lunedì 7 giugno 2010

Trattativa Stato-mafia: generale Mori sotto accusa per ''concorso esterno''

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di Aaron Pettinari - 5 giugno 2010
Palermo.
 L'iscrizione nel registro degli indagati nell'ambito dell'inchiesta sulla "trattativa" tra Stato e Cosa Nostra era nota da marzo ma allora non si conosceva ancora l'ipotesi di reato.
   

Questa mattina Il Fatto Quotidiano e l'Unità hanno riportato la notizia per cui il capo d'accusa con il quale il generale Mario Mori è indagato dalla Procura di Palermo sarebbe di concorso esterno in associazione mafiosa. Nel fascicolo aperto dai pm Nino Di Matteo e Paolo Guido, coordinato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia, sono finite una decina di persone tra servitori dello Stato, boss ed intermediari. Tra questi vi è il capitano Giuseppe De Donno, indagato in base all'articolo 338 del codice penale per “violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario”, e il colonnello dell'Arma in servizio presso il nucleo del Quirinale Antonello Angeli, accusato di favoreggiamento per non aver sequestrato importanti documenti, tra cui il famigerato ''papello'', rinvenuti nella villa all'Addaura del figlio di Vito Ciancimino, Massimo, durante la perquisizione del 17 febbraio 2005.
Accanto a loro spiccano nomi di rilievo della mafia come i boss Salvatore Riina, Bernardo Provenzano ed il medico Antonino Cinà, che fece da postino tra i boss e don Vito. Quindi sarebbero iscritti al registro anche alcuni esponenti dei Servizi segreti, tra cui il famoso quanto misterioso “signor Franco”, elemento di congiunzione tra l'ex sindaco di Palermo ed apparati dello Stato, e con tutta probabilità lo stesso figlio di Vito Ciancimino che nella vicenda “trattativa”, per sua stessa ammissione, ha svolto un suo ruolo significativo.
L'ipotesi dell'accusa parte dal ruolo che Mori e De Donno ebbero nelle contrattazioni tramite i colloqui avuti nel 1992, dopo la strage di Capaci, con l'ex sindaco di Palermo.


In particolare gli inquirenti si stanno concentrando sull'analisi di alcuni fatti che vedono coinvolto in prima persona proprio l'ex capo del Ros. Vicende, avvenute dopo il colloqui con Ciancimino, in cui traspaiono diverse ombre e che tutt'oggi fanno sorgere numerosi interrogativi sulla lotta compiuta contro Cosa Nostra. 
Il primo passaggio riguarda la cattura del “capo dei capi”, Totò Riina, e la mancata perquisizione del suo covo. In merito a ciò Mori, assieme al capitano ''Ultimo'' (alias Sergio De Caprio), sono stati già processati ed assolti. Ma quell’omissione, oggi, viene letta nel nuovo contesto accusatorio: il covo di Riina non sarebbe stato perquisito per evitare il ritrovamento di documenti che avrebbero svelato la trattativa e compromesso l' ascesa verso il vertice di Cosa Nostra del più “moderato” tra i  corleonesi, Provenzano. Quest'ultimo avrebbe dovuto essere il garante per la fine delle stragi, comunque continuate fino al '93.
Il secondo punto analizzato dai pm riguarda la mancata cattura dello stesso Provenzano a Mezzojuso, nell'ottobre 1995, nonostante l'indicazione precisa ricevuta dal Ros.
Un tassello che si inserisce perfettamente nell'ipotesi che vede la lunghissima latitanza di Provenzano (arrestato solo nell'aprile 2006) come frutto del patto tra mafia e pezzi dello Stato. Per questo reato Mori è ancora sotto processo a Palermo imputato assieme ad un altro ufficiale, Mauro Obinu.
Il terzo “tema” d'indagine, infine, riguarda proprio la “trattativa”, quella scellerata ricerca di un accordo, di cui oggi parla apertamente Massimo Ciancimino e che si sarebbe articolata a cavallo tra la strage di Capaci e quella di via D'Amelio. 


Per conto di chi trattarono Mori e De Donno, ammesso che l'ipotesi accusatoria sia fondata, non è ancora dato saperlo. Anche se non è confermata l'iscrizione tra gli indagati di esponenti politici, indicati dallo stesso figlio di don Vito come i ''garanti'' della trattativa, gli inquirenti sono convinti che vi sia stata una controparte politica.
I nomi fatti da Massimo Ciancimino e da Giovanni Brusca sono quelli di Nicola Mancino, oggi vicepresidente del Csm e ministro dell'Interno nel '92, e di Virginio Rognoni, ministro della difesa fino al giugno dello stesso anno. Ma entrambi hanno immediatamente smentito.
L'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli e Liliana Ferraro, che prese il posto di Falcone all’ufficio Affari penali del ministero, ascoltati al Processo sulla mancata cattura di Provenzano hanno raccontato che il giudice Paolo Borsellino sarebbe venuto a conoscenza dell'azione compiuta da Mori e De Donno.
Evento che sicuramente non può aver lasciato indifferente il magistrato alla ricerca degli assassini dell’amico Falcone e che non poteva far altro che opporsi all'istituzione del “patto”.
Da qui nasce il dubbio terribile che la strage in cui Borsellino perse la vita assieme alla sua scorta, la strage di via D’Amelio, vada letta come strage di Stato.
Il generale Mori, in aula lo scorso aprile ha letto una lunghissima memoria ponendo un dilemma sul proprio operato: “...io e gli altri ufficiali del Ros veniamo considerati alternativamente o dei fuoriclasse dell’investigazione o tanti minus habens che procedono nelle indagini senza la parvenza del discernimento – al confine della collusione mafiosa - Penso che non siamo né l’una né l’altra cosa, però un minimo di buon senso, per evitare di fare le vittime sacrificali di un gioco, che se fosse esistito sarebbe stato più grande di noi, ritengo che ce lo dovrebbero concedere tutti”.  
Se anche ciò fosse vero, sulla responsabilità morale dei carabinieri nell'aver cercato un dialogo ed aver creato così un avallo nella mente dei boss stragisti si è però pronunciata anche la Corte di Assise di Firenze nella sentenza sulle stragi del '92-'93.
“…Sotto questi aspetti vanno dette senz’altro alcune parole non equivoche: l’iniziativa del ROS (perché di questo organismo si parla, posto che vide coinvolto un capitano, il vicecomandante e lo stesso comandante del Reparto) aveva tutte le caratteristiche per apparire come una “trattativa”; l’effetto che ebbe sui capi mafiosi fu quello di convincerli, definitivamente, che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione”.
Fonte:
http://www.antimafiaduemila.com/content/view/28763/78/

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