Un «centro di potere con i calabresi a fare la spina dorsale del Popolo della Libertà».È il 9 giugno del 2009 e questa frase compare tra le intercettazioni utilizzate nell'operazione “Infinito” sulle infiltrazioni 'ndranghetiste al Nord. A pronunciarla è Carlo Antonio Chiriaco, ex direttore dell'Asl di Pavia e uomo dei clan nella sanità lombarda, auto-definitosi in un interrogatorio “malato di 'ndrangheta”, arrestato per associazione mafiosa e corruzione elettorale nell'ambito della maxi-operazione “Crimine” che ha portato dietro le sbarre ben 300 esponenti delle principali cosche calabresi (“proiezioni” extraregionali annesse).
Sarà una pura coincidenza, ma quel “centro di potere” si realizza nelle elezioni comunali del giugno 2009, dove la componente calabrese ha di fatto egemonizzato il voto: a partire da Cristina Niutta (prima eletta con 594 preferenze) per arrivare a Luigi Greco (344) passando per l'indagato Pietro Trivi (434). Determinante però, è proprio il ruolo di Chiriaco. Oltre ad essere procacciatore di voti, infatti, il suo compito consisteva nel trasferimento nel business legale gli introiti derivanti da narcotraffico, traffico d'armi, usura e gestione illegale dei rifiuti:
Ma le mani sul business non sono solo quelle mafiose.
7 sorelle (più una)
Prima ci fu il petrolio, poi il calcio, poi – nell'ultima decade – la sanità.
Sembra essere diventato questo il nuovo “passatempo” dei salotti che contano italiani. Tutto ruota attorno al sistema – legale – degli “accreditamenti”, sistema che – a partire dal riordino del Sistema Sanitario Nazionale (DL 502/1992 e DL 517/1993) voluto dall'allora Ministro De Lorenzo – ha letteralmente aperto nuove frontiere nel “business della salute”, trasformando gli ospedali e le Unità Sanitarie Locali (le vecchie Usl) in aziende che rispondono sempre più a logiche di mercato che non alle logiche derivanti dall'articolo 32 della nostra carta costituzionale. È comunque “solo” dal 1997 (Dpr n°4 del 14 gennaio 1997) che tale trasformazione trova applicazione. Ma in cosa consiste l'accreditamento?
Come definisce la Regione Emilia-Romagna, per accreditamento (istituzionale) è da intendersi
Stando alla regola, l'ente di controllo sull'effettivo raggiungimento di tali parametri dovrebbero essere le Aziende Sanitarie Locali, ma sempre più spesso tutto viene dato in mano ai magistrati, che non sempre – per non dire quasi mai – hanno le competenze necessarie per giudicare. È anche in base a tale errore che si è sviluppata e si sta sviluppando una vera e propria “zona grigia” dove in molti casi gli accrediti equivalgono a delle vere e proprie truffe: interventi completamente inutili da un punto di vista sanitario ma convenienti dal punto di vista economico (come nel caso della Clinica Santa Rita di Milano del 2008) nonché la registrazione di prestazioni più care di quelle effettivamente erogate quelle più diffuse.
La gallina dalle uova d'oro, comunque, i privati l'hanno trovato nei c.d. “Drg”, acronimo di Diagnosis Related Group, sistema che trasforma i pazienti con le loro storie (cliniche) personali in nient'altro che numeri che il privato-accreditato incasella in uno degli oltre cinquecento Drg previsti dal Ministero della Sanità necessari ai rimborsi provenienti dal Servizio Sanitario Nazionale. Le tariffe sono invece decise esclusivamente dalle Regioni e spesso non hanno alcuna omogeneità. La logica che c'è dietro ai Drg è la stessa che – in termini aziendali – c'è dietro alla gestione di un magazzino: prima del 1994 – anno di introduzione in Italia del sistema dei Drg – il privato traeva maggior vantaggio economico dall'allungare il tempo di degenza dei pazienti, dunque più lunga era la permanenza dei pazienti nelle strutture più alto era il profitto. Oggi assistiamo alla situazione diametralmente opposta: portare il livello delle degenze vicino allo zero massimizzando i casi trattati.
Su questa attività si stanno buttando un po' tutti: “grandi vecchi” dell'imprenditoria italiana e “giovani rampolli” in cerca di fama e notorietà (e, naturalmente, denaro). Su tutti svettano la Cir (Compagnie Industriali Riunite) di Carlo De Benedetti e la Techint-Compagnie Tecnica Internazionale S.p.A di Gianfelice Rocca.
La Cir detiene il 67% della Holding sanità e servizi – divenuta KOS nel dicembre 2009 – partecipata tra le altre anche dalla banca d'affari americana Morgan Stanley dispone di circa 5.000 posti letto concentrati prevalentemente in Lombardia, Piemonte e Liguria. La Techint – attiva nel settore già dagli anni Novanta – vede il fulcro della sua struttura nell'Istituto clinico Humanitas di Rozzano (nell'hinterland milanese), un Irccs presente in Lombardia, Piemonte e Sicilia al quale fanno capo circa un migliaio di posti letto.
Forte peraltro, sia per De Benedetti che per Rocca, è l'interesse per l'informazione: se è notorio, infatti,il rapporto De Benedetti-gruppo L'Espresso, forse meno nota è la presenza di Rocca nel Consiglio di Amministrazione del gruppo Rcs. Come un altro dei soggetti che si muovono sul doppio binario sanità-editoria (tanto da detenere il 10% del gruppo Rcs-Corriere della Sera) è Giuseppe Rotelli, 68enne avvocato pavese considerato il vero sovrano dei posti letto.
La Papiniano Spa – società bolognese di cui Rotelli è amministratore unico – controlla il Gruppo ospedaliero San Donato, una corazzata composta da ben 18 strutture tra cui l'omonimo Policlinico. Nel 2007 il gruppo ha fatturato circa 725 milioni di euro. Un anno dopo Rotelli viene accusato dalla Procura di Milano per aver chiesto rimborsi gonfiati al Sistema Sanitario Nazionale.
