sabato 14 agosto 2010

I padroni e la crisi

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«Andando in giro per l'Italia ascolto spesso rabbia, amarezza, incomprensione per quello che sta accadendo», ha detto amareggiata Emma Marcegaglia in una lunga intervista su Il Sole 24 ore. La presidente della Confindustria non è tenera con il governo che non governa più e Berlusconi ha stabilito un record «mondiale»: in poco poco più di 24 ore si è beccato le critiche del penultimo e dell'attuale presidente di Confindustria. Verrebbe da pensare che gli industriali non sono più dalla parte del cavaliere e della destra. Ma non è solo così.
«Basta risse, servono riforme» è il titolo (molto preciso) dell'intervista nella quale Marcegaglia accusa il governo di non avere «visione strategica» mentre «occorre mobilitare più investimenti e rifare il fisco». Il tutto significa che la Confindustria batte cassa altrimenti è pronta a cambiare cavallo.

E non sarebbe la prima volta. C'è una buona dose di opportunismo nel chiedere alla maggioranza di ricompattarsi, di smettere «di combattere una guerra civile senza vincitori» e di governare, ovviamente sulla base delle idee di Confindustria. Ma non è solo opportunismo quelle che emerge nelle richieste: c'è anche una reale preoccupazione sulle sorti dell'economia italiana. Che non va granché bene, come dimostrano i dati di Eurostat diffusi ieri.
Un passo indietro: fino a ieri il governo ci ha ammorbato sostenendo (basandosi sul Pil nel primo trimestre) «che l'Italia stava meglio degli altri» solo perché nei primi tre mesi dell'anno il prodotto lordo era cresciuto dello 0,4%, contro lo 0,2% della Ue. Ci sarebbe piaciuto sapere cosa pensa il governo dei dati diffusi ieri, ma nessuno ha aperto bocca. D'altra parte non è facile commentare una crescita del Pil in Italia dello 0,4% contro l'1,0% della Ue e addirittura il 2,2% in Germania. Significa che l'Italia cresce a un ritmo inferiore del 60% a quello dell'Europa. E, tanto per ricordarlo, sul dato non ha ancora influito la manovra restrittiva varata dal governo.
Stiamo messi male e in autunno è prevista un'ulteriore riduzione dell'occupazione e quindi dei redditi e dei consumi. Forse non ci sarà una nuova fase recessiva, ma certamente un forte rallentamento della crescita che coinvolgerà tutti i paesi. Per l'Italia questo non è buono: la caduta della domanda estera si rifletterà immediatamente sui livelli produttivi vista la pochezza dei settori tecnologicamente avanzati. Ma c'è un nuovo fronte che suscita preoccupazione: quello del debito pubblico che, sostiene Ugo Magri su La Stampa, Napolitano ha ben presente e che «impedirebbe» lo scioglimento delle camere. Argomento non nuovo: ne scrisse Der Spigel in aprile, sostenendo che entro il dicembre 2012 l'Italia deve rimborsare 612 miliardi di debito in scadenza; quasi 200 miliardi nel 2011; parecchi in gennaio. Una crisi politica farebbe schizzare il «rischio paese» costringendo l'Italia a pagare rendimenti molto alti che cancellerebbero i sacrifici della manovre 2011-2012. Anche perché - ha testimoniato ieri Bankitalia - le entrate tributarie stanno ulteriormente diminuendo alla faccia della lotta all'evasione: -3,2% nei primi 6 mese dell'anno.

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