mercoledì 6 ottobre 2010

L'Aquila e le macerie dimenticate: di questo passo la città sarà "ripulita" nel 2079

Ascolta il post Listen to this Page. Powered by Tingwo.co

Federico Gasperini
FIRENZE. L'Aquila è uscita dalle cronache quotidiane e dai riflettori risultati utili per un lungo periodo al presidente del Consiglio. Ma i problemi sono tutt'altro che risolti come evidenzia Legambiente nel dossier "Macerie, anno zero" (presentato questa mattina a l'Aquila), in cui l'associazione azzarda una data termine per l'eliminazione dei cumuli di macerie che giacciono sulle strade dei comuni terremotati d'Abruzzo: procedendo al ritmo attuale, serviranno ancora 69 anni.
Ovviamente è una provocazione ma a 18 mesi dal sisma che ha colpito la città abruzzese e altri 56 centri minori, rende ben evidente lo stato di stallo in cui versa la ricostruzione.

«Rimuovere le macerie dalle strade e dalle piazze dell'Aquila e di tutti gli altri comuni del cratere è il primo atto concreto di una vera ricostruzione- ha dichiarato Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente- Anche per queste ragioni i ritardi fin qui accumulati, il continuo rimpallo di responsabilità, l'assenza di procedure e persino di stime certe sulle macerie da rimuovere sono semplicemente ingiustificabili. Si tratta di cambiare subito marcia, di fare tesoro delle esperienze migliori, di concentrare attenzione e risorse sulle priorità effettive. Legambiente, in questo contesto, intende dare il suo contributo concreto, come ha sempre fatto sino dalle ore immediatamente successive al drammatico sisma del 6 aprile 2008, attraverso l'impegno dei propri volontari che prosegue ancora oggi» ha concluso Cogliati Dezza.
Tra le molte inadempienze ed errori evidenziati nel dossier, due sono macroscopici. Il primo riguarda la valutazione delle macerie prodotte dai crolli nella notte del 6 aprile 2009 e dalle demolizioni controllate degli edifici pericolanti. Secondo l'ultima analisi della Regione, effettuata nel luglio 2010 da Vigili del fuoco e Cnr, la stima massima complessiva raggiungerebbe i 2.650.000 metri cubi di calcinacci, di cui circa 1.480.000 solo nel capoluogo (56%). Ma secondo i sindaci colpiti dal sisma i conti non tornano.
A tal proposito nel rapporto di Legambiente vengono riportati un paio di esempi. Nel comune di Villa Sant'Angelo, tra i più colpiti dal terremoto per numero di vittime e danni, viene evidenziata una differenza considerevole tra i numeri ufficiali e i risultati di uno studio commissionato alle Università di Genova e Catania e al Cnr: solo 28.000 metri cubi di detriti secondo la Regione, non meno di 40.000 metri cubi secondo le verifiche effettuate con un metodo di calcolo diverso, in pratica il 30% in più. Un caso opposto è stato segnalato nel comune di Barisciano. L'abitato, risparmiato da grandi crolli, secondo l'analisi matematica di Vigili del fuoco e Cnr avrebbe ben 54.662 metri cubi di macerie sparsi sul suo territorio, quasi il doppio di quelle stimate a Villa Sant'Angelo.
L'altra grande questione da risolvere riguarda lo stoccaggio dei detriti e il loro avvio a riciclo. Le macerie finora rimosse, informano da Legambiente, sono state portate sempre ed esclusivamente alla cava ex Teges, il sito di Paganica, affidato al comune de L'Aquila e gestito dalla Asm, la municipalizzata incaricata del servizio rifiuti nel capoluogo abruzzese.
Dopo le proteste della popolazione, i detriti conferiti alla cava ex Teges sono passati da un quantitativo di 500/600 tonnellate al giorno di detriti indifferenziati ad una media di 150 tonnellate al giorno di inerti, al netto dei materiali recuperabili come ferro, legno e plastica smistati in loco. In ogni caso il sito di stoccaggio temporaneo rischia di diventare a tutti gli effetti una discarica, perché finora ha continuato a riempirsi e risulta ormai vicina alla saturazione.
A supporto dell'ex cava di Paganica è stato individuato il sito di Barisciano (località Forfona) dove dovrebbe sorgere un vero e proprio polo tecnologico per il trattamento delle macerie, gestito direttamente dagli enti locali. Tutta la questione da luglio doveva essere presa in mano direttamente dal ministro Prestigiacomo, vista l'inefficienza degli enti locali, ma per ora è lettera morta. Non va tralasciato poi che i vari materiali contenuti nelle macerie, a partire dagli inerti che sono i più abbondanti, andrebbero avviati a riciclo.
Tra l'altro una legge purtroppo disattesa, la 203/200, obbliga all'impiego negli appalti pubblici del 30% di materiali riciclati (la circolare n.5205 del 15 luglio 2005 ha esteso la norma anche al settore edile). «In un contesto di indecisioni e incertezze, un dato è chiaro: a L'Aquila non c'è un metro cubo di aggregato riciclato prodotto con il trattamento delle macerie post-terremoto - ha sottolineato Angelo Di Matteo, presidente Legambiente Abruzzo- E se non si decide di collocare un impianto, che cominci a lavorare quanto prima, non ce ne sarà nemmeno in futuro. La sistematica non applicazione delle normative vigenti- ha concluso Di Matteo sta paralizzando la nascita di una nuova filiera imprenditoriale, che potrebbe trasformare quelle stesse macerie in materiale riutilizzabile sia nel ciclo degli appalti che nell'attività edilizia». Secondo l'Anpar (Associazione nazionale produttori aggregati riciclati), un impianto di taglia medio-grande può trattare fino a 250 mila tonnellate di inerti all'anno. Potenzialmente, una decina di impianti dislocati nel territorio della provincia dell'Aquila potrebbero lavorare in circa due anni tutti gli inerti derivanti dalle macerie del terremoto, producendo oltre 4 milioni di tonnellate di aggregato riciclato. Questo ultimo aspetto è molto importante: oltreché per la riduzione di discariche o siti di stoccaggio, l'avvio a riciclo dei materiali eviterebbe il ricorso massiccio a nuove cave di materiale vergine in una regione dove l'attività estrattiva è tra le più alte d'Italia, ma non esiste un Piano cave che la regolamenti.

0 commenti:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...