Un altro “big player” nel settore è la Chiesa, la cui “fetta” del business è difficilmente quantificabile, tante sono le fondazioni, gli ordini, le diocesi e gli enti più o meno “organici” al Vaticano.
Tra i più noti, naturalmente, c'è la Fondazione San Raffaele del Monte Tabor del prete-manager (più il secondo che il primo, per usare le parole di Paolo VI), di cui ci siamo occupati nella “puntata” pugliese visti gli stretti rapporti tra Don Verzè e l'attuale Goveratore della Regione Puglia Nichi Vendola.
E poi c'è Comunione e Liberazione...Cos'è Comunione e Liberazione? Principalmente due cose: un movimento ecclesiale il cui scopo – come si legge sul sito “clonline.org” - è «l'educazione cristiana matura dei propri aderenti e la collaborazione alla missione della Chiesa in tutti gli ambiti della società contemporanea», scopo per cui viene fondata da Don Luigi Giussani nel 1954 con il nome di Gioventù Studentesca (“Comunione e Liberazione” lo diventerà solo a partire dal 1969) all'interno del Liceo classico “Berchet” di Milano dove insegnava.
Dall'altro lato, però, Cl è anche – o forse soprattutto, a voler dare credito a più di una voce – un potentato molto influente sia nel dibattito politico che in quello economico, nel quale può contare su una vera e propria “corazzata” composta da una miriade di aziende più o meno grandi ed un numero praticamente infinito di associazioni no-profit il cui scopo – dichiarato – è quello di portare avanti azioni caritatevoli verso i più bisognosi.
Il suo quartier generale – come è noto – è la Lombardia. Uomo di punta il discusso Roberto Formigoni, dal 1995 Governatore della Regione.
«Nemmeno la mafia a Palermo ha tanto potere» - scriveva tempo fa Eugenio Scalfari - «Negli ospedali, nell'assistenza, nelle università, tutto è diretto da quattro-cinque persone».
Finanza, politica, sanità. Dal Vaticano a Confindustria passando per il Governo (Silvio Berlusconi fu, nel 1978, uno dei più importanti finanziatori de “Il Sabato”, settimanale “vicino” a Cl le cui prime riunioni redazionali si tenevano nella villa di proprietà del premier in via Rovani, civico numero 2) fino ad arrivare a coop rosse e loro espressioni politico-partitiche, Comunione e Liberazione ha “amicizie” in ogni angolo della vita politica ed economica del Paese.
Quando non direttamente come “Comunione e Liberazione”, il movimento agisce grazie alla Compagnia delle Opere, associazione di imprenditori con 41 sedi in Italia e presente in altri 17 paesi (Argentina, Brasile, Bulgaria, Cile, Colombia, Spagna, Francia, Ungheria, Israele, Kenya, Paraguay, Portogallo, Perù, Polonia, San Marino, Svizzera e Venezuela) composta da circa 35.000 aziende e circa un migliaio di associazioni no-profit, per un fatturato complessivo – stimato - di oltre 70 miliardi di euro all'anno. Nella sola Milano sono oltre 6.000 le aziende riconducibili alla CdO. Vice-presidente è Massimo Ferlini, ex assessore ai lavori pubblici “rosso” del Comune di Milano dal 1988 al 1991 ed ex imputato di Mani Pulite.
Ma torniamo alle “entrature” nel mondo politico.
Dal già citato premier passando per Pierluigi Bersani – ospite fisso al Meeting di Rimini – e al sindaco di Firenze Matteo Renzi fino ad arrivare al Governatore della Regione Puglia Nichi Vendola, amico anche del prete-affarista Luigi Verzé, le cui “Fabbriche” prendono più di uno spunto proprio dall'annuale Meeting, all'ex radicale Rutelli fino a Pierferdinando Casini, le amicizie cielline coprono per intero l'arco parlamentare e non disdegnano neanche le forze “extraparlamentari”. D'altronde una battuta che circola tra le alte gerarchie vaticane dà il senso – ed il peso – dell'operato di Cl: «L'obiettivo di Comunione e Liberazione? Il prossimo Papa ed il prossimo premier».
Con le c.d. coop rosse – i cui interessi spaziano dalla Tav in Val di Susa al Ponte sullo Stretto di Messina passando per gli inceneritori – gli affari vanno a gonfie vele fin dal 1997, anno in cui insieme creano “Obiettivo Lavoro”, all'epoca la più grande agenzia per quanto concerne il lavoro “in affitto” o grazie alla Fondazione Abitare la città – che si occupa di housing sociale a Milano – costituita sia da cooperative aderenti a Legacoop che da associazioni che orbitano intorno alla Compagnia delle Opere.
In tutto questo, naturalmente, non viene dimenticata la Lega.
Le cose sono profondamente cambiate da quando – correva l'anno 1996 – Umberto Bossi etichettava come «sporcaccioni» gli appartenenti a Cl (d'altronde, sono cambiate anche da quando definiva Berlusconi “mafioso”...). Fin dagli anni Novanta infatti sono iniziate le manovre di avvicinamento tra i due movimenti, per un matrimonio d'intenti nel quale il movimento che fu di Don Giussani vedeva la Lega come la più credibile proposta post-berlusconiana, mentre il movimento delle camicie verdi – che mai ha fatto mistero di voler raccogliere l'eredità della Democrazia Cristiana – sa di non poter prescindere dal voto cattolico, nel quale Cl continua ad avere una importante voce in capitolo.
Ma non tutti, nella Lega, vedono l'amicizia di buon occhio.
L'uomo che osò dire no a Formigoni (e Bossi...)
Alessandro Cè – transitato anche dall'Italia dei Valori – dal giugno 2001 al giugno 2005 è stato capogruppo alla Camera dei Deputati per la Lega Nord. Nell'aprile 2005 viene eletto consigliere regionale in Lombardia, diventando assessore alla Sanità della giunta Formigoni. E qui iniziano i problemi.
