domenica 27 giugno 2010

IL QUOTIDIANO

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 G20, ecco la bozza di accordozaremo i deficit nel 2013"

L'impegno sui conti pubblici accanto a un forte allarme sulla disoccupazione.  Nessun riferimento alla tassa sulel transizioni finanziarie. "Dare vigore alla ripresa"

TORONTO - Il documento finale del G20 conterrà l'impegno a dimezzare i deficit pubblici entro il 2013. L'annuncio dell'accordo è stato dato dalla cancelliera tedesca a margine dei lavori del Gruppo. Il comunicato finale non conterrà invece alcun riferimento allo Yuan.Ripresa fragile e diseguale. Sulla crisi economica la bozza del documento sostiene che la ripresa è "diseguale e fragile" e risulta "cruciale" darle "rigore". "Se, da un lato - si legge nel testo - si assiste a un ritorno alla crescita, dall'altro la ripresa è diseguale e fragile, l'occupazione in molti paesi resta ancora a livelli inaccettabili e l'impatto sociale della crisi è ancora ampiamente sentito". E ancora: "Gli eventi recenti hanno altresì evidenziato l'importanza di finanze pubbliche sostenibili nonché la necessità che i nostri paesi adottino piani di sostenibilità fiscale credibili, graduali e favorevoli alla crescita, che rispondano alle specifiche esigenze nazionali".Misure atte a riequilibrare la domanda globale. Nella bozza si invitano "i paesi con gravi problemi fiscali ad accelerare il ritmo del consolidamento. Quest'ultimo - prosegue - dovrebbe andare di pari passo con una serie di misure atte a riequilibrare la domanda globale, così da garantire che la crescita mondiale prosegua su un cammino di sostenibilità. Sono inoltre necessari ulteriori passi avanti sul piano del risanamento e della riforma fiscale per migliorare la trasparenza e potenziare i bilanci delle nostre istituzioni finanziarie".Allarme occupazione. Nel testo si lancia un nuovo allarme occupazione: "In molti Paesi resta ancora a livelli inaccettabili e l'impatto sociale della crisi è ancora ampiamente sentito". Al contrario, la bozza del comunicato finale del G20 non contiene alcun riferimento a una tassa sulle transazioni finanziarie, una misura fortemente sostenuta dalla Merkel. Il Gruppo infatti si dice concorde "nel ritenere che il settore finanziario debba farsi carico, sensibilmente e sostanzialmente, di qualunque onere associato agli interventi pubblici, se del caso, per risanare il sistema finanziario" e "per ridurre i rischi derivanti dal sistema finanziario". Ma riconosce anche "l'esistenza di un'ampia gamma di approcci politici in tale settore. Alcuni Paesi", rileva il comunicato, "hanno scelto la via degli oneri fiscali. Altri hanno invece adottato un'impostazione diversa".No al protezionismo. Dai Grandi è stato ribadito il no al protezionismo e rinnovato "per altri quattro anni, fino alla fine del 2013" l'impegno "a non innalzare barriere o erigerne di nuove agli investimenti o agli scambi di beni e servizi, a non imporre nuove restrizioni alle esportazioni, ovvero a non applicare misure non confromi all'Organizzazione mondiale del commercio per stimolare le esportazioni". 
Lotta alla corruzione. Dal vertice anche una decisa presa di posizione contro la corruzione, definita la peggior minaccia alla ripresa e ai fondamentali dell'economia: "Siamo concordi nel riconoscere che minacci l'integrità dei mercati, eroda la concorrenza equa, distorca l'allocazione delle risorse, distrugga la fiducia pubblica e metta a repentaglio lo Stato di diritto".
Il bilancio degli scontri
. La polizia canadese ha effettuato quasi 500 arresti dopo le proteste violente


Artisti, agenti, giornalisti tutti contro la legge bavaglio

Artisti, agenti, giornalisti tutti contro la legge bavaglio

Musicisti in mezzo al pubblico, microfono aperto ai cittadini: così la non-stop del primo luglio in piazza Navona a Roma

