venerdì 9 luglio 2010

Come rinunciare a 4 miliardi di euro per aiutare Mediaset

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intercettazioninnocenziberluconiAi confini del ridicolo e oltre. La deprimente fase calante del governo Berluconi IV regala alcune punte di italico autolesionismo che neppure i più critici osservatori avrebbero mai potuto pensare di intuire. Come tutti ben sanno in Europa e negli Stati Uniti si sta effettuando lo switchoverdelle frequenze televisive che da analogiche stanno pian pianino passando al digitale. La nuova tecnologia permette, in estrema sintesi, di comprimere maggiormente i dati trasmessi, garantendo così la liberazione di significative parti di banda occupata dal segnale analogico e di moltiplicare quindi i canali a disposizione dell'utenza televisiva"free", ovvero gratuita.
Negli Stati Uniti già nel marzo del 2008 sono state messe all'asta frequenze per un introito complessivo di 19,6 miliardi di dollari. Queste frequenze sono state spartite tra colossi della telefonia e piccoli operatori, che garantiscono un mercato più aperto, plurale e concorrenziale. Anche nel resto d'Europa i governi, che sentono profumo di soldi da rovesciare sulla collettività e su progetti di sviluppo, sono in moto. Nella sola Germania sono stati raccolti dopo 224 rialzi d'asta nientemeno che 4,4 miliardi di euro, e cifre molto elevate sono state incassate nei paesi del Nord Europa.
E in Italia? Niente aste sulle frequenze televisive. Perché? Perché si procede per delibere emesse dall’Autorità garante nelle Comunicazioni (Agcom, quella parata di quintecolonne minacciata e ricattata da Berlusconi, che voleva far chiudere Annozero nelle intercettazioni). L’8 aprile del 2009 una delibera Agcom ha stabilito la suddivisione delle 21 (oggi 25) reti nazionali accese dalla tecnologia digitale. Venti reti sono andate di diritto, e praticamente a titolo gratuito, a chi aveva già le frequenze analogiche. Di queste, cinque sono state assegnate rispettivamente a Rai Mediaset, tre a Telecom Italia e le rimanenti agli altri “network nazionali”: Rete A (Gruppo L’Espresso), Telecapri ed Europa 7. Già qui ci sarebbe di che discutere, ma c'è di peggio.
Le 5 reti rimanenti le cui frequenze sono per obblighi imposti dall'Europa da assegnare a operatori televisivi alternativi, non saranno soggette ad asta pubblica ma, come ama dire Corrado Calabrò, presidente Agcom, a un “beauty contest” (procedura comparativa). Sì, un concorso di bellezza nella cui giuria siederà il governo, che sceglierà in base a parametri autonomamente determinati e a decidere sarà alla fine il Ministero per lo Sviluppo Economico, guidato ad interim dallo stesso Berlusconi. Il concorso di bellezza non sarà però riservato solo a nuovi operatori, ma potranno parteciparvi anche Rai e Mediaset, che potrebbero portarsi a casa due delle cinque reti.
Ricordiamo che le frequenze sono del popolo italiano, che le "concede" in cambio di un canone d'affitto. Per volontà di quel fenomenale governo D'Alema alla fine degli anni '90 in Italia questo canone è dell'1% sul fatturato annuo degli operatori, ovvero 4 o 5 volte in meno di quanto chiedono i paesi normali, ovvero quelli non governati dal proprietario di tv, che è pure ministro dello Sviluppo Economico, premier, proprietario della principale realtà editoriale italiana acquisita attraverso la corruzione di un giudice (Mondadori), nonché ex datore di lavoro dei più importanti uomini della dirigenza Rai.
In sostanza si conserva lo status quo, ribaltando sul digitale il duopolio Rai-Mediaset. Con lo stato che incasserà solo le briciole: l’1% del fatturato annuo degli operatori (contro il 4-5% medio europeo) a titolo di canone di affitto delle frequenze. Ma soprattutto si dovrà rinunciare a circa 4 miliardi (il doppio dei tagli previsti per l'Istruzione e al personale della Sanità) che l'Italia avrebbe ottenuto facendo le aste che in tutto il resto del mondo, oltre a Germania e Usa si stanno facendo o predisponendo: Svizzera, Norvegia, Svezia, Olanda, Francia, Irlanda, Austria, Polonia ma anche Australia e Swaziland.

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