Le prime “grane” Cè le aveva già avute quando era deputato: «Bossi, ad un certo punto della mia esperienza di capogruppo della Lega alla Camera» - racconta in un'intervista contenuta nel libro di Ferruccio Pinotti “La lobby di Dio” - «mi dice: “Guarda, tu purtroppo, per il carattere che hai, non accetti compromessi, niente, non puoi stare a Roma, non riesco più a gestirti lì, perché con Berlusconi mi crei dei problemi enormi”».
Proprio per questo viene dirottato alla Regione Lombardia, dove i “danni” che riesce a fare sono addirittura maggiori.
Alessandro Cè, infatti, di professione fa il medico e non il politico – proprio la trasformazione in “partito di Palazzo, autoreferenziale, che fa solo gli interessi dei poteri forti” è stato il motivo principale che lo ha portato ad abbandonare la Lega nel 2007 – e certe manovre non riesce proprio ad accettarle, come quella per la trasformazione in fondazione del 118 (con il conseguente ingresso nella proprietà della Fondazione Cariplo, che portano l'assessore alle dimissioni).
Un'altra delle “galline dalle uova d'oro” per i privati sta nel passaggio dal pubblico al privato, attraverso la trasformazione degli ospedali in fondazioni. È sempre Alessandro Cè a spiegarne il meccanismo:
Giro di assunzioni (con licenziamento)
Enrico De Alessandri è stato direttore del Centro Regionale Emoderivati ed attualmente lavora all'assessorato alla Sanità della Regione Lombardia. Il 19 novembre del 2009 viene sollevato dall'incarico – con tanto di sospensione di un mese – per aver denigrato l'ente per il quale lavorava. Esiste infatti una legge secondo la quale (tradotto dal burocratese) un dipendente, in particolare se dipendente della Pubblica Amministrazione, ha l'obbligo di non criticare l'ente – o comunque l'azienda – per il/la quale lavora. Si chiama “violazione del dovere di fedeltà” ed è regolato dall'art. 2105 del Codice Civile:
De Alessandri fa molto di più: prima apre un blog (www.teopol.it), poi scrive addirittura un libro (“Comunione e Liberazione: assalto al potere in Lombardia”) nel quale denuncia l'occupazione di tutti i centri di potere della Regione da parte di esponenti del movimento ciellino. Per questo viene sanzionato.
Tralasciando i risvolti criminogeni di un provvedimento simile, c'è una domanda sulla quale bisogna porre l'attenzione: chi è il datore di lavoro di De Alessandri, la Regione Lombardia o Comunione e Liberazione?
Secondo il Tribunale di Milano che il 20 gennaio scorso si è espresso sulla sentenza la risposta esatta è la prima, dunque criticare Comunione e Liberazione non significa criticare la Regione (dunque il datore di lavoro di De Alessandri...), tanto che Formigoni ha dovuto annullare il mese di sospensione, pagare lo stipendio arretrato e le spese processuali.
Siamo, peraltro, nel classico caso “all'italiana” in cui l'accusato diventa accusatore: la firma sul provvedimento di sospensione di De Alessandri, infatti, appartiene a Michele Camisasca, nipote di Massimo Camisasca – sacerdote ed esponente di spicco del movimento - uno dei 32 dirigenti illegittimamente assunti dalla Regione (tanto da vedersi il bando di concorso annullato dal T.A.R.).
Ma è davvero così? Esiste davvero questa occupazione?
L'assalto all'accreditamento
La sanità, lo abbiamo visto, sta sempre più diventando il fulcro della politica regionale, ed averne il controllo significa disporre di un potere enorme, dal punto di vista economico e, soprattutto, da quello politico. Ed è per questo – come abbiamo visto lungo tutte le quattro puntate dell'inchiesta – che ogni governo regionale tenta una vera e propria colonizzazione. In Lombardia si va dal Direttore generale dell'assessorato Carlo Lucchina, considerato da molti il vero deus ex machina della sanità lombarda ad un esercito di direttori generali: Luigi Corradini (Fatebenefratelli); Pasquale Cannatelli (Niguarda); Giuseppe Catarisano (San Paolo); Francesco Beretta (Istituti clinici di perfezionamento); Ambrogio Bertoglio (Ospedale di Lecco); Maurizio Amigoni (Ospedale civile di Vimercate); Luca Filippo Maria Stucchi (Azienda Ospedaliera Carlo Poma di Mantova). In tutto, ben un quarto dei direttori generali sono legati al movimento ciellino (12 su 48).
Ma non è solo con i direttori generali che Cl ha messo le mani sul business.
Dal luglio 1996, infatti, è partito l'assalto al potere (sanitario) regionale: con l'equiparazione totale tra pubblico e privato – quella che in altri settori si chiamerebbe liberalizzazione del mercato – la sanità privata ha sempre più eroso il pubblico, passando dal 22% di copertura che aveva nel 1996 al 31% circa del 2008.
I posti letto – uno dei pilastri portanti del business – dal 1996 al 2003 hanno visto un'erosione nel pubblico (- 4475 unità) ed il contemporaneo aumento nel settore privato (+3456 unità) .
Questo, naturalmente, modifica anche le “abitudini” sanitarie dei cittadini-utenti, basti considerare che nell'arco di tempo 1997-2002 le prestazioni ospedaliere diminuiscono di circa 200.000 unità nel pubblico (da 1.428.693 a 1.204.583) così come le degenze ordinarie (- 145.000). Dall'altro lato, invece, le strutture pubbliche vedono aumentare le degenze ordinarie di circa 700.000 unità e quelle in day hospital passano da 33.000 a 120.000 [fonte: elaborazione Cgil Lombardia sui dati Direzione Generale Sanità Regione Lombardia]
Questa vera e propria “emigrazione” dal pubblico al privato ha interessato anche la Corte dei conti, che nella relazione del 2008 (riferita ai dati dell'anno precedente) evidenziava non solo l'evidente alterazione dell'equilibrio tra le due fattispecie, ma anche come fossero totalmente insufficienti i controlli sulla sanità accreditata.
