L'era del petrolio facile e a buon mercato è finita, come insegna il disastro nel golfo del Messico. E la Casa bianca lancia il piano per riparare ai danni, a carico della Bp, e uscire dalla dipendenza dalle fonti fossili di energia.
Avevano detto no al regista del film di fantascienza Avatar, James Cameron, che una ventina di giorni fa aveva messo a disposizione i suoi sommergibili. Ora i vertici della British Petroleum, per fermare l’inarrestabile marea nera che da quasi due mesi fuoriesce dalla falla della piattaforma nel golfo del Messico, puntano su un’altra star di Hollywood, Kevin Costner, interprete di tanti personaggi intrepidi e invincibili. I macchinari prodotti da Costner, Ocean Therapy, dopo una serie di prove durate diverse settimane, sono stati giudicati efficaci dalla Bp, che ne ha ordinati trentadue. Speriamo che le prestazioni siano da oscar, perché devono chiudere una falla da 40 mila barili di petrolio al giorno, e non 20 mila come inizialmente valutato dalla Bp.
Ma la compagnia britannica, così come l’intero sistema energetico, devono sapere che niente sarà più come prima: è il messaggio di forte discontinuità con la storia e la cultura americana lanciato dal presidente statunitense Barak Obama, che evidentemente sul petrolio ha deciso di giocarsi il futuro, dichiarando la sua «guerra del golfo». Parlando per la prima volta dallo Studio ovale, dove i presidenti pronunciano i discorsi solenni [anche i simboli hanno il loro peso], Obama ha definito il disastro nel golfo del Messico la peggiore catastrofe ecologica del paese, un altro «11 settembre». E ha lanciato un programma avanzato e ambizioso: investimento sulle energie rinnovabili, sull’efficienza e sul risparmio energetico; riduzione della dipendenza dai combustibili fossili, che ha paragonato ai piani di soccorso post bellici e alle missioni sulla luna; rigore e trasparenza nel rilascio delle autorizzazioni alle perforazioni e nei controlli, e conseguente nomina a capo dell’agenzia che rilascia le concessioni dell’ex procuratore Michael Bromwich; totale responsabilità in capo alle compagnie, per cui alla Bp viene chiesto non solo di pagare tutti i danni provocati, ma anche di costituire un fondo di garanzia di 20 miliardi di dollari su un conto bloccato, amministrato in maniera indipendente, per risarcire tutte le vittime e i danni del disastro ambientale.
Di questo, tra non molto, Obama parlerà con il presidente della Bp Carl-Henric Svanberg, convocato nel pomeriggio alla Casa bianca per rendere conto dell’«irresponsabilità» della compagnia nella gestione dell’incidente. Intanto, il contrammiraglio della Guardia costiera, James Watson, ha inviato una lettera al direttore generale delle operazioni della Bp negli Stati uniti, Doug Suttles, che ha il sapore di un ultimatum: la Bp ha 72 ore di tempo per presentare un piano dettagliato di emergenza per bloccare la fuoriuscita di petrolio dalla falla a 1.500 metri di profondità. Ma le cose continuano ad andare storte. E’ di ieri la notizia dello stop temporaneo alle operazioni per il recupero del greggio in superficie, deciso dalla Bp dopo l’incendio scoppiato a bordo della nave cisterna che lo sta raccogliendo. Il timore era l’arrivo della stagione degli uragani, invece è bastato un fulmine a fermare il colosso petrolifero.
Ma la compagnia britannica, così come l’intero sistema energetico, devono sapere che niente sarà più come prima: è il messaggio di forte discontinuità con la storia e la cultura americana lanciato dal presidente statunitense Barak Obama, che evidentemente sul petrolio ha deciso di giocarsi il futuro, dichiarando la sua «guerra del golfo». Parlando per la prima volta dallo Studio ovale, dove i presidenti pronunciano i discorsi solenni [anche i simboli hanno il loro peso], Obama ha definito il disastro nel golfo del Messico la peggiore catastrofe ecologica del paese, un altro «11 settembre». E ha lanciato un programma avanzato e ambizioso: investimento sulle energie rinnovabili, sull’efficienza e sul risparmio energetico; riduzione della dipendenza dai combustibili fossili, che ha paragonato ai piani di soccorso post bellici e alle missioni sulla luna; rigore e trasparenza nel rilascio delle autorizzazioni alle perforazioni e nei controlli, e conseguente nomina a capo dell’agenzia che rilascia le concessioni dell’ex procuratore Michael Bromwich; totale responsabilità in capo alle compagnie, per cui alla Bp viene chiesto non solo di pagare tutti i danni provocati, ma anche di costituire un fondo di garanzia di 20 miliardi di dollari su un conto bloccato, amministrato in maniera indipendente, per risarcire tutte le vittime e i danni del disastro ambientale.
Di questo, tra non molto, Obama parlerà con il presidente della Bp Carl-Henric Svanberg, convocato nel pomeriggio alla Casa bianca per rendere conto dell’«irresponsabilità» della compagnia nella gestione dell’incidente. Intanto, il contrammiraglio della Guardia costiera, James Watson, ha inviato una lettera al direttore generale delle operazioni della Bp negli Stati uniti, Doug Suttles, che ha il sapore di un ultimatum: la Bp ha 72 ore di tempo per presentare un piano dettagliato di emergenza per bloccare la fuoriuscita di petrolio dalla falla a 1.500 metri di profondità. Ma le cose continuano ad andare storte. E’ di ieri la notizia dello stop temporaneo alle operazioni per il recupero del greggio in superficie, deciso dalla Bp dopo l’incendio scoppiato a bordo della nave cisterna che lo sta raccogliendo. Il timore era l’arrivo della stagione degli uragani, invece è bastato un fulmine a fermare il colosso petrolifero.
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