martedì 20 luglio 2010

Non dimentiCarlo mai

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La notte del 19 luglio 2001 diluviava in quel di Genova. Azziz cercò rifugio in un angolino all’interno di uno dei tendoni montati appositamente per ospitare chi, nel campo, non era tenda-munito. Laghetto, Mico ed io ci sistemammo nella mia tenda da campeggio igloo insieme ai nostri zaini.
La mattina del 20 luglio, al nostro risveglio, il sole spendeva sul capoluogo ligure, sarebbe stata una bellissima giornata dal punto di vista metereologico, una giornata che non dimenticheremo mai, ma per altri motivi.
86La città era completamente chiusa e blindata. Impossibile trovare un supermercato o un bar aperto per fare colazione, noi eravamo accampati in una scuola insieme a moltissimi provenienti da tutto il sud. Ci eravamo uniti casualmente al Sud Ribelle, ai Cobas, alle reti di movimenti toscani ma da cani sciolti quali eravamo. Era il luglio subito dopo la maturità, avevamo tutti e 4 tra i 18 e i 19 anni, eravamo (lo siamo ancora?) giovani di gran belle speranza e pieni di idee che ci frullavano per la testa. Erano i giorni del G8 a Genova e a noi quella festicciola blindata tra un gruppo di 8 amici, tra i più pericolosi del globo non ci piaceva proprio e volevamo dirlo insieme a centinaia di migliaia di altre persone provenienti da tutta Italia e da tutto il mondo.
Dopo una ricerca inutile di un pasto, iniziata già la sera prima senza alcun risultato, decidemmo di adattarci alla situazione e di applicare il baratto per qualunque cosa. La moneta di scambio erano i beni materiali di cui ognuno poteva godere; il mercato e il commercio, in quei giorni, in quella città, non esistevano. Era tutto sospeso, come i diritti umani, per cui scambiando delle sigarette o una birra si potevano ottenere grandi cose. Anche in quella situazione c’era chi di birre ne aveva tante da scambiare e chi nessuna e ciò rendeva ancora più difficile il tutto. Sembra assurdo ma per 3 giorni fu vera fame perchè solo quel pomeriggio riuscimmo a mettere qualcosa di sostanzioso sotto i denti.

Genova-G8_2001-Manifestazione_disobbedientiDicevo. Al nostro risveglio, fatto capolino fuori dalla tenda, l’atmosfera del campo era completamente diversa rispetto al giorno prima che era stato un giorno quasi di festa: migliaia di persone si erano ritrovate pacificamente per andare tutti nella stessa direzione, guidati da un sogno comune. Ma quella mattina l’aria di festa si era tramutata in qualcosa di ben diverso. L’obiettivo della giornata era quello di violare la zona rossa dove si erano rinchiusi i potenti della terra per stabilire come mantenere lo status quo di ingiustizie tra i ricchi e poveri nel mondo.
Tantissimi si preparavano a qualcosa che era molto più grosso di noi e di loro. Comparvero tantissimi estintori, giubotti salvagente indossati per proteggersi da qualcosa che avremmo scoperto presto. La gente andava in giro con caschi e protezioni di gomma piuma di ogni genere. Ogni gruppo si era organizzato a modo suo e comparvero all’interno del campo dei figuri vestiti interamente di nero con delle protezioni-decorazioni che riprendevano parti del corpo e che suonavano a mò di banda degli strumenti musicali, portavano in giro per il campo delle bandiere nere. Il ritmo era quello di una marcia, quei ragazzi non erano italiani e presto a loro si aggiunsero una serie di altri figuri tutti vestiti di nero. Anche molti di loro non erano italiani, parlavano tante lingue diverse.
