di Nadia Covacci
Contrariamente a quanti credono che una giornata all’anno di sensibilizzazione sia inutile io sostengo che, su 365 giorni di invisibilità, un giorno sia quanto meno utile per ricordarsi che le persone con disabilità esistono.
Esistono davvero. Non solo gli anziani che accompagnati dalle badanti vanno al parco, non solo le persone con disabilità psichica che vengono seguiti da educatori specializzati nei centri diurni, non solo chi momentaneamente soffre di una malattia debilitante. Esistono anche gli invisibili. Quelli che stanno troppo bene per dover essere aiutati quotidianamente e troppo male per poter competere alla pari nella società. Esistono tutta una serie di bambini, ragazzi e adulti che trascorrono le loro ore di vita in casa perché impossibilitati a prendere i mezzi pubblici o perchè bloccati dall’ignoranza del mercato del lavoro che sopravvaluta il loro malessere e sottovaluta il loro titolo di studio.
Una giornata come questa potrebbe essere utile per informare, aggiornare, discutere e confrontarsi sulle nuove ideologie che sostengono gli operatori di questo settore: quelli veri. Roma si fa portavoce di un dibattito molto interessante dal titolo "Cultura e disabilità: le buone prassi nel diritto internazionale, nella Pubblica Amministrazione e nelle imprese”. Molto spesso ancora si crede (e i giovani con disabilità sono i primi a sperarlo, più che crederlo) che grazie al sistema di collocamento obbligatorio le persone con disabilità vengano facilmente inserite nel mondo del lavoro. Naturalmente osservando il problema dall’esterno non si ha idea di quanto invece sia ancora difficile riuscire a trovare un datore di lavoro che abbia superato la fase dello stereotipo o un centro per l’impiego che lo stimoli a farlo. Inoltre conviene evidenziare che all’interno delle categorie protette rientrano anche gli orfani di guerra, le vedove di guerra (compresi i familiari delle vittime di questi ultimi anni), i profughi, le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.
Ora è chiaro perché le persone con disabilità hanno più difficoltà a essere scelte: le categorie protette sono troppe e molto diverse tra di loro e questo spiega perché ai colloqui di lavoro spesso i candidati non hanno disabilità. Un passo avanti lo fanno le grandi aziende multinazionali che hanno uno sguardo sull’Europa e sul Mondo in grado di guidarle verso una valutazione concreta e reale delle risorse umane. La Barilla, ad esempio, lo scorso anno cercava 20 persone con disabilità e laurea in economia e commercio, mentre le nostre aziende reggiane gareggiano per chi ne assume di meno adducendo scuse, non trovando mai la persona adatta o abbandonandola a se stessa sul posto di lavoro per far sì che sia lei ad andarsene. Nella PA invece l’assunzione delle categorie protette è più effettiva, ma qualitativamente umiliante: contratti di tirocinio, stipendi da 300 euro al mese (con il tuo collega che fa lo stesso lavoro e guadagna il quadruplo) e atteggiamento pietistico di chi dimentica di avere a che fare con una persona e non con un bambino o con un cane.A Torino una giornata si trasforma in un mese di attività e congressi organizzato dalla Consulta delle persone in difficoltà, oggi il tema sarà il sistema di classificazione ICF che prevede una definizione di disabilità basata sulle abilità delle persona e sulle sue possibilità di una piena partecipazione alle attività sociali che derivano dalla qualità del sistema sociale stesso.
Nella nostra regione sarà l’ospedale di Montecatone e la sua Unità Spinale a dare il via a una serie di manifestazioni legate al turismo accessibile. In particolare Laura Rampini, paracadutista, e Filippo Landi, campione di nuoto, presenteranno un camper totalmente accessibile per ribadire alle persone vittime di un incidente che è possibile vivere in sedia a rotelle una vita al pari di quella che si faceva prima, vacanze comprese. Sì perché per turismo accessibile non si intende il gruppo di disabili fisici e mentali insieme che vanno a fare un viaggio all’estero, come viene proposto dal SAP di Reggio Emilia, ma si intende proprio l’opposto ovvero la possibilità della persona di andare in vacanza autonomamente senza dover dividere il proprio tempo e il proprio spazio con non-amici scelti da altri.