Ciò deriva anche dal modo in cui è stata decisa la riforma del Servizio Sanitario Nazionale (1999, Ministro della Sanità era Rosy Bindi) quando si è deciso di legare a doppio filo salute e politica, dando per scontato – ingenuamente – che politici e direttori generali (che da quel momento diventano dei veri e propri manager) avrebbero utilizzato questa legge nel migliore dei modi. Invece si è arrivati alla situazione in cui da un lato le poltrone vengono occupate non per merito ma per tessera elettorale che si ha in tasca e dall'altro si è drogata la sanità mettendo al centro il privato, al quale sono stati affidati i servizi “aggiuntivi” (mensa, lavanderia, etc spesso inclusi nelle operazioni di project financing) fino al punto da lasciare nelle loro mani la formazione della “domanda sanitaria”, così da avere dei veri e propri “boom” nella richiesta – ad esempio – di interventi all'anca, aumentati del 96% tra il 1997 ed il 2002 o di pacemaker permanenti, che hanno visto nello stesso periodo un aumento del 119% o, ancora, un aumento del 33% di parti cesarei (quanti veramente utili alla partoriente?)
Se queste operazioni – considerate estremamente remunerative dal punto di vista economico, basti pensare a tutto l'indotto del “business delle protesi” - hanno visto tutte un aumento, il rovescio della medaglia è che alcuni interventi, considerati poco o per niente remunerativi, sono stati praticamente abbandonati dal privato, che infatti non troviamo in settori come quello della chirurgia pediatrica o dei grandi ustionati così come nell'urologia pediatrica o nell'oncoematologia.
chi trova un ospedale trova un tesoro
Last but not least, c'è il business del mattone. Perché, si sa, l'investimento nel mattone è un investimento sicuro. Persino la criminalità organizzata ci si è inserita per avere una fonte “pulita” di reddito.
La parola magica, dicevamo, è “project financing”: il privato si sostituisce al pubblico (quando questo non è in grado di far fronte a determinate spese) apportando denaro e logica imprenditoriale. Tutto sta, ovviamente, a saper scegliere il privato giusto.
Il sistema ciellino ha risolto in maniera drastica e definitiva questo problema: il Meeting di Rimini. È da lì che si può intuire quali saranno le imprese a cui saranno destinati gli appalti più importanti in Lombardia.
Prendiamo alcuni esempi: il Consorzio Cooperative Costruzioni vince l'appalto (12 milioni di euro) per costruire due blocchi dell'ospedale Carlo Poma di Mantova. La CCC era presente al Meeting. L'appalto per l'ospedale di Legnano viene vinto dalla Techint di Gianfelice Rocca. Anche la Techint è presente al Meeting.
Anche “l'appaltatuni”, cioè l'appalto riguardante il rifacimento dell'ospedale Niguarda è affidata ad una società “amica” del movimento: la Cmb (peraltro ex cooperativa rossa). Un appalto da un miliardo e 200 milioni di euro tra ricostruzione edile e servizi vari. Inizio lavori: 2013.
Fino a quel momento, però, il dossier sul “caso-Niguarda” rimane in mano agli ispettori del ministero dell'Economia, che denunciano gravi irregolarità nella procedura di aggiudicazione dell'appalto, consulenze d'oro e lavori affidati in appalto esterno senza una reale necessità (così da aumentarne i costi tramite duplicazioni di spesa) e via discorrendo. In totale sono circa un centinaio le violazioni contestate dagli ispettori, violazioni che hanno limitato la concorrenza così da permettere la vittoria a ditte o consulenti che gravitano nell'orbita ciellina (dalla Nec S.p.A., società pubblico-privata alla quale è stata affidata la progettazione fino a Maurizio Mauri, consulente pagato 100.000 euro appartenente ad un'associazione - “Medicina e persona” - vicina al movimento ciellino), così come sono “ciellinizzate” le due più importanti società della Regione: Infrastrutture lombarde – che gestisce i grandi appalti dell'edilizia sanitaria – presieduta da Antonio Rognoni e Finlombarda S.p.A. - la finanziaria della Regione Lombardia – al cui vertice c'è Marco Nicolai, ciellino anche lui.
«Sufficit gratia tua» (“basta la tua grazia”) è il motto del cardinale Angelo Scola, membro di Comunione e Liberazione. Evidentemente, all'interno del movimento, non tutti la pensano allo stesso modo.
Sarà una pura coincidenza, ma quel “centro di potere” si realizza nelle elezioni comunali del giugno 2009, dove la componente calabrese ha di fatto egemonizzato il voto: a partire da Cristina Niutta (prima eletta con 594 preferenze) per arrivare a Luigi Greco (344) passando per l'indagato Pietro Trivi (434). Determinante però, è proprio il ruolo di Chiriaco. Oltre ad essere procacciatore di voti, infatti, il suo compito consisteva nel trasferimento nel business legale gli introiti derivanti da narcotraffico, traffico d'armi, usura e gestione illegale dei rifiuti:
Chiriaco: «La Regione copre il 60 per cento delle spese con la quota, che è il contratto...da un minimo di 36 euro ad un massimo di 60 euro...più è grave...più la regione ti dà, come contributo...tu capisci che se hai 120 posti letto ed hai una media di 45/50 euro al giorno...fai 50 per 120...quanto...sono 7.500 euro al giorno...poi tu stabilisci che la retta deve essere di 100 euro al giorno, la differenza te la dà il privato che nella maggior parte dei casi è un pensionato, quindi la pensione...»Il comparto sanitario – lo abbiamo visto nelle precedenti “puntate” di questa inchiesta – sta sempre più diventando una delle principali voci utilizzate dalla criminalità organizzata sia come forma di riciclaggio del denaro illecito, sia come fonte di reddito “pulito”, legale.
Dieni*: «...700, 800 li ha...»
Chiriaco: «...l'altro prezzo lo integrano i familiari...e se non ha i familiari...te lo integra addirittura il comune...hai capito? Funziona così...allora, è chiaro che tu...se che l'hai contrattualizzato e hai i giusti canali»
Dieni: «...soldi sicuri...»
