo o dai piani urbanistici che rispondono agli interessi della borghesia mafiosa.
Un appuntamento che vede gli organizzatori consapevoli dei tanti i nodi e delle difficoltà da dovere affrontare, a partire dalla necessità di rilanciare il senso di appartenenza di attivisti, simpatizzanti e interlocutori che si oppongono al Ponte ad un progetto di profondo rinnovamento delle forme e dei linguaggi del far politica. O dal bisogno di rafforzare l’impegno militante dei singoli e l’organizzazione del movimento, attraverso la piena affermazione dell’adesione individuale, ed eventualmente, se sarà decisivo collegialmente, con una rifondazione della Rete No Ponte e dei suo network.
La positiva esperienza del neo-costituito Comitato No Ponte di Capo Peloro, il primo gruppo auto-associatosi su base locale, è una spinta verso la moltiplicazione di esperienze simili nelle realtà che più direttamente e negativamente saranno investite dall’avvio dei lavori, i numerosi villaggi della Riviera Nord di Messina o i comuni della fascia tirrenica della provincia tra Villafranca e Milazzo dove verranno insediati cantieri remoti, cave e discariche per oltre 8 milioni di metri cubi d’inerti.
C’è poi da superare l’empasse e le difficoltà di ordine organizzativo che hanno caratterizzato la vita recente del movimento No Ponte della sponda calabrese, specie adesso che si è fatta ancora più violenta la controffensiva della ‘ndrangheta contro le istituzioni e la magistratura, in nome della piena signoria criminale sul territorio e sulla realizzazione e gestione delle grandi opere e dei servizi in Calabria.
Il progressivo innalzamento del livello del conflitto contro i Signori e i Padrini del Ponte e la oramai scontata militarizzazione dei cantieri che sarà imposta dal Governo, pone il Movimento di fronte all’esigenza di ripensare le forme di lotta ed opposizione. L’azione diretta non violenta, la disobbedienza civile, i boicottaggi, il disinvestimento da banche e gruppi finanziari che si arricchiscono dilapidando risorse pubbliche e sostengono gli scempi ambientali, possono essere strumenti proficui e determinanti per la nuova stagione di mobilitazione.
Andranno profondamente ricercati e potenziati i legami e le alleanze con i soggetti che in Italia testimoniano e mettono in pratica l’antagonismo ai poteri dominanti, dai movimenti No TAV in Val Susa e nell’appennino tosco-emiliano, ai No Dal Molin e ai comitati che si oppongono alla proliferazioni delle basi di guerra, ai protagonisti delle campagne contro inceneritori, centrali nucleari, a carbone e turbo-bas, ai gruppi in lotta contro la privatizzazione dell’acqua e delle risorse naturali, alle organizzazioni sindacali di base in lotta contro la progressiva precarizzazione del lavoro e dei diritti nelle fabbriche, nelle scuole, nelle università.
In particolare, nel Mezzogiorno, la lotta al Ponte, per il suo valore simbolico di “Madre di tutte le Grandi Nefandezze”, può essere assunto come uno degli elementi prioritari e unificanti per rilanciare la mobilitazione dal basso.
Il “No al Ponte” dovrà pure avere la capacità di porre alcuni punti all’ordine del giorno del dibattito politico nazionale. La “messa in sicurezza dei territori” è quello immediato e improcrastinabile, ed è questo il senso dell’appuntamento del prossimo 2 ottobre, congiuntamente al rilancio dell’attraversamento marittimo pubblico e dell’occupazione nel corridoio Messina-Villa San Giovanni.
Si dovrà rispondere con determinazione agli innumerevoli progetti che amministratori e gruppi d’ingegneri stanno spacciando come “opere compensative e complementari” per la realizzazione del Ponte. Si tratta quasi sempre di infrastrutture inutili, negativamente impattanti quanto l’opera madre e soprattutto inutilmente costose. Una mercificazione e monetizzazione del “rischio-dramma Ponte” inaccettabile. Solo nel versante messinese, sono già stati chiesti finanziamenti pubblici per 219 milioni di euro, una spesa insostenibile in una città priva di servizi sociali e spazi verdi pubblici.
C’è pure l’esigenza di rilanciare la campagna per lo scioglimento immediato della Società Stretto diMessina Spa, concessionaria statale per la grande opera, previa un’inchiesta inter-istituzionale che la inchiodi per lo sperpero di 1.000 miliardi di vecchie lire nei vent’anni della sua vita caratterizzata da compensi a funzionari e professionisti e dalla pubblicazione di colossali faldoni di carta straccia. O l’obiettivo di far istituire all’interno della Commissione parlamentare antimafia, un Comitato d’inchiesta sulle trame ordite dalle organizzazioni mafiose transnazionali e locali in vista del finanziamento diretto e dell’accaparramento di buona parte delle attività legate alla progettazione ed esecuzione del Ponte.
Tra gli impalcati di acciaio e cemento che si vorrebbero innalzare nello Stretto di Messina, sono troppe e inquietanti le diaboliche alleanze tessute da mafiosi, ‘ndranghetisti, massoni, trafficanti di droga ed armi, eversori di estrema destra e apparati più o meno segreti dello Stato.
Il tributo pagato dalle moltitudini più povere e marginali è stato enorme, ne ha minato il diritto alla sopravvivenza e alla dignità. Ha forzato separazioni drammatiche e migrazioni. Le famiglie e i ceti politici ed economici dominanti, pochi e sempre gli stessi, sono chiamati oggi a dare conto del loro operato di sopraffazione e reale soffocamento di qualsivoglia ipotesi di sviluppo autocentrato.
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