Bavaglio" in piazza. Prende forma, giorno dopo giorno, il programma della manifestazione del 1° luglio contro il Ddl intercettazioni. Appuntamento a Roma in Piazza Navona dalle 17 alle 21. E il comitato promotore ha quasi messo a punto la scaletta degli interventi e il "palinsesto" della giornata. Che vedrà la partecipazione di sindacati, partiti e associazioni. Tutti contro "tagli e bavagli". Parole e musica, anche in diretta sul web. Per portare in ogni casa la mobilitazione che, da più di due mesi, impegna larghi settori della società civile contro il decreto Alfano. Una giornata per dire "no" anche ai tagli alla cultura previsti nella manovra finanziaria. Tante iniziative locali per un giovedì di protesta in tutto il Paese. I promotori: "Non vogliamo solo criticare: porteremo in piazza idee e proposte". Anteprima a Palermo: in piazzale Ungheria il sit-in 1 "per un'informazione libera".

Musica e dirette web. Arturo Di Corinto, tra i responsabili della mobilitazione, dice a Repubblica. it: "Non sarà una manifestazione tradizionale. Gruppi di musicisti dell'Opera di Roma e dell'Accademia di Santa Cecilia suoneranno dalle prime ore della manifestazione in mezzo al pubblico". Poi sul palco si alterneranno cantanti, attori e scrittori. Prevista la presenza di "Dario Fo, Luca Zingaretti, Giovanna Marini". Inoltre "giornalisti, giuristi e membri delle forze dell'ordine, spiegheranno la loro contrarietà ai tagli e ai bavagli".

L'obiettivo è "dimostrare che opporsi a queste norme è un affare di tutti. La legge bavaglio mette il silenziatore alla stampa. E i tagli penalizzano l'efficacia dell'azione degli inquirenti e ipotecano il futuro di chi la cultura la fa ogni giorno", continua Di Corinto. Che conclude: "Avremo un collegamento col Popolo Viola che manifesterà a Londra e Los Angeles. E un microfono girerà per la piazza chiedendo a tutti il motivo della loro presenza. Per questo sarà un grande evento di comunicazione". Sul palco in Piazza Navona si alterneranno, tra gli altri, Carlo Lucarelli, Ilaria Cucchi, il presidente dell'Arci Paolo Beni, Stefano Rodotà e Giulio Scarpati.

A reti alternative unificate. La manifestazione sarà trasmessa in rete da numerose web tv e da molti portali locali. La lunga diretta  -  ideata e supportata dalla federazione delle micro web tv FEMI, Altratv. tv, Valigia Blu, Federazione Nazionale Stampa Italiana, Ipazia Promos e Current - intende presentare per la prima volta "a rete unificata" il ruolo di denuncia delle web tv italiane. Saranno trasmesse alcune inchieste per mostrare "quanto sia condizione necessaria per la democrazia e la legalità la libertà di fare stampa e di essere informati". Al progetto aderiscono anche Repubblica.it, U-Station, Raduni, Agoravox, Articolo 21, Premio Ilaria Alpi.

Ricorso in Europa. E già si pensa al dopo manifestazione. In un comunicato della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, si legge: "E' stata confermata la decisione di presentare, qualora il Ddl Alfano fosse approvato, un esposto alla Corte per i diritti umani di Strasburgo". L'esposto sarebbe sottoscritto dalle organizzazioni impegnate nella protesta e "con il sostegno dei cittadini che vorranno firmarlo sui siti delle varie associazioni". Dopo l'esposto, potrebbe seguire una "campagna europea per una legge di iniziativa popolare, secondo la procedura prevista dal Trattato di Lisbona, a difesa dell'autonomia dell'informazione".

Tra le adesioni alla manifestazione Anti-Bavaglio: Arci, Movimento Non Violento, Popolo Viola, Libertà e Giustizia, Valigia Blu, Libertà è Partecipazione, Italia dei Valori, Federazione della Sinistra, Unione Nazionale Cronisti, Rete degli Studenti Medi, Unione degli Universitari, Cgil, Mediacoop.

Il boomerang finale dell'Aldo longobardo

di EUGENIO SCALFARI
Nella società tribale dei longobardi, tra il servo e l'uomo libero esisteva una categoria intermedia: quella degli "aldi". L'"aldo" era in qualche modo simile al liberto romano, ma con una notevole differenza: il liberto era uno schiavo liberato; in quanto tale aveva l'obbligo non solo morale ma addirittura giuridico di restar fedele alla "gens" cui apparteneva il suo liberatore. L'"aldo" invece non era stato beneficiario d'una vera e propria liberazione: semplicemente non era più soggetto alle limitazioni dei servi, si poteva muovere liberamente sul territorio e poteva anche svolgere affari e negozi in proprio nome, ma doveva fedeltà e obbedienza assoluta al suo padrone, assisterlo, rappresentarlo e battersi per lui e soltanto per lui. La volontà del suo padrone era la sola sua legge.