Ma le mani sul business non sono solo quelle mafiose.
7 sorelle (più una)
Prima ci fu il petrolio, poi il calcio, poi – nell'ultima decade – la sanità.
Sembra essere diventato questo il nuovo “passatempo” dei salotti che contano italiani. Tutto ruota attorno al sistema – legale – degli “accreditamenti”, sistema che – a partire dal riordino del Sistema Sanitario Nazionale (DL 502/1992 e DL 517/1993) voluto dall'allora Ministro De Lorenzo – ha letteralmente aperto nuove frontiere nel “business della salute”, trasformando gli ospedali e le Unità Sanitarie Locali (le vecchie Usl) in aziende che rispondono sempre più a logiche di mercato che non alle logiche derivanti dall'articolo 32 della nostra carta costituzionale. È comunque “solo” dal 1997 (Dpr n°4 del 14 gennaio 1997) che tale trasformazione trova applicazione. Ma in cosa consiste l'accreditamento?
Come definisce la Regione Emilia-Romagna, per accreditamento (istituzionale) è da intendersi
l'atto con il quale si riconosce ai soggetti già autorizzati all'esercizio di attività sanitarie lo status di potenziali erogatori di prestazioni nell'ambito e per conto del Servizio Sanitario NazionaleTutto ruota intorno a standard che – in molti casi – le regioni non hanno ancora definito in maniera precisa (o, qualora definiti, non vedono ancora attuazione, come nel caso degli accrediti della Regione Lazio provvisori dal 1992).
Stando alla regola, l'ente di controllo sull'effettivo raggiungimento di tali parametri dovrebbero essere le Aziende Sanitarie Locali, ma sempre più spesso tutto viene dato in mano ai magistrati, che non sempre – per non dire quasi mai – hanno le competenze necessarie per giudicare. È anche in base a tale errore che si è sviluppata e si sta sviluppando una vera e propria “zona grigia” dove in molti casi gli accrediti equivalgono a delle vere e proprie truffe: interventi completamente inutili da un punto di vista sanitario ma convenienti dal punto di vista economico (come nel caso della Clinica Santa Rita di Milano del 2008) nonché la registrazione di prestazioni più care di quelle effettivamente erogate quelle più diffuse.
La gallina dalle uova d'oro, comunque, i privati l'hanno trovato nei c.d. “Drg”, acronimo di Diagnosis Related Group, sistema che trasforma i pazienti con le loro storie (cliniche) personali in nient'altro che numeri che il privato-accreditato incasella in uno degli oltre cinquecento Drg previsti dal Ministero della Sanità necessari ai rimborsi provenienti dal Servizio Sanitario Nazionale. Le tariffe sono invece decise esclusivamente dalle Regioni e spesso non hanno alcuna omogeneità. La logica che c'è dietro ai Drg è la stessa che – in termini aziendali – c'è dietro alla gestione di un magazzino: prima del 1994 – anno di introduzione in Italia del sistema dei Drg – il privato traeva maggior vantaggio economico dall'allungare il tempo di degenza dei pazienti, dunque più lunga era la permanenza dei pazienti nelle strutture più alto era il profitto. Oggi assistiamo alla situazione diametralmente opposta: portare il livello delle degenze vicino allo zero massimizzando i casi trattati.
Su questa attività si stanno buttando un po' tutti: “grandi vecchi” dell'imprenditoria italiana e “giovani rampolli” in cerca di fama e notorietà (e, naturalmente, denaro). Su tutti svettano la Cir (Compagnie Industriali Riunite) di Carlo De Benedetti e la Techint-Compagnie Tecnica Internazionale S.p.A di Gianfelice Rocca.
La Cir detiene il 67% della Holding sanità e servizi – divenuta KOS nel dicembre 2009 – partecipata tra le altre anche dalla banca d'affari americana Morgan Stanley dispone di circa 5.000 posti letto concentrati prevalentemente in Lombardia, Piemonte e Liguria. La Techint – attiva nel settore già dagli anni Novanta – vede il fulcro della sua struttura nell'Istituto clinico Humanitas di Rozzano (nell'hinterland milanese), un Irccs presente in Lombardia, Piemonte e Sicilia al quale fanno capo circa un migliaio di posti letto.
Forte peraltro, sia per De Benedetti che per Rocca, è l'interesse per l'informazione: se è notorio, infatti,il rapporto De Benedetti-gruppo L'Espresso, forse meno nota è la presenza di Rocca nel Consiglio di Amministrazione del gruppo Rcs. Come un altro dei soggetti che si muovono sul doppio binario sanità-editoria (tanto da detenere il 10% del gruppo Rcs-Corriere della Sera) è Giuseppe Rotelli, 68enne avvocato pavese considerato il vero sovrano dei posti letto.
La Papiniano Spa – società bolognese di cui Rotelli è amministratore unico – controlla il Gruppo ospedaliero San Donato, una corazzata composta da ben 18 strutture tra cui l'omonimo Policlinico. Nel 2007 il gruppo ha fatturato circa 725 milioni di euro. Un anno dopo Rotelli viene accusato dalla Procura di Milano per aver chiesto rimborsi gonfiati al Sistema Sanitario Nazionale.
Un altro “big player” nel settore è la Chiesa, la cui “fetta” del business è difficilmente quantificabile, tante sono le fondazioni, gli ordini, le diocesi e gli enti più o meno “organici” al Vaticano.
Tra i più noti, naturalmente, c'è la Fondazione San Raffaele del Monte Tabor del prete-manager (più il secondo che il primo, per usare le parole di Paolo VI), di cui ci siamo occupati nella “puntata” pugliese visti gli stretti rapporti tra Don Verzè e l'attuale Goveratore della Regione Puglia Nichi Vendola.
