giovedì 15 luglio 2010

Taleban scatenati, strage di soldati Nato

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25 morti, fra cui 11 militari dell'Isaf a Kandahar
KABUL. In sole 24 ore venticinque persone, di cui la metà civili, sono state uccise dalla guerra nel Sud dell'Afghanistan. È mano in parte talebana quella che ha inferto e rivendicato la morte di 11 soldati della Nato nel Sud, in una delle giornate peggiori del conflitto per l'Alleanza atlantica. Ed è mano talebana quella che con ogni probabilità ha messo lungo una strada della provincia di Helmand l'ordigno che, esplodendo, ha colpito un minivan su cui viaggiavano diversi civili: nove i morti. 
In una capitale nella morsa della polvere e ieri felicemente rinfrescata da un'acquazzone, le notizie arrivano dal fronte con i bollettini Isaf. L'ultimo racconta di una bomba che ha ucciso quattro soldati Nato nel Sud del paese, mentre un soldato americano è rimasto vittima di un attacco dei talebani sempre nel Sud del paese. Martedì invece, dopo che un kamikaze si era fatto esplodere all'ingresso del quartier generale delle forze di élite della polizia di Kandahar, i talebani hanno attaccato il posto di polizia uccidendo tre soldati americani, un poliziotto afghano e cinque civili.
Per la Nato sono giornate durissime in una campagna, quella dell'estate, dove i talebani sembrano aver preso l'iniziativa. Ma la stortura della guerra ha prodotto anche altro: sempre martedì anche tre soldati britannici sono stati uccisi, ma questa volta da un soldato afghano che ha sparato a uno di loro e ha colpito gli altri con un razzo (fuoco amico?). Il bilancio della guerra si fa sempre più pesante: in luglio i soldati stranieri uccisi in Afghanistan sono stati 45 (33 americani) mentre giugno si è distinto per essere stato, con oltre cento vittime tra i soldati della coalizione, il mese più sanguinoso dell'intera guerra.
Ma il conflitto non smette certo di risparmiare i civili: ogni giorno ne vengono uccisi almeno 14 e, nei primi sei mesi del 2010, si è registrato, dal 2001, il numero più elevato di morti e di feriti tra la popolazione. Lo ha scritto in un rapporto Afghanistan Rights Monitor, secondo cui, dall'inizio dell'anno, l'Afghanistan ha visto morire 1.074 civili: oltre 1.500 i feriti. Il 2010, per Arm, si configura dunque come l' «anno peggiore» dall'inizio del conflitto, una litania che si ripete ogni anno. 
Quanto la guerra, che ormai sembra una routine senza né capo né coda, influenzerà i lavori della Conferenza dei donatori che si terrà martedì prossimo a Kabul, è difficile dire. Quel che è certo è che la Conferenza sulla governance riserverà qualche sorpresa: Karzai intende presentare il suo piano di «transizione» (l'ultima parola magica ormai in voga nel salotto buono della diplomazia), che dovrebbe trasferire agli afghani le competenze sulla sicurezza. Ma il dibattito sotto traccia riguarda e riguarderà il piano di Karzai per negoziare coi talebani. Un piano su cui i suoi maggiori alleati non concordano affatto. Benché secondo l'inviato americano Richard Holbrooke, alla Conferenza si parlerà eccome di talebani, tutti sanno che non c'è per ora alcun accordo tra Karzai, che vorrebbe negoziare con la cupola, e gli Stati uniti. Che non solo sono contrari al dialogo con gli alti comandi della guerriglia ma che stanno pensando di inserire gli Haqqani, una potente famiglia afghana che coordina gli attacchi dal Pakistan, nella lista dei terroristi. Una mossa che sta irritando oltreché Kabul anche Islamabad, che in qualche modo se ne vuole servire per pilotare il negoziato. 
È questa un'idea del generale Petraeus, il nuovo comandante americano della Nato, favorevole al pugno duro, al negoziato da una «posizione di forza» (dunque dopo la promessa offensiva a Kandahar rinviata sine die) e propenso a rilanciare il piano di armare milizie progovernative nei villaggi (opzione in parte accantonata dal suo predecessore), cui Karzai è contrario.
Lettera22

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