black_parata_med
831974Non eravamo legati a nessun gruppo per cui assistemmo all’assemblea del campo che si tenne la mattina e in cui vennero stabilite le linee di azione della giornata. Si sapeva che ci sarebbero stati contatti con le forze dell’ordine che avevano come obiettivo quello di proteggere le recinzioni che cingevano d’assedio il centro città, le stesse recinzioni che quelle persone agghindate con tutte quelle protezioni volevano violare. Il campo dove stavamo noi si sarebbe ritrovato nella tarda mattinata, verso le 12 in piazza Paolo da Novi con l’obiettivo semi-realistico di provare a tenere la piazza di fronte ai sicuri attacchi della polizia. Per amor di precisione questa piazza si trova a circa un km dalla zona rossa. I gruppi degli altri campi facevano lo stesso: i disobbedienti allo stadio Carlini, i movimenti cattolici, la rete lilliput dalle loro parti, il black block nelle scuole che avevano occupato la sera prima. Tutti si preparavano ad una giornata che era stata chiamata delle “piazze tematiche”, ovvero le piazze dalle quali si sarebbero mossi i vari movimenti per provare ad invadere la zona protetta della città, ognuno portando con se le motivazioni che più aveva a cuore. Piazza Paolo Da Novi doveva essere la piazza tematica legata agli argomenti del lavoro e del welfare. Una piazza da difendere con i denti e con le unghie e si vedeva che la gente era pronta a farlo, ognuno a suo modo e ognuno in base alle proprie possibilità.
Ma a noi da buoni e incoscenti (ma fortunati) cani sciolti ci bastava essere presenti col nostro corpo e con il nostro cuore insieme a tanti altri come noi, per cui a metà dell’assemblema, pensando di evitarci “l’ora di punta” dell’uscita in piazza da parte di tutti decidemmo di incamminarci verso la piazza di fronte la stazione dove eravamo arrivati il giorno prima con il treno speciale proveniente da Reggio e dalla Sicilia. Eravamo in pochissimi in giro per la città se si fa eccezione per le forze dell’ordine già schierate ovunque, a migliaia in tutti gli angoli. Da subito anche l’atmosfera fuori dal campo sembrava diversa dal giorno prima. Migliaia di divise facevano da decorazione ad una serie di strade desolate e deserte chiuse da centinaia di conteiner appostati tutti durante la notte e da usare come enormi barriere per costringere i manifestanti a non oltrepassare certi “limiti”. Tutto il tragitto dal nostro campo era pieno di questi conteiner e i poliziotti già non avevano volti distesi. Erano pronti anche loro, caricati a dovere emotivamente e chissà come anche “fisicamente”. D’altronde si sapeva che sarebbe scoppiato un finimondo di lì a poco. I giorni prima i media e i politici avevano fatto a gara per alzare la tensione annunciando pericoli di ogni sorta (come lanci di sangue infetto, presenza di armi e quant’altro) e preparando, preventivamente, un centinaio di casse da morto.
Speravano forse in un massacro?





Noi eravamo dei pischelletti e pur sapendo che sarebbe successo qualcosa di grande e di grave andavamo sorridenti per la città sapendo di vivere un momento storico ma con l’innocenza, l’entusiasmo e quella curiosità che sembravano non esser più presenti negli altri manifestati presenti in città.


Arrivati alla stazione trovammo piccoli gruppi di pacifisti che giocavano con le reti di cinta, facevano sberleffi alle forze dell’ordine che le presidiavano e iniziarono i primi piccoli sit in. Era ancora presto per le piazze tematiche ma già il primo sit in in quella piazza, che non dava fastidio a nessuno, venne sciolto con l’intervento, non violento, di un cordone di polizia presente lì vicino. Nessun colpo volò ma capimmo subito che i blu erano parecchio “incazzati” e vedendo la piazza completamente chiusa tra conteiner e cordoni di polizia decidemmo di uscire, di spostarci. Avevamo paura di rimanere come topi in trappola così ci dirigemmo verso una delle traverse in direzione piazza Da Novi.
All’inizio della strada c’era il cordone che non faceva passare nessuno, così alla nostra richiesta ci fermarono. Erano in3, forse 4 tutti adulti e tutti molto incazzati. Non era ancora successo niente e noi incominciavamo ad essere già molto spaventati. I poliziotti ci perquisirono dalla testa ai piedi, con le loro maniere scontrose e insultandoci e dicendoci che il fumo (che non avevamo) ce l’avrebbero trovato “a modo loro”. Controllarono anche dentro le mutande di uno di noi, ma non avevamo niente che non andasse nei confronti della legge, oltre ai nostri sogni. Eravamo solo dei ragazzi speranzosi e in quel momento molto spaventati. Non volevano lasciarci andare ma per fortuna arrivò un loro collega di “buon cuore” che intimò agli altri poliziotti di lasciarci passare perchè era chiaro che eravamo tranquillissimi. Ma ci consigliò anche di non tornare… Probabilmente quell’uomo ci salvò da una serie di trattamenti inumani e solo a pensarci a 8 anni di distanza mi vengono ancora i brividi.