E poi c'è Comunione e Liberazione...Cos'è Comunione e Liberazione? Principalmente due cose: un movimento ecclesiale il cui scopo – come si legge sul sito “clonline.org” - è «l'educazione cristiana matura dei propri aderenti e la collaborazione alla missione della Chiesa in tutti gli ambiti della società contemporanea», scopo per cui viene fondata da Don Luigi Giussani nel 1954 con il nome di Gioventù Studentesca (“Comunione e Liberazione” lo diventerà solo a partire dal 1969) all'interno del Liceo classico “Berchet” di Milano dove insegnava.
Dall'altro lato, però, Cl è anche – o forse soprattutto, a voler dare credito a più di una voce – un potentato molto influente sia nel dibattito politico che in quello economico, nel quale può contare su una vera e propria “corazzata” composta da una miriade di aziende più o meno grandi ed un numero praticamente infinito di associazioni no-profit il cui scopo – dichiarato – è quello di portare avanti azioni caritatevoli verso i più bisognosi.
Il suo quartier generale – come è noto – è la Lombardia. Uomo di punta il discusso Roberto Formigoni, dal 1995 Governatore della Regione.
«Nemmeno la mafia a Palermo ha tanto potere» - scriveva tempo fa Eugenio Scalfari - «Negli ospedali, nell'assistenza, nelle università, tutto è diretto da quattro-cinque persone».
Finanza, politica, sanità. Dal Vaticano a Confindustria passando per il Governo (Silvio Berlusconi fu, nel 1978, uno dei più importanti finanziatori de “Il Sabato”, settimanale “vicino” a Cl le cui prime riunioni redazionali si tenevano nella villa di proprietà del premier in via Rovani, civico numero 2) fino ad arrivare a coop rosse e loro espressioni politico-partitiche, Comunione e Liberazione ha “amicizie” in ogni angolo della vita politica ed economica del Paese.
Quando non direttamente come “Comunione e Liberazione”, il movimento agisce grazie alla Compagnia delle Opere, associazione di imprenditori con 41 sedi in Italia e presente in altri 17 paesi (Argentina, Brasile, Bulgaria, Cile, Colombia, Spagna, Francia, Ungheria, Israele, Kenya, Paraguay, Portogallo, Perù, Polonia, San Marino, Svizzera e Venezuela) composta da circa 35.000 aziende e circa un migliaio di associazioni no-profit, per un fatturato complessivo – stimato - di oltre 70 miliardi di euro all'anno. Nella sola Milano sono oltre 6.000 le aziende riconducibili alla CdO. Vice-presidente è Massimo Ferlini, ex assessore ai lavori pubblici “rosso” del Comune di Milano dal 1988 al 1991 ed ex imputato di Mani Pulite.
Ma torniamo alle “entrature” nel mondo politico.
Dal già citato premier passando per Pierluigi Bersani – ospite fisso al Meeting di Rimini – e al sindaco di Firenze Matteo Renzi fino ad arrivare al Governatore della Regione Puglia Nichi Vendola, amico anche del prete-affarista Luigi Verzé, le cui “Fabbriche” prendono più di uno spunto proprio dall'annuale Meeting, all'ex radicale Rutelli fino a Pierferdinando Casini, le amicizie cielline coprono per intero l'arco parlamentare e non disdegnano neanche le forze “extraparlamentari”. D'altronde una battuta che circola tra le alte gerarchie vaticane dà il senso – ed il peso – dell'operato di Cl: «L'obiettivo di Comunione e Liberazione? Il prossimo Papa ed il prossimo premier».
Con le c.d. coop rosse – i cui interessi spaziano dalla Tav in Val di Susa al Ponte sullo Stretto di Messina passando per gli inceneritori – gli affari vanno a gonfie vele fin dal 1997, anno in cui insieme creano “Obiettivo Lavoro”, all'epoca la più grande agenzia per quanto concerne il lavoro “in affitto” o grazie alla Fondazione Abitare la città – che si occupa di housing sociale a Milano – costituita sia da cooperative aderenti a Legacoop che da associazioni che orbitano intorno alla Compagnia delle Opere.
In tutto questo, naturalmente, non viene dimenticata la Lega.
Le cose sono profondamente cambiate da quando – correva l'anno 1996 – Umberto Bossi etichettava come «sporcaccioni» gli appartenenti a Cl (d'altronde, sono cambiate anche da quando definiva Berlusconi “mafioso”...). Fin dagli anni Novanta infatti sono iniziate le manovre di avvicinamento tra i due movimenti, per un matrimonio d'intenti nel quale il movimento che fu di Don Giussani vedeva la Lega come la più credibile proposta post-berlusconiana, mentre il movimento delle camicie verdi – che mai ha fatto mistero di voler raccogliere l'eredità della Democrazia Cristiana – sa di non poter prescindere dal voto cattolico, nel quale Cl continua ad avere una importante voce in capitolo.
Ma non tutti, nella Lega, vedono l'amicizia di buon occhio.
L'uomo che osò dire no a Formigoni (e Bossi...)
Alessandro Cè – transitato anche dall'Italia dei Valori – dal giugno 2001 al giugno 2005 è stato capogruppo alla Camera dei Deputati per la Lega Nord. Nell'aprile 2005 viene eletto consigliere regionale in Lombardia, diventando assessore alla Sanità della giunta Formigoni. E qui iniziano i problemi.
Le prime “grane” Cè le aveva già avute quando era deputato: «Bossi, ad un certo punto della mia esperienza di capogruppo della Lega alla Camera» - racconta in un'intervista contenuta nel libro di Ferruccio Pinotti “La lobby di Dio” - «mi dice: “Guarda, tu purtroppo, per il carattere che hai, non accetti compromessi, niente, non puoi stare a Roma, non riesco più a gestirti lì, perché con Berlusconi mi crei dei problemi enormi”».
Proprio per questo viene dirottato alla Regione Lombardia, dove i “danni” che riesce a fare sono addirittura maggiori.
Alessandro Cè, infatti, di professione fa il medico e non il politico – proprio la trasformazione in “partito di Palazzo, autoreferenziale, che fa solo gli interessi dei poteri forti” è stato il motivo principale che lo ha portato ad abbandonare la Lega nel 2007 – e certe manovre non riesce proprio ad accettarle, come quella per la trasformazione in fondazione del 118 (con il conseguente ingresso nella proprietà della Fondazione Cariplo, che portano l'assessore alle dimissioni).
