Paolo Borsellino si è opposto alla trattativa tra lo Stato e la mafia dopo la strage di Capaci che costò la morte a Giovanni Falcone, alla compagna Francesca Morvillo e a tre uomini della sua scorta. Dopo le testimonianze tardive dei politici, dopo le rivelazioni del pentito Gaspare Mutolo sul tema, ora la conferma arriverebbe da un documento autografo di don Vito Ciancimino in persona. E’ una lettera che il figlio Massimo dovrebbe consegnare nei prossimi gorni ai magistrati che indagano sui misteri della mancata cattura di Bernardo Provenzano e sul patto tra Stato e mafia. Massimo Ciancimino ne ha già anticipato i contenuti in un verbale segretato.
Finora al processo al generale Mario Mori per il mancato blitz nelle campagne di Mezzoiuso, dove il colonnello Riccio del Ros avrebbe potuto chiudere la latitanza del boss Provenzano dieci anni prima della sua catura grazie alle rivelazioni del confidente Luigi Ilardo (poi ucciso) si sono confrontate due verità. La prima è contenuta in un lungo memoriale delgenerale Mario Mori consegnato ai giudici che devono decidere le sue sorti. L’allora colonnello del Ros, vice e poi comandante dell’unità specializzata del’Arma che poi catturò Totò Riina ha ammesso i contatti con la famiglia Ciancimino ma con date e significato diverso da quello che gli ha attribuito Massimo Ciancimino. Dopo la strage di Capaci solo il capitano del Ros Giuseppe De Donno incontrò Massimo Ciancimino per chiedergli di fare da ponte con il padre. Secondo Mori prima della strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992 e dopo quella di Capaci, avvenuta il 23 maggio, non ci furono incontri tra lui e il consigliori di Provenzano e Riina. Solo dopo la strage di via D’Amelio della quale domani ricorre l’anniversario, il generale in persona avrebbe varcato la soglia della casa di via San Sebastianello dove Vito Ciancimino allora viveva a due passi da Piazza di Spagna.
La versione del Ros era sempre stata confermata da don Vito fino alla morte avvenuta nel 2002 ma è stata ribaltata da Massimo Ciancimino con le sue rivelazioni consegnate negli ultimi due anni ai magistrati siciliani. Secondo il figlio di don Vito Mario Mori ha incontrato il padre prima della strage di via D’Amelio. Sempre secondo Massimo, Vito Ciancimino era convinto che quell’avvio di trattativa aveva incoraggiato la strategia stragista di Riina: fare la guerra per fare la pace e ottenere i benefici carcerari per i detenuti di mafia e la revisione del maxiprocesso, oltre alle altre richieste contenute nel cosiddetto papello. Anche Giovanni Brusca, il boss di San Giuseppe Iato che aveva spinto il telecomando a Capaci, aveva detto prima di Ciancimino junior che Riina, dopo la strage di Capaci disse che “si erano fatti sotto” e bisognava dare un altro colpo. Secondo il figlio, Vito Ciancimino aveva sempre sostenuto il contrario per rispettare un accordo preso con il Ros. Don Vito, secondo lui, fu anche invitato dai difensori degli autori delle stragi, a raccontare la storia della trattativa nei suoi termini reali ma don Vito si rifiutò di cambiare versione.
La lettera descritta da Ciancimino junior ai pm palermitani e che probabilmente sarà consegnata martedì 20 luglio- se quello che Massimo dice è vero – dovrebbe essere stata scritta dal padre e probabilmente risale al 1993. E’ indirizzata a un personaggio dell’economia che allora sembrava potesse assurgere al ruolo di premier. Don Vito, che in quel periodo cercava di comunicare con le istituzioni inutilmente cerca di ottenere ascolto da quello che i suoi amici politici gli hanno preconizzato come futuro presidente. Ciancimino rivela al destinatario della missiva che in quell’anno “il regime sta tentando il suo capolavoro finale”. Il regime non è la politica ma, par di capire, una sorta di alleanza tra una parte della politica, dei Servizi segreti e delle forze di polizia deviate.
Ciancimino senior dopo un pizzico di autocritica malinconica dice “faccio parte di questo regime e sono consapevole che solo per il fatto di farne parte presto ne sarò escluso” passa ad analizzare il tema della trattativa. “Dopo un primo scellerato tentativo di soluzione avanzata dal colonnello Mori per bloccare le stragi. Tentativo di fatto interrotto dall’omicidio Borsellino, sicuramente oppositore fermo di questo accordo, si è decisi finalmente costretti dai fatti di accettare l’unica soluzione possibile per poter cercare di rallentare questa ondata di sangue che al momento rappresenta solo una parte di questo piano eversivo”.
Poi aggiunge: “Ho più volte chiesto invano di essere ascoltato dalla commissione antimafia”.
La lettera è importante per tre motivi. Prima di tutto perché data “il tentativo” di Mori dopo la strage di Capaci ma prima di via D’Amelio. Poi perché inserisce le stragi di mafia in un disegno più ampio di tipo eversivo elaborato da “un architetto” che governa un sistema del quale don Vito stesso fa parte.Anche se per poco. Perché sente che la sua stagione è finita e presto ne sarebbe stato escluso. Infine perché la lettera – se Massimo e anche Vito dicono il vero – conferma le ipotesi più inquietanti della magistratura sul movente della morte di Borsellino. Il giudice amico di Falcone si sarebbe opposto alla trattativa, secondo la lettera attribuita a don Vito dal figlio. E questo, potrebbe essere stato il motivo dell’accelerazione della sua condanna a morte.
PUGLIAmo l'Italia: NICHI VENDOLA
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