1Usciti dalla piazza imboccamo la strada grande che in salita riportava verso gli accampamenti dei manifestanti La piazza dove volevamo andare e dove, nostro malgrado, si trovavanpo i nostri punti di riferimento in città, i nostri compagni di campo, era in fondo ad una delle strade che incrociavano questo stradone principale che costeggia la ferrovia. Durante la nostra ricerca ci accorgemmo che tutte le traverse erano bloccate da spaventosi cordoni di polizia. Camionette e blindati di ogni genere ostruivano tutte le vie d’accesso (e di fuga). C’erano diversi gruppetti di cani sciolti come noi che cercavano un varco per raggiungere la piazza; a noi ci venne il dubbio che forse non era la cosa migliore (rin)chiudersi in una piazza visto che era tutto bloccato. La conferma ci arrivò quando ad un certo punto, mentre camminavamo, arrivarono da una di queste traverse una serie di lacrimogeni che resero l’aria irrespirabile e una serie di ragazzi spuntò da quella traversa scappando dalle forze dell’ordine.
Azziz era impanicatissimo e riuscimmo a rimanere uniti per pochissimo ancora. Scappò via spaventato dall’aria irrespirabile e dalla paura di una carica imminente visto che il gruppo di persone si ricompattò subito dopo e partì un lancio di oggetti. Eravamo di fronte a quel tunnel che passa sotto le ferrovie e che collega la parte lato mare della città con il quartiere di Marassi. Quel tunnel sarebbe divenuto tristemente noto come uno dei teatri di una delle battaglie di piazza più sanguinose degli ultimi tempi in in Italia ed Europa.
orig_C_0_articolo_384866_immagineNon riuscimmo a trattenerlo, scappò proprio via e non ci fu verso di recuperarlo per tutta la giornata. Noi non eravamo certo intenzionati a fare gli scontri, ma non volevamo neanche scappare via. Spaventati si, ma anche noi volevamo “tenere la piazza” e poi eravamo presi da una curiosità fuori dal normale. L’adrenalina, come la paura, era alle stelle. In quel magma di lanciatori intravedemmo e imparammo a conoscere una persona che per noi sarebbe diventata un goliardico eroe per il resto della nostra permanenza nella città ligure. Un uomo scalzo che non scappava dai lacrimogeni pur non avendo una maschera antigas e che, senza guanti, prendeva i roventi candelotti e li rilanciava indietro, restituendoli al mittente e allo stesso tempo incitando i presenti a regire. Eravamo molti di più dei poliziotti non avemmo dovuto aver paura, secondo lui. Non partecipammo ma le sue parole e il suo coraggio senza nessuna protezione ci rincuorarono parecchio tanto che, incontrato nel pomeriggio dentro l’unico bar aperto della città, gli offrimmo un pasto caldo.
black blocCi allontanammo poco dopo da quell’incrocio, la polizia iniziò ad avanzare e il gruppo di persone che gli si era piazzato davanti si sciolse. Riprendemmo la ricerca della nostra piazza, speravamo che Azziz non si fosse cacciato nei guai. I telefonini non funzionavano e lui era rimasto da solo. Noi, visto l’andazzo, eravamo sempre più convinti che sarebbe stato meglio unirsi a qualcuno stare noi 3 da soli, senza conoscere la città, senza alcuna esperienza e spaventati era la cosa peggiore da fare. Provammo ad entrare nella traversa successiva, era quella che dava sulla piazza che cercavamo e non c’era un cordone di polizia a chiuderla. Pensammo che poteva essere la volta buona anche se sembrava non esserci nessuno alla fine di quella strada. La imboccammo e arrivati in fondo ci trovammo uno scenario “apocalittico”. Alla nostra destra un cordone enorme di carabinieri e polizia che sparava lacrimogeni e alla nostra sinistra una schiera di cassonetti rivoltati lungo tutta la strada e una marea di persone, più di un migliaio di black block ma non solo – riconoscemmo vagamente le sagome anche di qualcuno del nostro campo – che coperti e protetti di tutto punto lanciavano letteralmente “pezzi di città” verso i cordoni. Volava di tutto da una parte e dall’altra e in un secondo decidemmo, guardandoci negli occhi, che era il caso di correre e l’istinto ci portò a correre verso i manifestanti; non potevamo certo andare correndo verso la polizia… Di lato a noi pioveva di tutto, l’aria era irrespirabile ma con uno scatto “felino” riuscimmo a riparare dietro le barricate e dietro i primi gruppi di manifestanti e ci trovammo uno scenario veramente “incredibile”! Era pieno di black block. Giusto per specificare, il black block non è un collettivo o un gruppo ma è una “tattica di piazza” per cui chiunque può essere un black block, compresi i poliziotti in borghese come si scoprirà dopo…
Black_BlockTutti preparati e organizzati, con la loro tecnica di suddivisione a gruppetti, svolgevano diversi “compiti” ma tutti complementari. C’era chi distruggeva marciapiedi per fornire oggetti da lanciare, c’era chi li portava alle “prime linee”; c’era chi organizzava le barricate e c’era chi cercava di aizzare quelli come noi che avevano paura e volevano allontanarsi ma non troppo. Quel modo di “difendere la piazza” (che era già stata sgomberata dunque a suon di manganelli girati al contrario) dalla polizia ci riempiva di adrenalina ma ci faceva anche pensare che effettivamente esisteva una sorta di “resistenza” che ci avrebbe tenuto alla larga dai contatti con i blu, al contrario di come ci era successo al sit in poco prima.