Queste cose pensavo quando Aldo Brancher è asceso nei giorni scorsi agli onori della cronaca. Chi meglio di lui raffigura l'"aldo" longobardo? Chi più di lui ha rappresentato il suo padrone ed ha stipulato negozi per lui? Negozi di alta politica (snodo di collegamento tra Berlusconi e la Lega) e negozi di sordidi affari (pagamenti in nero destinati a fini di corruzione di partiti, uomini politici, dirigenti amministrativi, imprenditori)?
Dalle accuse relative ad un periodo lontano, quando Berlusconi non era ancora entrato in politica e tanto più abbisognava di alleanze e coperture politico-affaristiche, Aldo Brancher si era liberato con la prescrizione raccorciata, disposta da una delle tante leggi "ad personam" volute dal Berlusconi ormai capo d'un partito e del governo, nonché con l'abolizione del reato di falso in bilancio, che gli era stato contestato dai magistrati della pubblica accusa.

Del reato di appropriazione indebita per il quale è perseguito in relazione alla scalata della banca "Antonveneta" avrebbe dovuto liberarlo la nomina a ministro varata nei giorni scorsi: nelle intenzioni di Berlusconi avrebbe dovuto consentirgli di valersi del legittimo impedimento disposto pochi mesi fa da un'altra legge "personale" destinata a sottrarre il premier ed i suoi ministri dai rigori processuali in attesa del lodo Alfano già in discussione in Parlamento.

Invece il caso Brancher è diventato un boomerang nei confronti di Berlusconi, del suo governo, delle sue alleanze, della compattezza della sua maggioranza; ha creato un profondo dissapore con Bossi e soprattutto con i leghisti, con Fini e soprattutto con i finiani, con un'opinione pubblica sempre più disamorata e critica. Ma principalmente un dissapore con il Quirinale.

Non era ancora mai accaduto che Napolitano entrasse a piedi uniti in un dibattito costituzionale con risvolti così direttamente politici. Non era mai accaduto che la natura profondamente padronale del potere berlusconiano fosse denunciata politicamente dalla più alta autorità dello Stato con parole che non consentono interpretazioni di sorta.

Ora il "boomerang" ha compiuto la sua traiettoria ed ha colpito non tanto Brancher quanto il suo padrone di cui da 25 anni è l'"aldo". La situazione di crisi che si è aperta è forse la più grave fin qui vissuta dal berlusconismo. Per le ragioni che l'hanno provocata. Per il momento in cui avviene. Per le sue possibili conseguenze sulle crepe sempre più vistose di quello che è stato finora un blocco sociale e politico e che rischia adesso di andare in pezzi molto prima del previsto.


Travolto dalle accuse (non solo dell'opposizione, ma anche dei suoi alleati), alla fine il neo ministro ha dovuto gettare la spugna, rinunciando allo scudo che il Cavaliere gli aveva regalato. Era il minimo che ci si potesse aspettare dopo il richiamo del Quirinale, imprudentemente attaccato da solerti portabandiera del Pdl. Il presidente della Repubblica non poteva esimersi dall'esternazione pubblica del suo pensiero avvenuta venerdì scorso. Aveva firmato da pochi giorni la nomina di Brancher a ministro senza portafoglio ricevendone il giuramento; aveva chiesto e ricevuto dal presidente del Consiglio le motivazioni che rendevano necessaria (a suo dire) quella nomina per ragioni funzionali. Non era entrato nel merito di esse. Non gli spettava, riposavano sulla valutazione politica del premier che Napolitano ritiene gli sia preclusa, dando semmai al proprio ruolo una configurazione restrittiva.

