martedì 29 giugno 2010

Expo, mancano 4 anni litigano, sono al verde e Milano non ci crede

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Che sarà dell’Esposizione universale di Milano, anno 2015? Roberto Castelli, viceministro leghista che dovrebbe occuparsi delle infrastrutture, ha insinuato che la si potrebbe pure perdere, che potrebbe arrivare il no del Bie, l’ufficio internazionale delle esposizioni: “Se dovessimo perdere l’Expo, avrà buon gioco chi vorrà criticarci: se la politica del Nord non riesce a gestire una fiera, come potrà occuparsi del Paese e del federalismo”. I due anni dell’Expo, dai brindisi di Parigi ad oggi, sono stati una tribolazione di litigi e di soldi che vanno e vengono, soprattutto vanno. L’ultima finanziaria è stata un colpo.

“Drastico contenimento dei costi”, definiva i nuovi tagli il presidente Diano Bracco, ex numero uno dell’Assolombarda. Con la coda di un articolo capestro: solo il quattro per cento dei fondi statali potrà essere utilizzato per le spese correnti, meno deleghe all’amministratore delegato, ogni tre mesi tutti i conti sul tavolo di Tremonti (un antipatizzante dichiarato). Vuol dire ridimensionare la macchina, dopo che già sono stati tagliati gli investimenti statali, ridotti a 850 milioni, affidati a progetti approvati. Altri “risparmi” hanno già colpito il capitolo “infrastrutture expo”. Ad esempio, a Milano, si prevedevano due nuove linee di metropolitana, che sembrano diventate ormai una chimera. Chi ricorda quando fu inaugurata l’ultima linea (la rete tre, la “gialla”)? Dopo vent’anni di governo del centrodestra… L’altro giorno sono arrivate le dimissioni dell’amministratore delegato, l’onorevole Lucio Stanca, sessantanove anni, una volta ministro, fidatissimo di Berlusconi. 

E’ rimasto in carica quattordici mesi, mantenendo il doppio stipendio: al suo di parlamentare ha potuto aggiungere i quattrocentocinquantamila all’anno dell’Expo (ma lui, finemente, distingue: indennità nel primo caso, compenso come manager nel secondo). Ha sbattuto la porta, polemico con il presidente Diana Bracco, che non era stata carina con lui, accusandolo in dettaglio, per nove pagine, in una lettera spedita all’universo mondo, di lentezze, confusione nella gestione, sprechi, con il solo risultato di un progetto in cui compaiono in abbondanza orti, serre e bancarelle, ma non si parla mai di imprese, quelle che ovviamente stanno a cuore all’imprenditrice Bracco, polemica al punto di invitare Stanca a lasciare qualche fetta del suo potere nelle mani di un direttore generale. Accolte le dimissioni dell’ex ministro, il direttore generale è alle porte, verrà insediato domani e sarà Giuseppe Sala, cinquantenne bocconiano, ex Telecom ed ex Pirelli, per ora direttore generale del comune di Milano, scelto dal sindaco Letizia Moratti. 

La governance è rifatta ma chissà se sarà quella definitiva, dopo anni di scontri, aperti dal caso Glisenti, il giornalista che la Moratti avrebbe voluto mettere a capo di tutto. Non è detta l’ultima parola, perché alle porte preme anche Roberto Formigoni, il presidente regionale, che sul tavolo ha messo una pesantissima carta: l’acquisto dei terreni che di fronte a Rho dovrebbero ospitare le tende e le serre dell’Expo, in parte di Fieramilano, in parte dei Cabassi, storica famiglia di proprietari (dei Cabassi è ad esempio l’immobile del centro sociale Leoncavallo). Formigoni ha già esposto il suo piano: provvederà una società regionale, alla quale potranno aderire comune e provincia (non si capisce con quali mezzi). Il problema è la valutazione dell’area: duecento milioni, che il governatore ovviamente vorrebbe “tagliare”. Stanca se ne è andato con l’aria di chi subisce una manovra politica: più probabile che la torta assai ricca abbia mosso le solide ambizioni dei soliti poteri forti. Chi guadagna e chi perde… La Moratti ha una preoccupazione: tra un anno si va al voto e lei rischia di presentarsi con un bottino miserevole, neanche un pgt (piano generale del territorio) sono riusciti a approvare, con una alleanza spaccata, con una serie di scandali e scandaletti in giunta (dalle tangenti al mobbing internazionale). 

Un’impennata con l’Expo le ridarebbe credibilità e la certezza di poter ancora concorrere. Per ora l’Expo è solo un dossier di 500 pagine e un master plan a colori assai suggestivo: in fila le bancarelle colorate, a tinte bene accordate, orti e serre, che dall’alto fanno un bell’effetto da mercatino rionale, accanto il canale navigabile (una via d’acqua da Milano), sulle due sponde omini che camminano felici. Un progetto “leggero”, ecocompatibile, molto verde come vuole il tema della rassegna (l’alimentazione nel mondo). Se a Milano chiedete dell’Expo, molti vi guarderanno con stupore. Inutile insistere sui contenuti. La manifestazione del 2015 (sempre che il Bie la confermi, a novembre) non è entrata nel cuore della città (d’altra parte, niente nel progetto lo riguarda, tranne appunto quel famoso e improbabile canale navigabile) e nessuno tra gli amministratori ci ha provato. Finora l’Expo s’è rivelata una prova di mediocre e rissosa amministrazione. C’è il rischio che alla fine abbia ragione Castelli. di Oreste Pivetta
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