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Rimanemmo lì, lontano dal “campo di battaglia” ma abbastanza vicino per tenere sotto controllo la situazione e per osservare come andava avanti quella guerriglia. Ma ad un certo punto la polizia decise di avanzare, le prime linee indietreggiarono e molti si dispersero fuggendo per una strada lasciata libera dalle forze dell’ordine. Noi scappammo come tutti quanti (quella è stata la giornata in cui ho corso di più in vita mia!) anche se c’era ancora chi cercava di riorganizzare i presenti per resistere all’avanzata della polizia. Questi tentativi non ebbero successo e i black block si sparpagliarono per la città. Noi scappammo, seguimmo la teoria del non rimanere soli, ormai la situazione era degenerata, sarebbe stato troppo pericoloso. Così seguimmo l’unica via di fuga e ci trovammo inevitabilmente a condividere la strada con qualche centinaio di “neri” che incominciarono a distruggere tutto quello che si trovavano per strada. Non dimenticherò mai due macchine letteralmente spostate a peso dai loro parcheggi, sistemate in mezzo alla strada e incendiate per “proteggere la ritirata”. In guerra si fa lo stesso, quando ci si ritira bisogna assicurarsi che la fuga sia riparata, ci si “copre le spalle”. Non dimenticherò mai, neanche quando ci sedemmo ad un angolo di un marciapiede, eravamo stanchi, affamati, impauriti ma gasati. Eravamo in mezzo a qualcosa di unico, nel bene e nel male. Si sedettero a pochi metri da noi un gruppo di ragazzi in assetto da black block. Forse si riposavano ma tirarono fuori dai loro zaini delle bottiglie di vino di vetro. Erano piene di benzina e si misero a preparare le loro bottiglie incendiariare con degli stracci legati al collo di bottiglia proprio di lato a noi. Decidemmo che era meglio spostarsi e continuammo a seguire il blocco nero a distanza. Speravamo che Azziz fosse al sicuro visto che il blocco si stava dirigendo verso la via che aveva scelto lui per la fuga. Passammo sotto quel tunnel della ferrovia e vedemmo tanti di quei ragazzi che lo ostruivano con barricate di fortuna, la polizia era ancora troppo vicina. Passammo di corsa di sotto e vedemmo altri organizzare un’altra barricata con cassonetti e un’automobile messa in mezzo alla strada subito dopo l’uscita del tunnel. Questa volta non la incendiarono. Eravamo passati nel quartiere di Marassi, la polizia era abbastanza a distanza ed era anche impegnata in altre piazze e con altri gruppetti sparsi per tutta la città. Di solito in queste situazioni le forse dell’ordine non aggrediscono chi reagisce con durezza, è molto più facile aggredire chi non gli restituirebbe il “favore”.