Ovviamente aveva volutamente escluso che la nomina in questione fosse dovuta a ragioni diverse dalla "funzionalità del governo" invocata dal presidente del Consiglio. Ma a mettere in dubbio quella motivazione erano intervenuti nel frattempo tre fatti: l'infastidita sorpresa di Bossi per quella nomina, manifestata al Quirinale direttamente dal ministro delle Riforme; il cambiamento della delega a Brancher, da ministro addetto all'attuazione del federalismo ad altra mansione tuttora non precisata e quindi non ancora pubblicata in "Gazzetta ufficiale"; infine (e più grave di tutti) la decisione di Brancher di sottrarsi immediatamente all'udienza del processo che lo vede indagato per appropriazione indebita e la richiesta di spostare la prossima data processuale ad ottobre, sulla base del legittimo impedimento.

Di fronte a tre fatti di questa portata era tecnicamente impossibile che il Quirinale restasse silenzioso e non definisse con esattezza la posizione di un ministro senza portafoglio di fronte alle scadenze processuali che lo riguardano. È ciò che ha fatto Napolitano con un'asciuttezza di linguaggio che fa parte dei suoi poteri - doveri di custode della Costituzione.
Il caso Brancher nella sua esemplarità ci porta ad alzare lo sguardo sul panorama generale che configura il nostro paese. È un quadro niente affatto consolante perché al declino, in sé auspicabile e salutare, d'un blocco di interessi e di potere che controlla e manipola la nostra società ormai da oltre vent'anni, si aggiunge la fine di un'epoca che è sempre solcata  -  quando avviene  -  da lampi e tuoni e raffiche e terremoti e marosi che sconvolgono culture e istituzioni, comportamenti e consuetudini, senza ancora essere in grado di proporne di nuovi, guidati da nuovi ideali e fresche speranze.

Ho scritto domenica scorsa del "dopo - Cristo" di Pomigliano e della legge dei vasi comunicanti che opera in un'economia globale percorsa da paurosi dislivelli tra opulenza e povertà. Ed ho osservato che quei dislivelli esistono non soltanto tra paesi ricchi e paesi poveri ma anche all'interno dei paesi ricchi, da un confronto sempre meno accettabile tra sacche di povertà e di mediocre e precaria sostenibilità e fasce di antica opulenza e privilegiati benefici.

Sempre più urgentemente si pone dunque il problema di governare la crisi anche attraverso una redistribuzione del reddito che sia spiegata al pubblico non certo come frutto d'invidia sociale ma come appello all'equità dei sacrifici e alla loro ineluttabilità in una prospettiva più dinamica e più coesa.
Questo è il futuro della sinistra italiana, dei cattolici democratici e del liberalismo laico: libertà e giustizia, coesione sociale, efficienza da offrire e da reclamare.

Io non credo che questa legislatura terminerà il suo corso come previsto nel 2013. Credo che Berlusconi senta il crescente scricchiolio del sistema di potere da lui costruito. Lo senta e ne sia angosciato, ma anche intestardito nel difenderlo con tutti i mezzi.

Sente anche che il solo modo di protrarne l'agonia sia il ricorso alle urne prima che lo scricchiolio divenga schianto. La data probabile è a cavallo tra 2011 e 2012 e comunque al più presto possibile, quando l'informazione sarà stata totalmente blindata e solidamente nelle sue mani, la magistratura umiliata e asservita, le istituzioni di garanzia depauperate.

Il prossimo autunno e l'inverno che seguirà saranno perciò teatro di questi scontri. Come ha scritto Ezio Mauro nel suo intervento di mercoledì scorso, è inutile scommettere sul meno peggio. Non ci sarà un meno peggio perché è il principale interlocutore a non volerlo. Il meno peggio passa necessariamente dalla sua personale uscita dal campo ma questa ipotesi non rientra nella sua natura. Chi lo conosce lo sa: il "meno male che Silvio c'è" è l'essenza d'un carattere che ha evocato gli istinti profondi d'una società desiderosa di lasciare in altre mani il governo di se stessa, fino a quando non sentirà di nuovo l'orgoglio di riappropriarsi del proprio futuro.
Nei prossimi mesi sarà dunque questo il terreno di scontro e di confronto e dovrà esser questo il linguaggio che bisognerà parlare per essere ascoltati, compresi e incoraggiati. Non bastasse il resto, anche le vicende del calcio nazionale ne hanno fornito un'eloquente conferma.

Dai naufragi speriamo che sorga una nuova e creatrice allegria.

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