Intervista di Federico Illesi alla Dottoressa Barbara Ensoli, direttrice del Centro Nazionale Aids all’Istituto Superiore di Sanità, per approfondire il tema dell’Aids e il vaccino HIV-1 TAT attualmente in fase II di sperimentazione.
- L’unica vera precauzione contro l’Aids, ma in generale contro le malattie sessualmente trasmissibili, rimane il preservativo: si fa abbastanza informazione secondo lei?
Le campagne informative sono sicuramente uno strumento fondamentale per la comprensione e la prevenzione dell’infezione da HIV; negli ultimi anni si è assistito a una progressiva perdita della percezione del rischio connesso all’infezione da HIV e alle malattie sessualmente trasmesse in concomitanza della riduzione di campagne informative specifiche.
Sicuramente, quindi, non bisogna sottovalutare questo aspetto e bisogna fare in modo, soprattutto per le popolazioni più giovani, che vengano sviluppate strategie di comunicazione adeguata, utilizzando anche veicoli oggi più attuali: penso non solo alla televisione ed ai mezzi di comunicazione tradizionali, ma anche ad internet, blog, ecc. La Commissione Nazionale AIDS ha infatti predisposto un piano già in parte attuato attraverso uno spot televisivo a che vedrà compimento nel prossimo futuro, con interventi mirati.
- Come viene diagnosticata l’Aids e che esami occorre effettuare per verificare l’eventuale positività? Che grado di affidabilità hanno questi test?
L’infezione da HIV può essere diagnosticata in maniera anonima e gratuita nelle strutture pubbliche ed i test utilizzati per la rivelazione di anticorpi anti-HIV sono l’Enzyme linked immuno assay (ELISA) ed Western Blot, con il quale viene confermato l’eventuale risultato positivo dell’ELISA.
Questi test hanno un buon grado di affidabilità e sono utilizzati normalmente in tutto il mondo in maniera univoca o affiancati da indagini molecolari (ad es. la PCR). D’interesse, ma opportunamente da inquadrarsi, altri, più recenti, tipi di “test rapido”, che consentono la non dispersione della comunicazione della eventuale sieropositività. È comunque sempre da preservarsi “il contesto protetto” della comunicazione di eventuale sieropositività, o comunque un momento di counselling che, tra medico e paziente, è utile a “fare corretta informazione” sulle modalità di trasmissione.
- Cosa vede nel futuro degli sieropositivi?
Le terapie antiretrovirali di combinazione in uso hanno sicuramente contribuito negli anni ad aumentare le aspettative di vita dei soggetti sieropositivi ed auspicabilmente i farmaci recentemente approvati dovrebbero assicurare, anche in termini di qualità della vita del paziente, una consistenza del successo terapeutico. L’aderenza ad un qualunque regime rimane un fattore chiave che non ci consente di abbassare la guardia in merito allo sviluppo di nuove molecole. Tutto questo in attesa che la ricerca faccia la sua parte proponendo composti vaccinali o immunomodulanti di supporto, che, teoricamente, possano permettere di allentare la pressione farmacologica.
- La “sconfitta” di questo virus sarebbe sicuramente la scoperta del secolo, almeno in campo medico, quanto manca? Che previsioni si possono fare?
L’impegno dei ricercatori è sempre molto attivo ed attento: ritengo che oggi come oggi, visto quanto accaduto nei recenti fallimenti vaccinali, che hanno questionato tesi di patogenesi, fare previsioni come quelle richieste non sia corretto. Il nostro impegno è quello di essere sempre all’avanguardia, con attenzione quotidiana a questa terribile pandemia.
- Cosa ci può dire sul vaccino contro l’Aids attualmente in sperimentazione?
Il vaccino basato sulla proteina Tat sponsorizzato dall’Istituto Superiore di Sanità ha superato la fase I di sperimentazione clinica sia su soggetti sani (approccio preventivo) che su soggetti HIV + (approccio terapeutico), rivelandosi sicuro ed immunogenico, ovvero capace di indurre risposte immuni umorali e cellulari specifiche. Sulla base di questi incoraggianti risultati, è stata da poco attivato uno studio di fase II, con approccio terapeutico, su 128 pazienti HIV+ in trattamento efficace con HAART allo scopo di valutare l’immunogenicità di Tat in un numero più ampio di soggetti in terapia antiretrovirale. Non nascondo che questo studio ci fornirà preziose informazioni per i passi successivi del programma.