Black_Bloc_008Eravamo a Marassi e il quartiere era completamente in balia di questo gruppo di manifestanti che non erano solo incappucciati; c’erano tanti stranieri (molti greci devo dire) che a volto tranquillamente scoperto e senza la divisa nera organizzavano barricate, distruggevano vetrine di banche ed assicurazioni, distrussero un distributore di benzina per poter trovare il liquido infiammabile con il quale riempire le centinaia di bottiglie sottratte al supermarket diXdi che incontrammo sulla strada e che fu immediatamente sfondato. Uscirono carrelli di bottiglie di vetro e qualcuno pensò bene di lanciare fuori per strada una mortadella quasi intera. Fu il simbolo di quel saccheggio e noi pensammo bene di farci una foto con quella mortadella. Nella nostra goliardia era un simbolo evidente di quello che stavamo vivendo, anche se in maniera distaccata. Avevamo paura ma sapevamo che lì nessuno ci avrebbe fatto del male e quindi non avevamo perso la nostra proverbiale voglia di fare i cazzari, anche nel bel mezzo di una guerriglia urbana.
db667e7159Un sacco di automobili parcheggiate venivano indiscriminatamente danneggiate e distrutte. Alcune anche date alle fiamme e si sentivano numerose piccole esplosioni di bombe carta o di vetrine che andavano in frantumi. Eravamo stanchissimi e decidemmo di riappoggiare il sedere su un bizzolo. Mai farlo! Fummo spaventati da un gruppo di ragazzi che si avvicinò veloce verso di noi con dei bastoni in mano e con fare decisamente minaccioso, non capimmo subito e ci spaventammo alquanto. Sul semaforo dietro la nostra testa era montata una telecamera, questi ragazzi ci ignorarono, il loro obiettivo era distruggere l’occhio controllore, e lo fecero! Succedevano anche cose strane in quel contesto. Per esempio, ricordo bene un gruppetto di 4-5 italiani a volto coperto ma non vestiti di nero che distruggevano una per una una serie di macchine parcheggiate anche di piccole dimensioni senza alcuna motivazione che fosse plausibile in un momento di guerriglia urbana. Vandalismo fine a se stesso insomma, gli si avvicinaro un gruppetto corposo di ragazzi vestiti in nero e volarono parecchie botte. Quella non è una pratica da black block, almeno non lo è per gli “ortodossi”. Dopo qualche cazzotto quei ragazzi smireso di fare quello che facevano e non li vidi più. Chissà chi erano…
Scontri_020Continuammo a seguire il flusso nero, dopo una decina di banche, il supermarket e il benzinaio distrutto ormai il gruppo dal quale ci mantenevamo a distanza ma che seguivamo si allontanò parecchio dal fulcro degli scontri con la polizia, ormai la situazione da quel punto di vista era tranquilla ma arrivammo ad un punto in cui decidemmo che era il caso di tornare indietro, possibilmente al campo. E’ stato quando ci siamo trovati di fronte al carcere di Marassi. Lo avete visto tutti, quei pochi poliziotti presenti decisero di allontanarsi, troppo rischioso forse e lasciarono il carcere alla mercè dei black block che gli scagliarono contro bottiglie incendiarie e quant’altro ma non riuscirono a sfondarne l’entrata. Erano anarchici e i loro obiettivi erano (e sono) ben precisi. Non era più il caso di stare lì, la questione si stava facendo veramente… seria.
Così tornammo indietro sui nostri passi. Speravamo che Azziz fosse tranquillo da qualche parte e che i casini in città fossero finiti in modo tale di tornare sicuri al nostro campo.
Genova-G8_2001-Incidenti_a_Corso_TorinoRipassammo sotto il tunnel della ferrovia le barricate e le automobili erano ormai spente e carbonizzate. Un devasto! Ma passammo senza problemi e imboccammo il vialone in salita, direzione campeggio. Appena girato a sinistra ci trovammo davanti un muro umano bianco di plexiglass e di uomini “in divisa” pieni di protezioni di tutto punto.