Ci tengo a evidenziare un ultimo incontro che si terrà anche questo nella città di Roma e che avrà come tema “Le conseguenze psicologiche di un infortunio sul lavoro”. Le persone che acquisiscono una disabilità sul lavoro fanno parte della categoria degli invisibili di cui sopra: chi non nasce disabile si costruisce un’identità che con la malattia viene totalmente distrutta a causa del confronto con la società. Immediatamente diventi ‘poverino’, quando esci non ti guardano più in faccia, il tuo Comune ti propone il SAP per andare con altri disabili a mangiare la pizza (come se tu non fossi più in grado di farlo con gli amici di prima), il mondo del lavoro ti stigmatizza e uscire di casa diventa un problema quotidiano soprattutto quando la mobilità viene garantita a prezzi esorbitanti come nella nostra città. Vuoi fare sport? Lo fai con altri disabili; se tiri con l’arco non potrai mai competere con un tiratore senza disabilità. Vuoi fare musica? Ecco il laboratorio di canto e musicoterapia con il gruppo di disabili mentali. Vuoi fare giardinaggio? Ecco il corso di agricoltura per disabili. Se invece sei portato per l’arte espressiva non puoi lasciarti scappare il corso di teatro rivolto a disabili.
La disabilità diventa la tua etichetta predominante e chi non è abituato ad averla addosso e ha piena consapevolezza di essere una persona come tutte le altre rischia di sentirsi offeso o di credere seriamente di non essere più in grado di fare qualcosa con le persone normodotate.
Forse una giornata all’anno potrebbe essere spesa per far emergere le qualità normali delle persone con disabilità.
Forse una giornata come questa potrebbe servire per mostrare il disabile nella sua quotidianità; perché l’ignoranza e lo stigma nascono dal fatto che la società non sa chi e cosa fa una persona con disabilità: non sa se cucina, non sa se può guidare, non sa se può avere figli, non sa se nonostante non riesca a parlare può capirti. Ecco perché ritengo sia offensivo e delirante il progetto di incontro e di discussione organizzato dalla nostra città. Di fronte a una platea di giovani ragazzi che sono il nostro futuro e ai quali si potrebbe offrire un’idea di persona con disabilità che inizia con la persona e non con la disabilità viene di nuovo proposto un disabile che è una macchietta di se stesso: come sono bravi i disabili a danzare, come sono bravi i disabili a fare sport.
Non solo credo fermamente che sia lesivo della dignità delle persone con disabilità essere presentati in questo modo, ma sostengo anche l’idea che sia anche molto diseducativo nei confronti dei giovani e che rinforzi soltanto lo stereotipo dilagante del “disabile-che-bravo”.
Ci tengo a chiarire che sport e danza sono hobby e in quanto tali andrebbero a ricoprire il tempo libero di una persona (a meno che non si faccia di danza e sport il proprio lavoro, ma percentualmente accade di rado). Come ribadisce Maslow per poter sentire il bisogno di gestire il proprio tempo libero (bisogni secondari) devono essere soddisfatti i bisogni primari ovvero il cibo, il riparo, il sesso. Il sesso è un tabù e questo ci fa dimenticare che prima di tutto è un bisogno. Il cibo lo si acquista con il denaro e senza lavoro il denaro è difficile poterlo spendere. Il riparo equivale a una casa e nei piani casa della città non c’è un regolamento che dia precedenza alle persone con disabilità nell’abitare alloggi al piano terra con il conseguente imprigionamento della persona nei piani superiori perché forse i nostri assessori, Matteo Sassi in primis perché si occupa delle politiche sociali, dimenticano che l’ascensore in caso di fuga diventa una prigione e un diritto a morire.
Spesso capita, purtroppo, che la giornata delle persone disabili diventi solo e unicamente la giornata delle persone diversamente abili.
fonte : http://www.reggio24ore.com/
0 commenti:
Posta un commento