- Il vaccino potrà essere impiegato come forma di prevenzione in tutta la popolazione con maggiore attenzione per le fasce a rischio oppure sarà un’arma efficace solo per le persone che hanno già contratto la malattia? Questo nell’ipotesi che i test clinici attualmente in corso confermino la validità del farmaco.
Come indicato in precedenza, lo studio di fase II in corso si basa su un approccio terapeutico del vaccino basato sulla proteina Tat, ma le indicazioni ottenute dallo studio preventivo di fase I fanno pensare anche ad un possibile sviluppo di questo vaccino per un utilizzo a scopo preventivo, che dovrà essere oggetto di ulteriori studi. Questo per riaffermare che una piattaforma per il corretto utilizzo di un promettente composto è complessa, articolata e non sempre semplice da far comprendere all’utenza. Allo scopo, abbiamo attivato un sito che speriamo possa essere d’aiuto alle persone interessate.
- Esistono già farmaci per contrastare certi tipi di virus e addirittura alcuni sono stati messi a punto in tempi record, mi riferisco al vaccino per il virus dell’influenza aviaria, perché per l’Hiv sono anni che si studia ma ancora non c’è niente di definitivo? Dove sorgono le complicazioni per la progettazione di un farmaco valido?
Il virus dell’HIV è un retrovirus che integra nel DNA umano, purtroppo capace di numerosi meccanismi elusivi molecolari ed immunologici atti a non favorire il riconoscimento da parte del sistema immunitario. Nel tempo la ricerca ha consentito di comprendere meglio molti di questi aspetti, ma ciò è stato possibile anche come conseguenza dei diversi fallimenti della ricerca di base ed di quella clinica. La complessità nel trovare ‘la chiave di conservazione’, che ci dia quel minimo comune denominatore atto ad innescare i meccanismi di difesa del corpo umano, è il problema principale. Il fatto dell’integrazione del virus nel DNA umano è un’aggravante. Ecco perché le terapie farmacologiche sono ‘di associazione’, in quanto consentono di ridurre questi aspetti nei processi di replicazione virale. Ecco perché è così complesso trovare un composto vaccinale preventivo.
Ringrazio la Dottoressa Barbara Ensoli per il tempo che ci ha dedicato.
fonte : http://www.bioblog.it/
- L’unica vera precauzione contro l’Aids, ma in generale contro le malattie sessualmente trasmissibili, rimane il preservativo: si fa abbastanza informazione secondo lei?
Le campagne informative sono sicuramente uno strumento fondamentale per la comprensione e la prevenzione dell’infezione da HIV; negli ultimi anni si è assistito a una progressiva perdita della percezione del rischio connesso all’infezione da HIV e alle malattie sessualmente trasmesse in concomitanza della riduzione di campagne informative specifiche.
Sicuramente, quindi, non bisogna sottovalutare questo aspetto e bisogna fare in modo, soprattutto per le popolazioni più giovani, che vengano sviluppate strategie di comunicazione adeguata, utilizzando anche veicoli oggi più attuali: penso non solo alla televisione ed ai mezzi di comunicazione tradizionali, ma anche ad internet, blog, ecc. La Commissione Nazionale AIDS ha infatti predisposto un piano già in parte attuato attraverso uno spot televisivo a che vedrà compimento nel prossimo futuro, con interventi mirati.
- Come viene diagnosticata l’Aids e che esami occorre effettuare per verificare l’eventuale positività? Che grado di affidabilità hanno questi test?
L’infezione da HIV può essere diagnosticata in maniera anonima e gratuita nelle strutture pubbliche ed i test utilizzati per la rivelazione di anticorpi anti-HIV sono l’Enzyme linked immuno assay (ELISA) ed Western Blot, con il quale viene confermato l’eventuale risultato positivo dell’ELISA.
Questi test hanno un buon grado di affidabilità e sono utilizzati normalmente in tutto il mondo in maniera univoca o affiancati da indagini molecolari (ad es. la PCR). D’interesse, ma opportunamente da inquadrarsi, altri, più recenti, tipi di “test rapido”, che consentono la non dispersione della comunicazione della eventuale sieropositività. È comunque sempre da preservarsi “il contesto protetto” della comunicazione di eventuale sieropositività, o comunque un momento di counselling che, tra medico e paziente, è utile a “fare corretta informazione” sulle modalità di trasmissione.