32343151TSwMeG_fsBeccammo il corteo dei disobbedienti in pieno! Tutta la testa del corteo che contava migliaia di persone, era protetta da una linea di scudi enormi e mobili di plexiglass. Ai lati erano tutti organizzati con maschere antigas, protezioni e scudi più leggeri e maneggevoli, sempre in plexiglass. Tantissimi erano pronti con maschere antigas e gommapiuma che ne avvolgeva i corpi, ma la polizia era lontana. Andammo nella parte centrale del corteo e decidemmo di seguirlo. Tornando al campo avremmo rischiato di non trovare nessuno per strada e, come detto prima, rimanere da soli ci sembrava la cosa più sbagliata da fare. Quei ragazzi stranissimi tutti vestiti di nero che suonavamo, a mò di banda, dei tamburi e che accompagnavano il corteo del black block (ogni volta che smettevano di suonare partiva una carica presso banche e compagnia bella) non c’erano più, adesso tantissimi erano 33072050KeUeBm_phvestiti di bianco e con i tipici colori da barca, nel senso di giubbotti salvagente e simili. Molti avevano degli estintori in mano. Vicino la testa del corteo un camion dirigeva i gruppo di difesa di quelli che loro chiamavano “la testuggine” (tecnica di guerra degli antichi romani in cui con gli scudi si crea un guscio di protezione nei confronti di chi sferra l’attacco) ma dava anche indicazioni generali, a chi non era preparato, di stare lontano dai bordi e dalla testa del corteo che era autorizzato e che, però, fu bloccato molto prima del termine stabilito, da cariche violentissime delle forze dell’ordine.  L’attacco non avvenne solo in maniera frontale, dunque sulla testuggine, ma anche dalle vie laterali in modo da dividere il corteo e rinchiuderlo in una gabbia senza vie d’uscita. Noi ne avevamo già viste delle belle e ai primi lacrimogeni che arrivarono senza nessun preavviso proprio in pieno corteo, a due passi da noi, decidemmo di andare indietro. L’aria era troppo difficile da respirare e ci stavamo seriamente sentendo male. Per fortuna questo corteo era organizzato per l’evenienza e da subito incominciaro a circolare avanti e dietro per il corteo ragazzi con dei carrelli da supermercato pieni di pezze bagnate e limoni tagliati da strizzare sugli occhi per riuscire a tenerli aperti e vedere qualcosa.
4_gAlcuni di questi ci aiutarono così riuscimmo ad andare in coda al corteo mentre davanti succedeva di tutto. Si sentivano solo tanti colpi e piccole esplosioni fin quando non fu evidente che il corteo fu spezzato. Noi eravamo al riparo ma non ci allontanammo subito. La testuggine che presuntuosamente pensava di poter resistere agli attacchi della polizia si sfaldò dopo poco per cui il corteo si lasciò alle spalle la sciagurata tattica della “difesa passiva” e molti, chi ne aveva il coraggio e la rabbia necessaria, incominciarono a reagire “attivamente” e gli scontri si spostarono e si divisero in diversi gruppi. Tutta quella zona della città era impraticabile per un civile. Lacrimogeni e oggetti volavano da una parte e dall’altra; camionette della polizia sfrecciavano all’impazzata verso i manifestanti che si spostavano e sfaldavano le loro fila così da essere più vulnerabili alle cariche fisiche dei cordoni. Ma quei ragazzi reagivano e le forze dell’ordine in alcune zone si dovettero ritirare velocemente. In molte piazze i manifestanti riuscivano ad avanzare seppur con difficoltà. Chi rimaneva indietro rischiava di essere pescato e aggredito da gruppi di celerini fuori di senno che, spaventati chi avrebbe reagito, non lesinavano invece botte da orbi a chi non reagiva e rimaneva a terra o scappava.
Genova-G8_2001-Corso_GastaldiNoi le abbiamo viste da lontano tutte queste cose, non ce la potevamo più fare. Eravamo stanchi morti, affamati e quella situazione non era come con i neri, lì si fronteggiavano apertamente manifestanti e polizia, vera e propria guerriglia urbana alla quale poi si vedrà si unirono anche molti black e anche diversi poliziotti in borghese. Lentamente andammo via. Dietro ogni via si nascondeva un pericolo.
Ogni volta che provavamo a svoltare a destra per lasciare la strada principale dove erano scoppiati gli scontri ci trovavamo gente che correva scappando in senso opposto al nostro e che ci consigliavano di scappare. Perchè? Scontri e scaramucce ad ogni incrocio e dunque via indietro a gambe levate. Tutto questo per un paio di ore quando finalmente ci sentimmo al sicuro, lontano dalle piazze infuocate dalla rabbia e dalla repressione. Trovammo un bar aperto, era il primo dopo 2 giorni. Mangiammo un pasto precotto che faceva veramente schifo, ma non c’era altro. Lì incontrammo il nostro eroe, quell’uomo scalzo che a mani nude, da solo, fronteggiava un cordone di polizia. Gli offrimmo da mangiare e da bere. Era adulto ma aveva l’aria e l’entusiasmo della “migliore gioventù”.
assassini
carlo_vivoAndammo via dal bar, direzione campeggio. Dovevamo cercare di trovare Azziz, ormai erano ore e ore che non sapevamo che fine avesse fatto e nel frattempo era scoppiato in finimondo in città. Sulla strada trovammo, sorpresa sopressa, un forno aperto, mandava un odore favoloso ed era stato preso d’assalto (nel senso commerciale del termine) da manifestanti stanchi e affamati. Avrà fatto affari d’oro in quel pomeriggio ma lì il sangue mi si ghiacciò. Iniziava a circolare una voce macabra… Alcuni gridavano di rabbia, altri provavano a fare telefonate ma senza successo… un ragazzo è stato ucciso. Era morto qualcuno, pochi minuti prima, da qualche parte, lì vicino.
