di Romina Velchi
Il giorno dopo nel Pdl è un coro: è stata fatta chiarezza. In realtà, il vertice a Palazzo Grazioli e il programma in cinque punti illustrato subito dopo da Berlusconi se un effetto hanno ottenuto è quello di aver reso un po’ più manifeste le difficoltà in cui si dibatte il Cavaliere. Persino per lui, che può vantare il record della maggioranza più ampia, il passaggio è assai stretto.
Possiamo immaginare che se il premier ha deciso per ora di non forzare la mano non lo ha fatto per convinzione, ma per calcolo. Che il dissidio con il cofondatore del partito sia ormai insanabile non lo nega più nessuno. Il punto, però, è che nemmeno il Cavaliere può permettersi di andare al voto in queste condizioni. Al di là dei sondaggi (e la guerra è già cominciata) Berlusconi deve fare i conti con un Senato che, complice l’attuale sistema elettorale, potrebbe regalargli una maggioranza risicata (o addirittura negargliela proprio); ma soprattutto deve vedersela con una Lega pronta a fare il grande balzo (una recente simulazione del peso dei gruppi nel prossimo parlamento se si votasse oggi segnala un’emorragia di eletti a vantaggio del Carroccio). Certamente, il premier sente il rischio di ritrovarsi con un avversario esterno assai pericoloso dopo essersi liberato di uno interno.
Di qui la necessità quanto meno di prendere tempo. A breve l’esito è scontato. La componente finiana ha già fatto sapere che voterà la fiducia (anzi, l’aveva detto prima ancora di conoscere l’esito del vertice), se non altro perché non ci sono grandi novità rispetto al programma a suo tempo sottoscritto. Anche la “mina” messa da Berlusconi - cioè l’insistenza sul processo breve, la vera urgenza visto che la sentenza Mills potrebbe arrivare nella prossima primavera - i finiani troveranno il modo di disinnescarla. Hanno già anche spiegato come: la fiducia è una cosa, il merito dei provvedimenti un’altra. Fini e i suoi, d’altronde, ben difficilmente si vorrebbero assumere la responsabilità di far cadere il governo e staranno molto attenti a schivare le trappole.Più difficile immaginare l’esito di questa situazione sul lungo periodo. Visto che il solco tra i due cofondatori è ormai incolmabile, è prevedibile che seguiranno mesi di guerriglia, dentro e fuori dalle aule parlamentari. Il paradosso sta proprio qui: sicuramente il Cavaliere a settembre otterrà la maggioranza «ampia» chiesta venerdì, ma i problemi interni alla maggioranza restano tutti aperti, come dimostra anche il battibecco di queste ore. E potrebbero essere esiziali: non riusciamo proprio a vedere come uno come Berlusconi possa lasciarsi rosolare a fuoco lento. Se non vuole essere lui a pronunciare la parola dimissioni, al premier non resterà che tentare con ogni mezzo di spingere i finiani a compiere il passo falso. Ecco lo spettacolo che ci attende.
Il giorno dopo nel Pdl è un coro: è stata fatta chiarezza. In realtà, il vertice a Palazzo Grazioli e il programma in cinque punti illustrato subito dopo da Berlusconi se un effetto hanno ottenuto è quello di aver reso un po’ più manifeste le difficoltà in cui si dibatte il Cavaliere. Persino per lui, che può vantare il record della maggioranza più ampia, il passaggio è assai stretto.
Possiamo immaginare che se il premier ha deciso per ora di non forzare la mano non lo ha fatto per convinzione, ma per calcolo. Che il dissidio con il cofondatore del partito sia ormai insanabile non lo nega più nessuno. Il punto, però, è che nemmeno il Cavaliere può permettersi di andare al voto in queste condizioni. Al di là dei sondaggi (e la guerra è già cominciata) Berlusconi deve fare i conti con un Senato che, complice l’attuale sistema elettorale, potrebbe regalargli una maggioranza risicata (o addirittura negargliela proprio); ma soprattutto deve vedersela con una Lega pronta a fare il grande balzo (una recente simulazione del peso dei gruppi nel prossimo parlamento se si votasse oggi segnala un’emorragia di eletti a vantaggio del Carroccio). Certamente, il premier sente il rischio di ritrovarsi con un avversario esterno assai pericoloso dopo essersi liberato di uno interno.
Di qui la necessità quanto meno di prendere tempo. A breve l’esito è scontato. La componente finiana ha già fatto sapere che voterà la fiducia (anzi, l’aveva detto prima ancora di conoscere l’esito del vertice), se non altro perché non ci sono grandi novità rispetto al programma a suo tempo sottoscritto. Anche la “mina” messa da Berlusconi - cioè l’insistenza sul processo breve, la vera urgenza visto che la sentenza Mills potrebbe arrivare nella prossima primavera - i finiani troveranno il modo di disinnescarla. Hanno già anche spiegato come: la fiducia è una cosa, il merito dei provvedimenti un’altra. Fini e i suoi, d’altronde, ben difficilmente si vorrebbero assumere la responsabilità di far cadere il governo e staranno molto attenti a schivare le trappole.Più difficile immaginare l’esito di questa situazione sul lungo periodo. Visto che il solco tra i due cofondatori è ormai incolmabile, è prevedibile che seguiranno mesi di guerriglia, dentro e fuori dalle aule parlamentari. Il paradosso sta proprio qui: sicuramente il Cavaliere a settembre otterrà la maggioranza «ampia» chiesta venerdì, ma i problemi interni alla maggioranza restano tutti aperti, come dimostra anche il battibecco di queste ore. E potrebbero essere esiziali: non riusciamo proprio a vedere come uno come Berlusconi possa lasciarsi rosolare a fuoco lento. Se non vuole essere lui a pronunciare la parola dimissioni, al premier non resterà che tentare con ogni mezzo di spingere i finiani a compiere il passo falso. Ecco lo spettacolo che ci attende.
FONTE : http://www.controlacrisi.org/
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