(...)Prendiamo la questione dei project financing. Devi ristrutturare un ospedale, non ci sono risorse pubbliche sufficienti. Come le ristrutturi? Il sistema di potere vigente chiama le imprese amiche. Gli imprenditori privati fanno una proposta ai promotori. Esempio: Ospedale civile di Brescia. Lo Stato e la Regione non danno i soldi. C'è bisogno di interventi per 300 milioni di euro. Si fa un project financing, inizialmente per una cifra di questa consistenza, poi l'intervento è troppo pesante, si assesta sui 143 milioni di euro. Queste cose non vanno neanche in consiglio regionale perché gli interventi di project financing passano attraverso le direzioni generali.
Grazie alla riforma Bassanini della pubblica amministrazione, che ha distinto le responsabilità dei tecnici da quelle dei politici, la Regione Lombardia ha colto la palla al balzo per creare l'anello mancante che serve per gestire la politica e le clientele. I dirigenti sono tutti affiliati a Cl, ma la responsabilità è dei tecnici
(…)
Mi dicono che il project financing è pronto, non deve più andare in consiglio, l'hanno preparato i tecnici. Mi fanno fretta perché lo firmi, ma io voglio vederlo con calma. Prendo tre mesi e me lo guardo. Chiamo un tecnico di Lombardia informatica, una signora che non è un dirigente, perché il dirigente è di Cl. Chiedo a questa professionista se le cifre sono corrette, se i prezzi sono di mercato. E vedo che non è convinta: “Provi a riguardarlo” le dico. Parliamo dell'Ospedale civile di Brescia, non di una cosetta.
Un'altra delle “galline dalle uova d'oro” per i privati sta nel passaggio dal pubblico al privato, attraverso la trasformazione degli ospedali in fondazioni. È sempre Alessandro Cè a spiegarne il meccanismo:
Si voleva trasformare l'ospedale di Saronno in fondazione. Io ho bloccato l'operazione perché non apportava alcun vantaggio: la fondazione ha senso solo in presenza di investimenti di capitali privati. In questo caso serviva soltanto a creare una struttura meno trasparente, ad aggirare la normativa sull'assegnazione degli appalti e a distribuire altri posti di potere: i consigli delle fondazioni, siano essi di gestione o di indirizzo, generano una decina di poltrone. (...) Le altre Regioni sono in fase sperimentale, sono rimaste ancora alle mazzette che girano in contanti, qui in Lombardia tutto è più sottile; hai i tuoi uomini dappertutto: sto parlando della Sanità, ma il sistema funziona in tutti gli ambiti.Alessandro Cè, comunque, non è l'unico ad uscire sconfitto dal confronto con il movimento ciellino.
Giro di assunzioni (con licenziamento)
Enrico De Alessandri è stato direttore del Centro Regionale Emoderivati ed attualmente lavora all'assessorato alla Sanità della Regione Lombardia. Il 19 novembre del 2009 viene sollevato dall'incarico – con tanto di sospensione di un mese – per aver denigrato l'ente per il quale lavorava. Esiste infatti una legge secondo la quale (tradotto dal burocratese) un dipendente, in particolare se dipendente della Pubblica Amministrazione, ha l'obbligo di non criticare l'ente – o comunque l'azienda – per il/la quale lavora. Si chiama “violazione del dovere di fedeltà” ed è regolato dall'art. 2105 del Codice Civile:
Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.
De Alessandri fa molto di più: prima apre un blog (www.teopol.it), poi scrive addirittura un libro (“Comunione e Liberazione: assalto al potere in Lombardia”) nel quale denuncia l'occupazione di tutti i centri di potere della Regione da parte di esponenti del movimento ciellino. Per questo viene sanzionato.
Tralasciando i risvolti criminogeni di un provvedimento simile, c'è una domanda sulla quale bisogna porre l'attenzione: chi è il datore di lavoro di De Alessandri, la Regione Lombardia o Comunione e Liberazione?
Secondo il Tribunale di Milano che il 20 gennaio scorso si è espresso sulla sentenza la risposta esatta è la prima, dunque criticare Comunione e Liberazione non significa criticare la Regione (dunque il datore di lavoro di De Alessandri...), tanto che Formigoni ha dovuto annullare il mese di sospensione, pagare lo stipendio arretrato e le spese processuali.
Siamo, peraltro, nel classico caso “all'italiana” in cui l'accusato diventa accusatore: la firma sul provvedimento di sospensione di De Alessandri, infatti, appartiene a Michele Camisasca, nipote di Massimo Camisasca – sacerdote ed esponente di spicco del movimento - uno dei 32 dirigenti illegittimamente assunti dalla Regione (tanto da vedersi il bando di concorso annullato dal T.A.R.).
Ma è davvero così? Esiste davvero questa occupazione?
L'assalto all'accreditamento
La sanità, lo abbiamo visto, sta sempre più diventando il fulcro della politica regionale, ed averne il controllo significa disporre di un potere enorme, dal punto di vista economico e, soprattutto, da quello politico. Ed è per questo – come abbiamo visto lungo tutte le quattro puntate dell'inchiesta – che ogni governo regionale tenta una vera e propria colonizzazione. In Lombardia si va dal Direttore generale dell'assessorato Carlo Lucchina, considerato da molti il vero deus ex machina della sanità lombarda ad un esercito di direttori generali: Luigi Corradini (Fatebenefratelli); Pasquale Cannatelli (Niguarda); Giuseppe Catarisano (San Paolo); Francesco Beretta (Istituti clinici di perfezionamento); Ambrogio Bertoglio (Ospedale di Lecco); Maurizio Amigoni (Ospedale civile di Vimercate); Luca Filippo Maria Stucchi (Azienda Ospedaliera Carlo Poma di Mantova). In tutto, ben un quarto dei direttori generali sono legati al movimento ciellino (12 su 48).