Brividi di paura percorsero il mio corpo! Non ci potevo credere, l’avevano fatto veramente. Ogni minuto che passava si ascoltavano nuove informazioni, alcune sbagliate altre si rivelarono poi giuste. La polizia aveva ucciso un ragazzo.
g7Tornammo al campo eravamo preoccupatissimi per Azziz. Andammo al mediacenter del campo e alla segreteria dove si denunciava l’assenza di chi non era tornato dopo la giornata. Volevamo dare il nome di Azziz ma per fortuna non ci fu poi bisogno. Il cretino era arrivato fino alla periferia della città, dove l’odore dei lacrimogeni non si era neanche avvicinatoe dopo un giro lunghissimo era tornato al campeggio. Eravamo di nuovo in 4 ed eravamo contenti ma ormai la notizia dell’assasinio di un manifestante era confermata e dal mediacenter incominciavano a filtrare le prime notizie. Andai nei bagni della scuola che ci ospitava, attaccai il cellulare  alla presa della corrente per chiamare a casa. Avevano seguito tutta la giornata in televisione ed erano spaventatissimi. Metre cercavo 2001 08 fatti g8 genovadi calmare mia madre e la mia ragazza dell’epoca nella stanza di fianco ai bagni era stata adibita un’infermeria e all’esterno una fila lunghissima di persone aspettava di farsi medicare ferite ed ematomi di ogni genere e dimensione. Tutti sapevano bene che andare al pronto soccorso sarebbe voluto dire mettersi nelle mani della polizia che quelle ferite gli aveva procurato e che li avrebbe maltrattati di sicuro. Poi si sono scoperte cose ben peggiori come vere e proprie torture nei confronti dei feriti di ogni genere e degli arrestati. I colpevoli? Hanno dato un paio di annetti a qualche mezzo capetto della questura che neanche li dovrà scontare grazie all’indulto che i politici quasi all’unanimità hanno approvato. A proposito, sarei curioso di sapere cosa consigliava Fini ai dirigenti delle forze dell’ordine mentre si trovava in questura durante quei giorni…
giotto00Ma ormai importa poco, siamo lo stato dei criminali impuniti.
Questo lungo racconto potrebbe continuare ancora per un bel po’. Potrei raccontarvi della tensione tra i manifestanti al campo, delle interminabili discussioni, dei pianti e della paura che era ampiamente palpabile, delle provocazioni della polizia che di sera circondò il campo con le sue camionette, con i cellerini che scesero in assetto antisommossa e iniziarono a battere i manganelli sui loro scudi. Era solo una provocazione, un modo ulteriore per intomorire i manifestanti perchè dopo una decina di minuti di paura e panico (sarebbe stata una carneficina se fossero entrati nella scuola-campeggio) se ne andarono. Si trattava di una premessa (o una promessa?) di quanto sarebbe successo il giorno dopo.
Ma non mi interessa andare oltre.
bolzanetoVi chiedo anche scusa per questo racconto così lungo, spero che qualcuno sia riuscito ad arrivare fino in fondo a questo esercizio di memoria perchè Carlo Giuliani, ragazzo, è stato ucciso scientemente dallo stato che continua a proteggere i veri colpevoli di quel delitto.
Come protegge gli assassini delle stragi di stato degli anni 70 e 80. Come protegge i colpevoli deglassassinii mafiosi e come protegge gli autori delle stragi in cui sono rimaste vittimeGiovanni Falcone e la sua scorta, il giudice Scopelliti e il giudice Paolo Borsellino, ricordato proprio ieri da poche anime dalla buona memoria. Come protegge gli assassini di Federico Aldrovandi, di Marcello Lonzi e di Gabriele Sandri.
Lo stato ha ucciso e uccide. Nasconde la verità, insabbia le prove, camuffa i colpevoli, protegge i suoi prestanome e depista le indagini oneste.
Non bisogna mai dimenti-Carlo!
genova01
Alessio Neri



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