lunedì 15 aprile 2013

Aldrovandi, la mamma: «Ridare la divisa agli agenti non è una vera giustizia»

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Patrizia Moretti, madre di Federico: «Non sono carne da macello. Ora voglio pensare all'associazione per Federico» - Benedetta Argentieri

FERRARA - Un mondo in cui il dolore non smette di esistere. Mai. Da otto anni la sofferenza è legata alla quotidianità di Patrizia Moretti. Alla sua esistenza. «Non si sopravvive alla morte di un figlio, ma ho provato ad andare avanti perché ne avevo un altro». Con una convinzione: «Dovevo ottenere giustizia per Federico». Ora che l'ha ottenuta - quattro poliziotti sono stati condannati in via definitiva a tre anni e sei mesi per «eccesso colposo in omicidio colposo» per la morte dello studente ferrarese 18enne Federico Aldrovandi - le manca un ultimo tassello. «Gli agenti che lo hanno ucciso non devono tornare in servizio. Non sarebbe giusto. Le istituzioni si devono adeguare alla giustizia del tribunale e quella della gente. Questo oramai non riguarda solo noi».


(Ansa)
(Ansa)
Parole dure. Sofferte. Le emozioni sono difficili da trattenere per questa donna che non si è mai fermata. Nemmeno quando «mi hanno minacciata». Nessun passo indietro davanti «a comportamenti criminali anche da parte di chi indossa una divisa». La rabbia che si è trasformata in questi anni in caparbietà. Una testardaggine che ha portato alla verità di quello che è successo in via Ippodromo, dove si è interrotta la vita di Federico a soli 18 anni. Il ragazzo è stato picchiato da Paolo Forlani. Enzo Pontani, Luca Pollastri e Monica Segatto, mentre tornava a casa dopo una serata con gli amici. «Non credo di aver fatto niente di diverso rispetto a quello che avrebbero fatto tutte le altre madri». E ora che anche la Cassazione le ha dato ragione, «non sono più disponibile a essere carne da macello. Mi aspetto che ci siano risposte concrete che vadano oltre alla solidarietà espressa».
Negli ultimi mesi ci sono state denunce per diffamazione, un sindacato che si è presentato sotto il suo ufficio per manifestare solidarietà agli agenti condannati. Politici che l'hanno accusata e insultata. E ora «sono stanca». Una spossatezza evidente negli occhi scuri, incorniciati dai riccioli neri. Il suo corpo sta reagendo allo stress, «tosse, raffreddore, persino una uveite, come Berlusconi». Lo dice sorridendo, mentre sorseggia una tazza di the, in un bar della piazza municipale di Ferrara. Il tono di voce è sempre misurato. Non perde mai la calma. Anche se a volte si commuove, con orgoglio trattiene le lacrime. Si tortura i braccialetti colorati che ha al polso. Una pausa e riprende a raccontare con lucidità e chiarezza questo lungo percorso.


Da sinistra Rosa Piro, Patrizia Moretti, Heidi Giuliani, Lucia Uva, al corteo per Dax (Roberto Mastore)
Da sinistra Rosa Piro, Patrizia Moretti, Heidi Giuliani, Lucia Uva,
al corteo per Dax (Roberto Mastore)
Una strada fatta di buche, intoppi inaspettati. Ma sulla quale ha incontrato tantissime persone. «Un affetto enorme» che in alcuni casi l'ha anche davvero stupita. Canzoni, spettacoli teatrali, quadri, murales. Tutti per Federico. Ma la vera forza l'ha avuta dalle altre mamme. Quelle altre donne che devono confrontarsi con un lutto simile. «Ci facciamo coraggio a vicenda, ci aiutiamo». Haidi Giuliani, Rosa Piro, Lucia Uva e tante altre. «Io e mio marito siamo stati fortunati perché un po' di giustizia l'abbiamo avuta. Non è una vera giustizia, però, Federico non ce li riporta indietro nessuno».
Ma il suo nome continuerà a «vivere» fuori dalle aule dei tribunali e dalle querelle politiche grazie a una associazione, nata lo scorso anno. «Ora vorremmo cominciare a fare del bene. Ricordare un ragazzo di 18 anni pieno di energia e di sorrisi». E imbarcarsi anche in battaglie. «Stiamo promuovendo la raccolta firme per istituire la legge anti-torture». E fare in modo che «non succeda mai più». Un pensiero al futuro e a tutti quei ragazzi che «non devono avere paura di tornare a casa». In un certo senso non ha smesso di combattere anche se «ora sono alla finestra a guardare». Nessun «flirt» con la politica, anzi. Anche se qualcuno gliel'ha chiesto, lei vuole rimanere «solo la mamma di Federico». Una donna che molti anni fa sognava una vita tranquilla, in cucina «a fare torte per i miei bambini». Lo dice sorridendo. Un sorriso amaro perché sa che la sua esistenza è lontana da quel mondo. Il suo è pieno di dolore, «come una scossa di terremoto, con la differenza che non finisce mai».

Benedetta Argentieri bargentieri@corriere.it

fonte : http://www.corriere.it/


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