Ma non è solo con i direttori generali che Cl ha messo le mani sul business.
Dal luglio 1996, infatti, è partito l'assalto al potere (sanitario) regionale: con l'equiparazione totale tra pubblico e privato – quella che in altri settori si chiamerebbe liberalizzazione del mercato – la sanità privata ha sempre più eroso il pubblico, passando dal 22% di copertura che aveva nel 1996 al 31% circa del 2008.
I posti letto – uno dei pilastri portanti del business – dal 1996 al 2003 hanno visto un'erosione nel pubblico (- 4475 unità) ed il contemporaneo aumento nel settore privato (+3456 unità) .
Questo, naturalmente, modifica anche le “abitudini” sanitarie dei cittadini-utenti, basti considerare che nell'arco di tempo 1997-2002 le prestazioni ospedaliere diminuiscono di circa 200.000 unità nel pubblico (da 1.428.693 a 1.204.583) così come le degenze ordinarie (- 145.000). Dall'altro lato, invece, le strutture pubbliche vedono aumentare le degenze ordinarie di circa 700.000 unità e quelle in day hospital passano da 33.000 a 120.000 [fonte: elaborazione Cgil Lombardia sui dati Direzione Generale Sanità Regione Lombardia]
Questa vera e propria “emigrazione” dal pubblico al privato ha interessato anche la Corte dei conti, che nella relazione del 2008 (riferita ai dati dell'anno precedente) evidenziava non solo l'evidente alterazione dell'equilibrio tra le due fattispecie, ma anche come fossero totalmente insufficienti i controlli sulla sanità accreditata.
Ciò deriva anche dal modo in cui è stata decisa la riforma del Servizio Sanitario Nazionale (1999, Ministro della Sanità era Rosy Bindi) quando si è deciso di legare a doppio filo salute e politica, dando per scontato – ingenuamente – che politici e direttori generali (che da quel momento diventano dei veri e propri manager) avrebbero utilizzato questa legge nel migliore dei modi. Invece si è arrivati alla situazione in cui da un lato le poltrone vengono occupate non per merito ma per tessera elettorale che si ha in tasca e dall'altro si è drogata la sanità mettendo al centro il privato, al quale sono stati affidati i servizi “aggiuntivi” (mensa, lavanderia, etc spesso inclusi nelle operazioni di project financing) fino al punto da lasciare nelle loro mani la formazione della “domanda sanitaria”, così da avere dei veri e propri “boom” nella richiesta – ad esempio – di interventi all'anca, aumentati del 96% tra il 1997 ed il 2002 o di pacemaker permanenti, che hanno visto nello stesso periodo un aumento del 119% o, ancora, un aumento del 33% di parti cesarei (quanti veramente utili alla partoriente?)
Se queste operazioni – considerate estremamente remunerative dal punto di vista economico, basti pensare a tutto l'indotto del “business delle protesi” - hanno visto tutte un aumento, il rovescio della medaglia è che alcuni interventi, considerati poco o per niente remunerativi, sono stati praticamente abbandonati dal privato, che infatti non troviamo in settori come quello della chirurgia pediatrica o dei grandi ustionati così come nell'urologia pediatrica o nell'oncoematologia.
chi trova un ospedale trova un tesoro
Last but not least, c'è il business del mattone. Perché, si sa, l'investimento nel mattone è un investimento sicuro. Persino la criminalità organizzata ci si è inserita per avere una fonte “pulita” di reddito.
La parola magica, dicevamo, è “project financing”: il privato si sostituisce al pubblico (quando questo non è in grado di far fronte a determinate spese) apportando denaro e logica imprenditoriale. Tutto sta, ovviamente, a saper scegliere il privato giusto.
Il sistema ciellino ha risolto in maniera drastica e definitiva questo problema: il Meeting di Rimini. È da lì che si può intuire quali saranno le imprese a cui saranno destinati gli appalti più importanti in Lombardia.
Prendiamo alcuni esempi: il Consorzio Cooperative Costruzioni vince l'appalto (12 milioni di euro) per costruire due blocchi dell'ospedale Carlo Poma di Mantova. La CCC era presente al Meeting. L'appalto per l'ospedale di Legnano viene vinto dalla Techint di Gianfelice Rocca. Anche la Techint è presente al Meeting.
Anche “l'appaltatuni”, cioè l'appalto riguardante il rifacimento dell'ospedale Niguarda è affidata ad una società “amica” del movimento: la Cmb (peraltro ex cooperativa rossa). Un appalto da un miliardo e 200 milioni di euro tra ricostruzione edile e servizi vari. Inizio lavori: 2013.
Fino a quel momento, però, il dossier sul “caso-Niguarda” rimane in mano agli ispettori del ministero dell'Economia, che denunciano gravi irregolarità nella procedura di aggiudicazione dell'appalto, consulenze d'oro e lavori affidati in appalto esterno senza una reale necessità (così da aumentarne i costi tramite duplicazioni di spesa) e via discorrendo. In totale sono circa un centinaio le violazioni contestate dagli ispettori, violazioni che hanno limitato la concorrenza così da permettere la vittoria a ditte o consulenti che gravitano nell'orbita ciellina (dalla Nec S.p.A., società pubblico-privata alla quale è stata affidata la progettazione fino a Maurizio Mauri, consulente pagato 100.000 euro appartenente ad un'associazione - “Medicina e persona” - vicina al movimento ciellino), così come sono “ciellinizzate” le due più importanti società della Regione: Infrastrutture lombarde – che gestisce i grandi appalti dell'edilizia sanitaria – presieduta da Antonio Rognoni e Finlombarda S.p.A. - la finanziaria della Regione Lombardia – al cui vertice c'è Marco Nicolai, ciellino anche lui.
«Sufficit gratia tua» (“basta la tua grazia”) è il motto del cardinale Angelo Scola, membro di Comunione e Liberazione. Evidentemente, all'interno del movimento, non tutti la pensano allo stesso modo.
(4 - Fine)