- Cosa vede nel futuro degli sieropositivi?
Le terapie antiretrovirali di combinazione in uso hanno sicuramente contribuito negli anni ad aumentare le aspettative di vita dei soggetti sieropositivi ed auspicabilmente i farmaci recentemente approvati dovrebbero assicurare, anche in termini di qualità della vita del paziente, una consistenza del successo terapeutico. L’aderenza ad un qualunque regime rimane un fattore chiave che non ci consente di abbassare la guardia in merito allo sviluppo di nuove molecole. Tutto questo in attesa che la ricerca faccia la sua parte proponendo composti vaccinali o immunomodulanti di supporto, che, teoricamente, possano permettere di allentare la pressione farmacologica.
- La “sconfitta” di questo virus sarebbe sicuramente la scoperta del secolo, almeno in campo medico, quanto manca? Che previsioni si possono fare?
L’impegno dei ricercatori è sempre molto attivo ed attento: ritengo che oggi come oggi, visto quanto accaduto nei recenti fallimenti vaccinali, che hanno questionato tesi di patogenesi, fare previsioni come quelle richieste non sia corretto. Il nostro impegno è quello di essere sempre all’avanguardia, con attenzione quotidiana a questa terribile pandemia.
- Cosa ci può dire sul vaccino contro l’Aids attualmente in sperimentazione?
Il vaccino basato sulla proteina Tat sponsorizzato dall’Istituto Superiore di Sanità ha superato la fase I di sperimentazione clinica sia su soggetti sani (approccio preventivo) che su soggetti HIV + (approccio terapeutico), rivelandosi sicuro ed immunogenico, ovvero capace di indurre risposte immuni umorali e cellulari specifiche. Sulla base di questi incoraggianti risultati, è stata da poco attivato uno studio di fase II, con approccio terapeutico, su 128 pazienti HIV+ in trattamento efficace con HAART allo scopo di valutare l’immunogenicità di Tat in un numero più ampio di soggetti in terapia antiretrovirale. Non nascondo che questo studio ci fornirà preziose informazioni per i passi successivi del programma.
- Il vaccino potrà essere impiegato come forma di prevenzione in tutta la popolazione con maggiore attenzione per le fasce a rischio oppure sarà un’arma efficace solo per le persone che hanno già contratto la malattia? Questo nell’ipotesi che i test clinici attualmente in corso confermino la validità del farmaco.
Come indicato in precedenza, lo studio di fase II in corso si basa su un approccio terapeutico del vaccino basato sulla proteina Tat, ma le indicazioni ottenute dallo studio preventivo di fase I fanno pensare anche ad un possibile sviluppo di questo vaccino per un utilizzo a scopo preventivo, che dovrà essere oggetto di ulteriori studi. Questo per riaffermare che una piattaforma per il corretto utilizzo di un promettente composto è complessa, articolata e non sempre semplice da far comprendere all’utenza. Allo scopo, abbiamo attivato un sito che speriamo possa essere d’aiuto alle persone interessate.
- Esistono già farmaci per contrastare certi tipi di virus e addirittura alcuni sono stati messi a punto in tempi record, mi riferisco al vaccino per il virus dell’influenza aviaria, perché per l’Hiv sono anni che si studia ma ancora non c’è niente di definitivo? Dove sorgono le complicazioni per la progettazione di un farmaco valido?
Il virus dell’HIV è un retrovirus che integra nel DNA umano, purtroppo capace di numerosi meccanismi elusivi molecolari ed immunologici atti a non favorire il riconoscimento da parte del sistema immunitario. Nel tempo la ricerca ha consentito di comprendere meglio molti di questi aspetti, ma ciò è stato possibile anche come conseguenza dei diversi fallimenti della ricerca di base ed di quella clinica. La complessità nel trovare ‘la chiave di conservazione’, che ci dia quel minimo comune denominatore atto ad innescare i meccanismi di difesa del corpo umano, è il problema principale. Il fatto dell’integrazione del virus nel DNA umano è un’aggravante. Ecco perché le terapie farmacologiche sono ‘di associazione’, in quanto consentono di ridurre questi aspetti nei processi di replicazione virale. Ecco perché è così complesso trovare un composto vaccinale preventivo.
Ringrazio la Dottoressa Barbara Ensoli per il tempo che ci ha dedicato.
fonte : http://www.bioblog.it/
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